Il potere dell'Ayatollah

Salvatore Merlo

Nella peggiore delle ipotesi non potrà più fare niente, e questo gli consentirà di fare tutto. Di chiamare a raccolta i fedelissimi a Palazzo Grazioli, di irretirli con le lusinghe della simpatia, le barzellette, il Sanbittèr, la pizza al gorgonzola servita dal maggiordomo Alfredo, e di sedurre così anche i suoi troppi nemici, come faceva il Vecchio della Montagna, il gran saraceno che tanto gli assomiglia, un po’ Bin Laden e un po’ Khamenei, guerrigliero braccato e guida spirituale. E come Hasan al Sabah, capo carismatico della setta degli hachischin, ammaliava e stordiva d’oppio quei crociati che gli avrebbero voluto spiccare la testa dal collo, così Silvio Berlusconi potrà ancora mettere nel carniere politici democratici, giovani Renzi e vecchi D’Alema, e persino nuovi giudici.

    Io sono Hasan al Sabah
    Io sono il Signore Hashishin
    Io sono il Vecchio della Montagna
    Io sono il Custode del Giardino
    delle Delizie
    Io sono il Distruttore delle Città
    Io sono tornato


    Nella peggiore delle ipotesi non potrà più fare niente, e questo gli consentirà di fare tutto. Di chiamare a raccolta i fedelissimi a Palazzo Grazioli, di irretirli con le lusinghe della simpatia, le barzellette, il Sanbittèr, la pizza al gorgonzola servita dal maggiordomo Alfredo, e di sedurre così anche i suoi troppi nemici, come faceva il Vecchio della Montagna, il gran saraceno che tanto gli assomiglia, un po’ Bin Laden e un po’ Khamenei, guerrigliero braccato e guida spirituale. E come Hasan al Sabah, capo carismatico della setta degli hachischin, ammaliava e stordiva d’oppio quei crociati che gli avrebbero voluto spiccare la testa dal collo, così Silvio Berlusconi potrà ancora mettere nel carniere politici democratici, giovani Renzi e vecchi D’Alema, e persino nuovi giudici. Potrebbe non finire così, ma a novembre potrebbe anche essere condannato in via definitiva dalla Corte di cassazione, perdere i diritti politici, finire ai lavori socialmente utili, Cavaliere e giardiniere. Ma ancora leader?

    “L’interdizione dai pubblici uffici, l’incandidabilità, sono un’infamia, ma lui non ha bisogno di sedere in Parlamento per essere il capo. Non è la stessa cosa, ma può anche esercitare il carisma dalla distanza”, dice Vittorio Feltri. Mentre Carlo Rossella, che lo conosce da una vita, aggiunge una sfumatura più intimista e rivelatrice: “Silvio si annoia in Parlamento, specie in Senato dove sono tutti anziani e dove Pietro Grasso, il presidente, è oggettivamente una barba pazzesca”. E dunque non sarebbe una tragedia finirne fuori, malgrado l’espulsione in questo caso sia coatta, obbligatoria, forzosa. “E poi in Parlamento non ci sono più quegli avversari d’un tempo, quelli che gli davano filo da torcere e lo divertivano”, insiste Rossella. “Oggi ci sono solo dei ragazzotti di cui a lui non frega nulla. Non c’è più D’Alema né Violante e non c’è nemmeno Veltroni, persino Bersani, di cui il Cavaliere fa un’imitazione, vi assicuro, perfetta, non se la passa tanto bene”. E d’altra parte nelle assemblee elettive il Cavaliere non mette piede quasi mai, Montecitorio gli piace soltanto nelle grandi occasioni, quando si elegge il capo dello stato, quando si riunisce la seduta inaugurale. E’ dall’11 novembre del 2011, da quando cioè si dimise per fare posto a Mario Monti, che Berlusconi governa dai divani di Palazzo Grazioli, e nel Pdl non si muove foglia che il Cavaliere non voglia.

