Un brutto consiglio di professoresse
Domenica scorsa, scendendo a valle da una bella escursione sotto l’imponente Cervino, ho letto sul sito di Repubblica.it uno scorrevole e tutto sommato onesto résumé del caso Ruby. Dall’articolo si capisce che il pazzo leader benché imprudente non fece una telefonata da bauscia, che i poliziotti non ricevettero nessuna pressione e che se un magistrato del tribunale minorile ritenne che fosse stato violato un suo preciso ordine al riguardo della minorenne, all’occorrenza vi fu un suo superiore togato che rammentò alla collega che non poteva dettare ordini a nessuno, giacché in quel contesto l’intervento della magistratura doveva ritenersi di carattere esclusivamente “consultivo”.
Domenica scorsa, scendendo a valle da una bella escursione sotto l’imponente Cervino, ho letto sul sito di Repubblica.it uno scorrevole e tutto sommato onesto résumé del caso Ruby. Dall’articolo si capisce che il pazzo leader benché imprudente non fece una telefonata da bauscia, che i poliziotti non ricevettero nessuna pressione e che se un magistrato del tribunale minorile ritenne che fosse stato violato un suo preciso ordine al riguardo della minorenne, all’occorrenza vi fu un suo superiore togato che rammentò alla collega che non poteva dettare ordini a nessuno, giacché in quel contesto l’intervento della magistratura doveva ritenersi di carattere esclusivamente “consultivo”. Insomma, non vi fu concussione. Dunque, anche da un testo di cronaca lineare, scorrevole, non suffragato dalla diavoleria del dettaglio separato dalla realtà e dalla indignazione separata dall’intelletto, si evince dove sta il burlesque della ferale condanna preventiva e, ora, di prima istanza. Si capisce perché ci hanno impiegato mesi a trovare il pertugio per scatenare l’ennesima iradiddio sullo sventato Cavaliere. E perché qualcuno/a ha provato un orgasmo autentico nello scoprire il busillis formale della sempre formale ed elastica legge (che con Berlusconi più elastica non si può) in cui si è potuto impiantare il definitivo crucifige del Cavaliere. Si intuisce il gran lavorìo di occhiuti e origlianti sensi che si dev’essere sviluppato prima, durante e dopo il giorno in cui un procuratore della Repubblica presso il tribunale di Milano aveva smentito che per l’episodio telefonata-comissariato-Ruby vi fosse un’indagine a carico del presidente del Consiglio. E finalmente si capisce il bel giorno, mesi dopo la smentita indagine, in cui la notizia della notifica al presidente dell’avviso di garanzia esplose immantinente e spettacolare nel più opaco dei palazzi italiani. Dopo di che fu opera classica da arpeggione e pianoforte schubertiana. Edificazione morale per la gioia delle tirature (e che tirature!) dei giornali, e per quel paio, soprattutto, che gode della vita nella delazione della vita altrui. Adesso il verdetto ci si presenta nella dinamica di una sonora bocciatura all’esame di maturità. Un consiglio di professoresse ha stabilito che il ragazzo è stato un cattivo studente e per giunta la sua condotta ha costituito un pessimo esempio per l’intera scolaresca. In realtà noi sappiamo, lo abbiamo imparato in questo ventennio di irreggimentazione dentro la cassa da morto della legalità, che Silvio Berlusconi è l’ultimo rifugio del patriottismo.
Sappiamo che “fra le intenzioni del sistema post totalitario e le intenzioni della vita si spalanca un abisso profondo”. Sappiamo, come aveva previsto anche per l’occidente Václav Havel, che mentre la vita tende al pluralismo, alla varietà dei colori, a organizzarsi e costituirsi in modo indipendente, tende insomma a realizzare la propria libertà, la legge nel sistema post totalitario “esige monolitismo, uniformità e impone alla vita forme prevedibili”. Dopo di che, anch’io, che in questi ultimi vent’anni almeno un audiolibro col mio figlio undicenne l’ho ascoltato, dico con Dick Shelton della Freccia Nera, “E ora con tutto il rispetto per Sir Daniel che sa più di legge che d’onestà io non riconosco nessun signore, tranne il povero Enrico VI, che Dio l’abbia in gloria! Disgraziato! Che non è in grado di distinguere la sua mano destra dalla sinistra”. Tanto per dire di una legge, di un establishment, di una élite cuccurucu paloma, che avrà anche studiato e si sarà fatta inseminare anche a Harvard, ma la vera ragione per cui ha sempre voluto fottere Berlusconi è perché Berlusconi dice cose vere, poi magari non le fa, però almeno le dice, tipo “non è possibile che su 800 miliardi di costo della macchina dello stato non se ne possano trovare 8, quattro per l’Imu e quattro per l’Iva”.
Il Foglio sportivo - in corpore sano