Spoils system, ma trasversale
S'avanza l'idea delle “larghe intese” per le partecipate di stato
Eni ed Enel, scadenza dei vertici al 2014, restano con i capi nominati dal Cav., graditi a sinistra. Finmeccanica in regime di rinnovo trasversale, con un occhio al Pd. Questa è la partita in atto delle nomine. Nel contesto delle larghe intese i partiti uniti nell’allenza governativa, Pd e Pdl, hanno usato il voto parlamentare per assicurare ai manager loro graditi un posto nelle principali società a partecipazione pubblica, oggetto di una mozione sulla “trasparenza delle nomine” in Senato, isolando il movimento montiano di Scelta civica.
Eni ed Enel, scadenza dei vertici al 2014, restano con i capi nominati dal Cav., graditi a sinistra. Finmeccanica in regime di rinnovo trasversale, con un occhio al Pd. Questa è la partita in atto delle nomine. Nel contesto delle larghe intese i partiti uniti nell’allenza governativa, Pd e Pdl, hanno usato il voto parlamentare per assicurare ai manager loro graditi un posto nelle principali società a partecipazione pubblica, oggetto di una mozione sulla “trasparenza delle nomine” in Senato, isolando il movimento montiano di Scelta civica. Mercoledì 19 alle 19,25 il Senato ha approvato la mozione per stabilire i criteri nella scelta dei dirigenti e dei consiglieri delle aziende controllate dal Tesoro, respingendo gli emendamenti di Monti; nei prossimi mesi sono in scadenza 190 incarichi pubblici in oltre 30 società e agenzie governative. I montiani volevano mettere limiti ai mandati e impedire la nomina di ex politici; via tutto, restano solo requisiti basilari di “competenza”, “esperienza” e “professionalità”.
Bisogna però analizzare il provvedimento e le fasi del voto per capire il perché del dissidio nella “strana maggioranza”, la strategia di Pd e Pdl – stranamente avallata dal Movimento 5 stelle di Beppe Grillo senza il classico “vaffanculo” – e i ricaschi politici e di potere. In fase di voto non sono stati accolti due emendamenti proposti dalla montiana Linda Lanzillotta; gli unici realmente vincolanti per il Tesoro, che, in base al testo che verrà approvato, dovrà emanare una direttiva per poi sottoporre i criteri a un “comitato dei garanti” tuttora da costituire. Lanzillotta proponeva di limitare a tre i mandati massimi consecutivi per i manager delle partecipate e fissare a un anno il tempo di latenza tra la scadenza di un incarico politico e la nomina nelle aziende (un freno per i cosiddetti “trombati” che, da consuetudine, si riciclano come manager). Il Senato ha allora approvato con 249 sì e 3 no la mozione, priva di tali emendamenti sui quali il governo aveva posto il veto.
Il viceministro dell’Economia Stefano Fassina del Pd, in Aula, non ha motivato la decisione governativa di dire no alla richiesta emendativa del senatore Pietro Ichino, ex Pd ora Scelta civica. Il perché lo dice Ichino al Foglio con un sms piccato: l’approvazione avrebbe “fatto saltare più di metà delle nomine che hanno in mente”. Avrebbe fatto certo saltare le nomine più pesanti. Fonti riservate dicono che ovviamente in queste settimane le pressioni delle aziende si sono fatte insistenti (“sono arrivate parecchie telefonate”). A cosa potrà servire il “doppio stop”? Mettere da subito i politici non rieletti nelle tante piccole partecipate fa gola a molti: su nomine di piccolo calibro orbitano gli interessi della Lega e, forse, ci sarà qualcosa pure per i casiniani colpiti dal magro risultato alle urne dei montiani con cui si sono alleati. Casini ha detto in Aula di “non condividere” gli emendamenti di Scelta civica: un altro “strappo” nello “strappo” per le effimere intese elettorali. Cancellare il vincolo dei “tre mandati” era invece un’istanza sostenuta con forza dal Pdl.
