Amici miei
Domanda: se uno si candida alla Camera o al Senato con il movimento di Beppe Grillo, sull’onda di un colossale “vaffa” alla casta e ai suoi fratelli, e sulla scia di un “arrendetevi” detto al Parlamento degli zombie putrefatti da giudicare con tribunale del popolo e rieducare con lavori socialmente utili, può mai scandalizzarsi, poi, se Grillo dice, del Parlamento, “tomba maleodorante”? E se uno si arruola nella truppa pensata e gestita alla maniera di Gianroberto Casaleggio, il guru del mistero che vuole arrivare su Gaia, il pianeta governato dall’occhio collettivo della rete su Google può mai stupirsi e persino dissociarsi se, nella truppa eternamente connessa, il singolo non può essere – sorpresa – testa pensante? E può mai avere, al posto della voglia di fare la rivoluzione finora evocata a oltranza, questa voglia, improvvisa o forse no, di politicamente corretto, questo desiderio di farsi politico perbene, questo sogno di mimesi con l’istituzione perbene?
Domanda: se uno si candida alla Camera o al Senato con il movimento di Beppe Grillo, sull’onda di un colossale “vaffa” alla casta e ai suoi fratelli, e sulla scia di un “arrendetevi” detto al Parlamento degli zombie putrefatti da giudicare con tribunale del popolo e rieducare con lavori socialmente utili, può mai scandalizzarsi, poi, se Grillo dice, del Parlamento, “tomba maleodorante”? E se uno si arruola nella truppa pensata e gestita alla maniera di Gianroberto Casaleggio, il guru del mistero che vuole arrivare su Gaia, il pianeta governato dall’occhio collettivo della rete su Google, previa terza guerra mondiale con contorno di piaghe d’Egitto, può mai stupirsi e persino dissociarsi se, nella truppa eternamente connessa, il singolo non può essere – sorpresa – testa pensante? E può mai avere, al posto della voglia di fare la rivoluzione finora evocata a oltranza, questa voglia, improvvisa o forse no, di politicamente corretto, questo desiderio di farsi politico perbene, questo sogno di mimesi con l’istituzione perbene?
Grandi ambizioni, miserabili risultati: un panorama desolante si stende sotto ai piedi del Beppe Grillo condottiero, colpito anche dal calo di fan su Facebook. Da qualche parte deve rendersene conto pure lui quando dice, quasi sconsolato, che negli angoli del suo manipolo di eletti si è affacciato un “fisiologico scilipotismo dell’anima”, e che “far entrare un movimento così dentro la struttura del Parlamento è come far entrare un quadrato in un cerchio” (licenza poetica per “far quadrare il cerchio” o brutto scherzo giocato dallo stress delle telefonate che da qualche giorno gli tocca fare ai “dissidenti”, uno per uno e per venti minuti ciascuno?). Si era messo in marcia come Napoleone, Grillo. Si era proposto come diavolo spazzatutto. E però dalla collina su cui si è fermato non vede un esercito, ora, ma tutta l’argilla di cui è fatto un popolo.
Non ha detto “che fai, mi cacci?” come Gianfranco Fini al Cav., Adele G., l’espulsa a Cinque stelle, la senatrice Gambaro di cui tutti parlano, ma poco ci è mancato. A livello di provocazione, la sindrome dev’essere sembrata la medesima (ammutinamento ingrato?), agli occhi del comandante-ex comico cui nemmeno più è concessa, dalle sue creature, la rabbia iconoclasta prima esaltata sotto la spinta dell’indignazione un tanto al chilo e poi travisata o sottovalutata da chi, per “rivoluzione”, intendeva qualcosa di meno tonitruante, meno folle e quindi anche meno grandioso, in senso sia positivo sia negativo, di quello che tutti i giorni, da un camper o da un blog, Grillo andava annunciando a folle adoranti. A loro, ai soldati, la rivoluzione andava bene come balsamo per un risentimento più piccolo borghese che da battaglia. Nel bel mezzo del repulisti annunciato, si scopre che a molti basta denunciare il vicino di casa che non fa bene la raccolta differenziata e mette la plastica nel sacchetto dell’umido, meritandosi la punizione della multa. Soccorre, a questo punto, un articolo uscito su questo giornale tempo fa, firmato dal critico Riccardo De Benedetti. Lì si citava un saggio scritto nel 1938 dal sociologo danese Svend Ranulf sull“Indignazione e psicologia della classe media”, “l’emozione che sta dietro alla tendenza disinteressata a infliggere punizioni, disinteressata perché non ottiene alcun vantaggio diretto dal punire, ma solo il mascheramento, più o meno riuscito, di un tipo di invidia, intesa in senso neutro come in Erodoto”. “Non neutre”, però, scriveva De Benedetti, sono le conseguenze politiche di questa invidia, “quelle sì avranno la loro migliore espressione nei regimi totalitari e nelle formazioni socio-giuridiche che costruiranno, a seconda della bisogna, sistemi punitivi da rivolgere contro l’invidiato di turno”. Il controllo diventa “del cittadino”, ma “non è tanto importante che ciò permetta o meno un miglior funzionamento della vita politica, quanto che sia garantita punizione sicura di chi ha trasgredito le regole” o abbia “lucrato di appannaggi soprattutto simbolici”. La scatoletta di tonno, una volta aperta, è vuota, ha detto Grillo, ma vuoto è pure il suo campo: la noia che l’aveva spinto a lasciare la pantofola da comico in pensione non dà più la spinta per reagire davanti a quella flotta da rabberciare, che deve sembrargli la vaga incarnazione di un prototipo italiano: il mangiapane a tradimento.