    E dunque l’interdizione dai pubblici uffici, l’impossibilità di stare al governo, di attraversare il Transatlantico, di intrattenersi alla buvette, sarebbe solo un bollo, un sigillo forse infamante come dice Feltri, ma su una condizione che esiste già, una distanza che il Cavaliere ha posto da sempre tra sé e i Palazzi; perché è così che gli piace di più esercitare la sua funzione di capo. Persino i suoi uomini sono abituati alle regole di casa, a un cerimoniale di corte che nulla ha a che vedere con le segreterie di partito, la livrea dei commessi di Montecitorio, la grisaglia ministeriale. I cortigiani del berlusconismo vengono semplicemente convocati al Castello, regolarmente o a capriccio del sovrano. Mariarosaria Rossi, la morbida senatrice e assistente super particolare, lei che, come la cuoca di Lenin, ha il potere discrezionale di ammettere e di negare l’accesso, solleva il telefono, chiama, e tutti allora accorrono con un affanno speciale che si combina spesso al tormento di quanti, un tempo ammessi e oggi in disgrazia, invece non sono stati convocati. E allora i poverini sospirano, s’informano agitati con chi ha avuto l’onore, e pietosi chiedono: “Ma quanti siete? Ma sono posti a sedere? Ma secondo te posso venire anche io?”.

    Sono vent’anni che Silvio Berlusconi governa da casa. Non ama nemmeno le stanze del Consiglio dei ministri, il fasto inutile di piazza Colonna, quegli ambienti poco luminosi dove oggi ha infatti inviato i suoi ragazzi che si chiamano Angelino Alfano e Gaetano Quagliariello e Maurizio Lupi… tutti a presidio di quel Palazzo Chigi che fosse per lui sarebbe già stato sostituito da tempo con la più rigogliosa Arcore o la strabiliante Villa Certosa, la residenza di Sardegna dove lui ha già ricevuto a suo tempo alcuni capi di stato, villa di rappresentanza istituzionale; lì c’è pure il vulcano, fra le boiseries anonime di Palazzo Chigi al massimo spicca qualche affresco  sbiadito. “Ce lo vedo benissimo a fare l’Ayatollah, il capo spirituale e distante, io lo immagino ad Arcore, come un idolo nel tempio”, dice Alfonso Signorini, il direttore di Chi, demiurgo dell’immagine berlusconiana, con le sue fotografie e i suoi servizi patinati. “E’ ad Arcore che è cominciato tutto, ed è ad Arcore che il Cavaliere è davvero se stesso. Berlusconi è lucido e funziona soprattutto quando è a casa sua, che è il vero centro del potere e del suo sistema di organizzare il comando”. Lui sta seduto alla scrivania, identica a quella di Palazzo Chigi, bandiera italiana ed europea, scrivania settecentesca in stile Luigi XVI, legno intarsiato, oro, fregi, poi i tendaggi, la segreteria affannata, i telefoni che squillano sempre… E’ il potere parallelo e casalingo di Silvio Berlusconi che raccoglie chez soi il governo ombra, laddove è sempre sottile e inafferrabile la differenza tra la riunione conviviale e il gabinetto di stato; perché quando il Cavaliere trova che la discussione si sia fatta troppo ingarbugliata, allora lui piazza all’improvviso una battuta spiazzante, ed è il suo modo di essere capo ma anche ospite, e dunque è forse vero, come lui stesso ha detto qualche volta, che se le riunioni le facesse nell’austerità di Montecitorio o di Palazzo Chigi allora le barzellette non gli verrebbero così bene. E nemmeno la politica. Denis Verdini, Paolo Bonaiuti, Daniela Santanchè, Fabrizio Cicchitto e poi Niccolò Ghedini, che ha una stanzetta tutta sua a Palazzo, e ultimamente anche Daniele Capezzone che si aggira per i saloni con l’aria d’un orsetto smarrito, tutti loro vanno e vengono, come staffette tra il Castello e quel Parlamento dove Berlusconi non ha bisogno di andare. Ed è insomma una routine stabilita e immutabile da anni quella che lega il potere berlusconiano e la casa berlusconiana, così lontana dai codici delle istituzioni e della politica classica: la colazione delle dodici, il punto sulla giornata tra un boccone di carne e di verdura, e poi ancora la riunione della sera, quando il Cavaliere, astemio, si concede un crodino con le pizzette.