Per eliminare il limite ai mandati ci sono state pressioni del Pdl, dicono al Foglio autorevoli senatori dello stesso partito in camera caritatis. In prospettiva ciò consentirà il rinnovo dell’incarico per il presidente dell’Eni, Paolo Scaroni, e per quello di Enel, Fulvio Conti; nominati con l’appoggio del governo Berlusconi ed entrambi in scadenza nel 2014.
Il “toto nomine” pare prematuro in ambienti berlusconiani: “E’ presto per i nomi, e poi non li fanno i partiti ma si decidono lì”, dice, indicando Palazzo Chigi, Denis Verdini, homo oeconomicus di Berlusconi e condottiero delle trattative importanti. Nel partito del Cav. qualcuno rimprovera ai vertici un’eccessiva inerzia sulle nomine. Una stasi, in realtà apparente, più difficile da spiegare (nella testa di alcuni quadri) dal momento che il Pdl ha lasciato la burocrazia dello stato in mano alla sinistra (come segnalato di recente da un risentito colonnello del Pdl come Maurizio Gasparri). La questione è essenziale ai fini delle nomine pubbliche perché i giochi, in parte, si fanno al Tesoro. Oltre ad avere un uomo amico come Daniele Franco, ex direttore centrale della Banca d’Italia, alla Ragioneria generale dello stato (che decide sulla copertura economica dei provvedimenti e dei decreti del governo), il Pd può contare su Daniele Cabras, nominato capo di gabinetto del ministero dell’Economia. Cabras è uno smaliziato funzionario, già segretario della commissione Bilancio della Camera, preciso e laborioso, e si dice sia attivo sul fronte del toto nomine per conto del compassato ministro dell’Economia Fabrizio Saccomanni.
Comprensibile, dunque, il brusìo nel Pdl sebbene i berlusconiani, per sostenere le proprie richieste, possano contare su Verdini e sul viceministro all’Economia Luigi Casero, tramite naturale tra partito e ministero dell’Economia. Il filo diretto tra partito, governo e Tesoro da parte del Pd lo tiene invece il ministro per i Rapporti con il Parlamento, Dario Franceschini; cosa naturale anche qui.
Qualcosa però si muove ed è possibile fare un’ipotesi di Risiko in linea con le “larghe intese”: il Pdl cova una strategia di lungo termine tacitamente appoggiata dal Pd e dal governo di Enrico Letta, che invece ha un obiettivo immediato e strategico. Non è un mistero che il presidente del Consiglio si avvale delle reti trasversali, magari oleate dalla parentela con il consigliere di Berlusconi Gianni Letta, e costruite negli anni tramite i think tank da lui fondati come Vedrò, che in passato è stato sponsorizzato da grandi compagnie pubbliche o ex pubbliche (Enel, Eni, Telecom, Alitalia). In sostanza lo scambio potrebbe essere questo: il Pdl mantiene in regime di trasversalità i vertici di Eni ed Enel e garantisce mano libera al Pd su Finmeccanica, il sacro graal delle partecipate.
I desiderata del Pd sono emersi con un bigliettino scambiato tra il segretario Epifani e il suo predecessore Bersani. Per i vertici di Finmeccanica, penalizzata dai guai giudiziari dell’ex ad Giuseppe Orsi, i più quotati sarebbero l’ex capo della polizia Gianni De Gennaro alla presidenza (vorrebbe deleghe operative) e come ad Giuseppe Zampini, capo di Ansaldo Energia, appoggiato da Bersani (che per due volte è stato al quartier generale di Ansaldo nel 2012). Zampini rivoluzionerebbe Finmeccanica: allo spezzatino del colosso preferisce il consolidamento della galassia aziendale. In questa direzione va una possibile fusione tra Ansaldo Nucleare e la Sogin, società pubblica di smaltimento delle scorie atomiche. A capo della (futura) conglomerata il Pd vorrebbe l’ex consigliere bersaniano, Umberto Minopoli. Insomma, il Pd mette le mani su Finmeccanica e il Pdl acconsente nel contesto del più classico spoils system italiano. E’ un’ipotesi. La certezza è che le velleità di cambiamento sono state freddate dalla realpolitik.
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