Ma chi è Adele G., l’espulsa a Cinque stelle, la senatrice improvvisamente orripilata per i modi del grande capo, per le sue parole sulla Bibbia-blog e le sue definizioni truculente del Parlamento, senatrice improvvisamente pronta a dire che è colpa sua, del capo, se si perdono le elezioni prima vinte con il botto?
La permacultura, la biodiversità, l’autosufficienza, i vegetariani, i vegani e magari i fruttariani – popolo meravigliosamente immortalato nel film “Notting Hill”, dove il povero Hugh Grant si trova a dover sopportare l’appuntamento al buio con una tizia con le trecce che mangia solo radici e roba cruda, secca e non trattata, fino ad apparire cruda, secca e non trattabile lei stessa – la permacultura e i suoi derivati, dunque, devono essere in qualche modo la linfa che nutre la dissidenza grillina, se è vero che di permacultura e sovranità alimentare sempre parlavano e parlano alcuni dei volti noti del “vaffa” al re del “vaffa” Beppe Grillo. Come lei, Adele G., cacciata dopo un’intervista a Sky rilasciata con i toni della prof. che mette in riga l’alunno irriverente (solo che era il suo capo) e dopo un surreale processo tra i colleghi e sul Web. Nata a Genova, laureata a Ginevra e consulente alle imprese in tema di fondi europei, Gambaro è anche animatrice, a Bologna, dei gruppi ecosolidali della rete “Transizione”, diffusori della teoria dell’autosufficienza energetica e promotori del consumo diretto dal contadino senza passare dal distributore (“però poi ti arrivano a casa sempre le stesse biete e carote”, si lamenta un consumatore pentito). Ha incontrato il grillismo quattro anni fa, Gambaro, a un comizio in cui Grillo, presumibilmente, non stava a guardare la buona educazione istituzionale più di oggi. Poi si è avvicinata a un meet-up locale, che le ha chiesto di rendersi disponibile come “riempilista” per le amministrative. Non lo sapeva, allora, Gambaro, ma sarebbe stato quello il requisito per le parlamentarie: essere già stati candidati. Ed eccola lì, in Senato, “tra le scolaresche” che onorano il Parlamento come Grillo non fa, ha detto. Con due figli scout e un marito professore di Agraria (tutto si tiene), Gambaro a Bologna abita “in un’elegante via del centro”, dice un conoscente, e conserva amicizie “perbene” nel senso in cui il turpiloquente Grillo mai potrà essere: si narrà che quando Gambaro lavorava nella Federazione nazionale commercianti prodotti per l’agricoltura, a inizio carriera, fosse molto amica di una misteriosa “signora dai quattro cognomi”, dicono a Bologna, capace di contrastare il dirigente che non voleva concedere il part-time all’attuale senatrice. Sia come sia, Gambaro in città non era nota, prima dell’elezione, per essere una personalità trascinapopolo (anzi, i veterani dei meet-up volevano sempre rifilarle non solo il banchetto delle firme, ma anche la più defilata incombenza delle piadine). Per questo qualcuno si è stupito: “Grillo contro Gambaro? E’ uno scherzo?”. Roberta Lombardi, la talebana ex capogruppo dei Cinque stelle alla Camera, nota anche per gli streaming del disastro, l’ha detta in modo screanzato: “Adele chi?”. L’altra faccia dei dissidenti sono i soldati più grilleschi di Grillo, quelli che, con imperturbabile fissità, ripetono anche gentilmente i mantra della ditta (tipo il vicepresidente della Camera Luigi Di Maio o il presidente della Vigilanza Rai Roberto Fico) o quelli che vanno giù pesanti, come Manlio Di Stefano contro Paola Pinna, deputata assalita dalla preoccupazione per il clima da “psicopolizia” e definita dal collega “una Cosetta dei ‘Miserabili’ laureata e disoccupata che viveva con i genitori a Quartucciu”.