    E c’è un’antica tradizione di leader indisposti, ritirati o interdetti dai pubblici uffici che governavano comunque, ma dalla distanza, intelligenti e carismatici tessitori come Kakuei Tanaka, che fu primo ministro del Giappone e guida del Partito liberal-democratico fino alla fine dei suoi giorni. Coinvolto e poi condannato nel 1983 per lo scandalo Lockheed, Tanaka continuò a esercitare da casa l’arte complessa e inebriante del potere. E poi in Italia c’è Beppe Grillo, l’Ayatollah pregiudicato a cinque stelle, la suprema guida spirituale che non si candida, non è segretario né presidente di nulla, eppure presta alla causa il suo nome, la sua voce, il suo volto e la sua barba quasi iraniana, simboli indispensabili alla sopravvivenza del Movimento che lui controlla senza temperanza né democrazia. “Ma per uno come Berlusconi comandare dall’esterno sarebbe il metadone, mentre il Palazzo è la droga”, dice Vittorio Feltri. “Certo, non dubito che ci riuscirebbe, la sua storia personale dimostra grande capacità di adattamento. Più che dalla rappresentanza, lui è sempre stato attratto dalla rappresentazione, i palchi, le foto, le piazze, le inquadrature televisive. Bisognerà vedere se non andrà soggetto alla depressione, anche se a lui, di solito, la depressione dura all’incirca dai due ai tre secondi”. Ebbrezza non del semplice comandare, ma dell’essere registi. Un giorno di tanti anni fa Berlusconi chiese a Pier Francesco Pingitore, “ma davvero tu organizzi le ballerine, disponi dei cameraman, studi le inquadrature, e tutto dipende da te?”. E l’altro, l’inventore del Bagaglino: “Sì, sono il regista”. E il Cavaliere, illuminato: “Quanto mi piacerebbe fare il regista!”. Carlo Freccero, che lo ha conosciuto quando ancora non faceva politica, dice che “il Cavaliere non finirà mai, perché non finiscono le sue aziende, non finisce il Milan né la Mondadori e non finisce Mediaset. Anche quello è potere”, dice Freccero. “Potere dei soldi”, le campagne elettorali, i giornali, le televisioni… Berlusconi sarebbe interdetto dal potere politico, ma non da quello finanziario, né sarebbe interdetto dal suo mondo così efficace, solido ed etereo insieme, fatto di lustrini e di pubblicità, una galassia che funziona sempre e senza bilanciamento dei poteri, senza Corti costituzionali, senza i lacci e i lacciuoli che lui denuncia ormai da secoli, senza passaggi parlamentari né decreti legge ostacolati da un Quirinale “parruccone”. Funzionalismo puro, soggetto soltanto alla sua volontà. Lui è, e rimane, il padrone anche se lontano dai Palazzi della politica. E dunque Berlusconi come Vecchio de Vecchis, il personaggio di Magnus, il grande capo che tutto organizza senza mai partecipare, il Numero Uno del fumettistico gruppo T.N.T. che tanto assomiglia, malandato com’è, al vecchio Pdl mezzo in frantumi, lo strano partito che sempre tutti vorrebbero ribattezzare a colpi di marketing creativo. E così nei T.N.T. c’è Alan Ford, che nel Pdl è però Angelino Alfano, “di tutti il più bello / ci sta proprio quello”, però gli manca il quid. E poi c’è Paolo Bonaiuti che “è il suo braccio destro / non è certo il più lesto nel gruppo T.N.T.”; e Fabrizio Cicchitto, che è Bob Rock “dal naso prominente / lui è il più divertente”, e ancora Otto Grunf “tedesco di Germania”, che assomiglia a Giulio Tremonti se solo l’ex superministro dell’Economia non se ne fosse andato dal Pdl. E poi il conte Oliver, e ancora Geremia, e infine il Cane Spia…

    “Ma loro sono proprio quelli che mi preoccupano, i colonnelli”, dice Alessandro Sallusti. “Il Pdl non è del tutto un fumetto di Magnus e non è nemmeno il Movimento cinquestelle dove nessuno coltiva ambizioni in proprio”, dice il direttore del Giornale. “Che Alfano non abbia il ‘quid’ si vede da fuori, ma loro non sanno di non averlo, e sarebbe ipocrita dire che lì dentro nessuno voglia sostituire Berlusconi. Ci hanno sempre pensato a mettersi al posto suo, e temo che con la sopraggiunta inagibilità politica del Cavaliere, dopo una sentenza di condanna, qualcuno ne possa approfittare”. E bisogna proprio immaginarsela allora questa inagibilità politica del Cavaliere, interdetto dalla Corte di cassazione, forse condannato a un anno di servizi sociali, lui che pure spesso, e non si sa quanto seriamente, già dice di volersi dedicare alla fondazione di ospedali con Guido Bertolaso. Cavaliere e infermiere, o giardiniere in quel parco di Arcore dove ogni albero è stato battezzato personalmente dal padrone di casa. “Il Cavaliere domava i suoi tanti cavalli perché esercitava un potere quotidiano, incarnato nei Palazzi del potere costituito”, dice Sallusti. “Ma l’anno scorso, al primo segnale di debolezza, i presunti fedelissimi si erano quasi ammutinati, come i bravi di Don Rodrigo. Si riunirono al Teatro Olimpico, vi ricordate? Fondarono un mezzo partito che si chiamava Italia popolare, pronti a consegnarsi a Mario Monti”.