Il filo della società civile eco-indignata lega Gambaro a Paola De Pin, senatrice autoallontanatasi ieri dal gruppo dopo “sofferta riflessione” e per solidarietà con il “dissenso” soffocato nella collega. Restituirò la diaria, dice De Pin (nessuno vuole essere accusato di guardare al soldo, tutti vengono accusati di guardare al soldo). De Pin è “pioniera”, come dice lei, nel campo “della rigenerazione di cartucce-stampa”. Ecologico anche Alessandro Furnari da Taranto, comunicatore freelance e arbitro di calcio, autoallontanatosi dal gruppo alla Camera, con la concittadina Vincenza Giuliana Labriola, giovane mamma in cerca di lavoro fino all’elezione, per divergenze con il M5s sul caso Ilva, ma anche per malumore verso la gestione centralizzata, che prima, evidentemente, non pareva ai due fuoriusciti così terribile (Grillo, in giro per l’Italia, diceva le stesse cose e già espelleva i colpevoli di talk show come Federica Salsi e i sospetti di trama rinascimentale con coltello dietro la tenda come Giovanni Favia, protagonista di fuorionda assassino a “Piazzapulita” e poi attratto nell’orbita di Antonio Ingroia, che lo candidò alla Camera trascinandolo nella caduta). Dopo l’assaggio politico, l’espulso (o il transfuga) vuole fare da sé, con tanti saluti agli zombie e alle tombe maleodoranti, diventate oggetti da trattare con cura, forse in quanto specchio dei nuovi se stessi. Nel nome sta il sintomo: L’Italia migliore, ha chiamato la sua creatura politica Antonio Venturino, ex insegnante di teatro e consigliere regionale siciliano espulso dal M5s per una storia di rimborsi con corollario di presunte auto blu e insulti sul Web – insulti parsi esagerati persino a Grillo, lì per lì, prima del congedo colorito (“pezzo di merda”, è stato il saluto finale). E insomma pare quasi che molti grillini si sentano migliori a prendere le distanze dall’ingombrante energia sfasciacarrozze dell’uomo che li ha sdoganati ma che ora reclama, con convinzione decrescente, quello che tutti hanno firmato candidandosi: l’obbedienza al progetto rivoluzionario (e settario, nel senso della setta) ideato con Casaleggio. Solo che qui non ci sono i rivoluzionari.
La baracca a Cinque stelle, bolla solo in parte ermetica, non sembra più consona al nitore asettico del mondo di radici scotte, chilometri zero e discussioni da società civile in cui vorrebbero vivere i grillini eco-dialoganti (con Stefano Rodotà e Fabrizio Barca) come Adriano Zaccagnini, deputato non espulso ma assai critico, spesso invitato alle riunioni di Left in qualità di esperto di “beni comuni”: acqua, aria, terra (e fuoco?), tutto pubblico, tutto libero, tutto per tutti. Del suo video di presentazione per le parlamentarie, girato nelle campagne romane, si ricorda il cane che entrava in campo di continuo e l’altrettanto continuo riferimento alla “sovranità alimentare” (Zaccagnini è laureato in Scienze politiche ma prima di essere cliccato per il Parlamento si occupava, appunto, di “permacultura” – ancora lei). Il filo verde passa per Serenella Fucksia, senatrice solidale con Gambaro, animalista “non ancora completamente vegetariana”, e per lo strano ecologista part-time Bartolomeo Pepe, annoverato tra i non allineati solo a intermittenza, ex impiegato in un’industria petrolchimica (“devo pur mangiare”, diceva) ed ex attivista dei rifiuti tra Afragola e Marcianise, con un odio atavico per il Pd “assassino” (causa discariche) e un debole per Chávez (lo voleva invitare a Napoli). L’altro espulso, Marino Mastrangeli da Cassino, il senatore che andava in tv da Barbara D’Urso ma si faceva, parole sue, “intervistare one-to-one”, fa eccezione alla generale allure vegana dei malpancisti, ed è noto piuttosto per la sua esperienza in polizia, per la sconfinata ammirazione per Serpico e Bruce Lee e per l’autopubblicizzata battaglia (online) “contro il proibizionismo”. Non a caso, forse, i grillini critici ma non al punto da dire, come Gambaro, che è colpa dei post di Grillo se si perdono le elezioni, non sembrano folgorati dal dio della permacultura: Tommaso Currò, fisico-chimico con abilitazione all’insegnamento, al massimo corre sul lungomare di Catania, e i tre friulani Walter Rizzetto, Aris Prodani e Lorenzo Battista (avvocato, imprenditore, dipendente in una compagnia di navigazione), non sono noti per discorsi ispirati dall’agroeguaglianza e, pur nei distinguo, non sembrano per ora intenzionati a togliere a Grillo quel che è di Grillo (turpiloquio? follia? gusto dello sberleffo alla Coluche anche fosse contro l’intellò che si smarca schifato dai modi?).
“Grillo ha abbassato i toni”, dicono soddisfatti Gambaro e compagni, rendendo ancora più evidente al Napoleone Matto che la storia si fa dura: i soldati non sono della materia di cui era fatto il sogno.
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