    Portatore sano dello spirito santo, perché vincitore d’ogni contesa elettorale, Berlusconi esercita un potere pentecostale che cala dall’alto su tutti i suoi uomini, e come dice Marco Revelli, storico e intellettuale di sinistra, “quelli gli sono fedeli proprio per questo motivo. Perché lui li nomina e li garantisce”. Così quando alcuni di loro intuirono che il grande capo si sarebbe anche potuto ritirare, a dicembre del 2012, nacque subito la fronda, e ciascuno cominciò a organizzarsi affannosamente nella costruzione di tante piccole scialuppe da lanciare nel mare aperto di una nuova politica che sembrava affacciarsi all’orizzonte per l’eclissi imprevista del Caimano. Alfonso Signorini sorride, e conferma: “Se fossi Berlusconi non saprei proprio di chi fidarmi. Lui può anche fare il leader interdetto che non siede in Parlamento e non governa direttamente, ma si può fidare di questi qui? Non credo. Il grande problema è la solitudine del Cavaliere. E per questo penso che lui voglia rivoltare come un calzino il Pdl per rifondarlo. Credo pure che ci sia una sola persona dalla parte di Berlusconi, una sola erede politica, sua figlia Marina. Lei ce la farebbe, eccome se ce la farebbe”. Solo Marina, che è una Berlusconi in gonnella, una Silvio al cubo, lei che ha ereditato dal padre il piglio decisionista, potrebbe affiancarlo diventando il volto politico e il braccio operativo del Cavaliere monumentalizzato, isolato ma attivo come il Vecchio della Montagna, il Numero Uno dei T.N.T. Marina come vendetta, “mi avete tolto di mezzo per via giudiziaria ma non vi illudete”; Marina costretta a scendere in politica, malgrado tutti dicano che non voglia, perché ormai la battaglia si è fatta durissima e perché accanto a uno Ayatollah supremo c’è sempre un leader laico, un primo ministro eletto dal popolo, anche una donna. “C’è un precedente di successo”, dice Signorini, “ed è quello di Marine Le Pen. Questi leader carismatici, alla fine, possono contare solo sugli affetti familiari”, che notoriamente trattengono i mediocri ma incitano i prodi. Lo pensa anche Luigi Bisignani, che si è fatto intervistare da Libero: “Silvio si salva se dà il partito a Marina”. E d’altra parte, come diceva Leo Longanesi, “la famiglia è uno stato che riceve autorità dalle convenienze e dalla paura di morir soli in casa”, difatti l’idea circola, piace, ma non tanto negli ambienti romani, nei corridoi del partito, nei circoli del sottobosco politico e in Parlamento, ma piuttosto a Milano, nel cuore del berlusconismo, a Segrate, a casa Mondadori e ai piani alti, altissimi, di Mediaset. Però la soluzione dinastica (“complicata perché Marina non vuole”, dice Sallusti e conferma Signorini) infastidisce la sensibilità estetica di un uomo strutturato come Vittorio Feltri, “in politica non c’è ereditarietà”, dice il direttore. “Può avvenire nelle monarchie, nel dispotismo asiatico, e l’Italia non è democratica né monarchica. Semmai è anarchica. Dunque non ci credo. Certo, nella mia vita ne ho viste così tante che, alla fine, può anche succedere di vedere Marina Berlusconi al posto di Silvio Berlusconi. Solo non mi sembra, diciamo così, apprezzabile dal punto di vista estetico”. E Carlo Freccero: “Che sia Marina o no, poco importa. Berlusconi continuerà a comandare anche dopo che sarà morto”, come Lenin nel mausoleo, attraverso un codice, un’efflorescenza, un’emanazione, il leninismo e il berlusconismo, una luce immortale e un conto in banca.

    • Salvatore Merlo
    • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.