La penultima cena

Il Cav. è minaccioso ma non spacca, Letta gli porta l'Iva in dono

Salvatore Merlo

Castello di Arcore, interno sera. Il tavolo ovale è quello piccolo della sala da pranzo intima, quella che a Villa San Martino si usa per le cene più distese, famigliari. Ci sono i figli, Marina e Pier Silvio, il fratello Paolo, l’onorevole avvocato Niccolò Ghedini e più tardi arriva anche Daniela Santanchè, la pasionaria che qualche ora prima ha assistito alla lettura della sentenza di condanna nell’aula del tribunale, “interdizione perpetua dai pubblici uffici”. Aria pesante, facce lunghe, il Cavaliere si lamenta, “ci avevano garantito delle cose e niente, niente, niente sta andando come doveva”.

Editoriale “Braccio di ferro” a Bruxelles

    Castello di Arcore, interno sera. Il tavolo ovale è quello piccolo della sala da pranzo intima, quella che a Villa San Martino si usa per le cene più distese, famigliari. Ci sono i figli, Marina e Pier Silvio, il fratello Paolo, l’onorevole avvocato Niccolò Ghedini e più tardi arriva anche Daniela Santanchè, la pasionaria che qualche ora prima ha assistito alla lettura della sentenza di condanna nell’aula del tribunale, “interdizione perpetua dai pubblici uffici”. Aria pesante, facce lunghe, il Cavaliere si lamenta, “ci avevano garantito delle cose e niente, niente, niente sta andando come doveva”. Ce l’ha con Giorgio Napolitano, troppo timido, ce l’ha con la Corte costituzionale, “che ha subìto l’influenza della nota lobby Scalfari-De Benedetti”, e poi con la procura e il Tribunale di Milano, “si sono intestati la missione di eliminarmi”, e infine un passaggio forse definitivo sul destino della grande coalizione e su Enrico Letta, “questo governo galleggia e basta, non so quale sia la strada giusta, ma quella che stiamo percorrendo adesso di sicuro non funziona”. Anche Marina parla molto, e a chi l’ascolta sembra di sentire lo stesso Silvio, battagliera, ma più giovane, coinvolta, tosta, “non dobbiamo mollare mai”, dice. Così, nelle pieghe della lunga conversazione, tra allusioni e ipotesi che riguardano anche la sentenza di Cassazione prevista per novembre (caso Mediaset), con l’avvocato Ghedini che, pessimista, maneggia più volte e senza cautela la parola “carcere”, lei, Marina, il presidente di Mondadori, diventa il soggetto e l’oggetto di pensieri sinuosi che pure il Cavaliere tende a respingere nei recessi più remoti della sua mente. “Hanno parlato molto della possibilità di una sua successione a Silvio”, dice Luigi Bisignani, l’uomo che sussurava ai potenti, “credo che Berlusconi si sia convinto, Marina è la sua erede”. E dunque Marina, la vendicatrice, ma in un orizzonte ancora lontano e sempre imprevedibile, arma finale che consentirebbe di tenere il marchio “Berlusconi” sui simboli elettorali, anche se tutto dovesse andare male, anzi malissimo.

    Gianni Letta si dichiara sconfitto
    E d’altra parte è di elezioni che si mugugna nel Pdl agitato, un mormorio che però sembra trasformarsi nella lunga dissipazione delle larghe intese, perché, dicono nel Pdl, a questo governo non gli si può dare un cazzotto, “ma lo si può mettere all’angolo”. Così ieri pomeriggio a Palazzo Grazioli, alle 14 e 30, in un pranzo dall’orario irrituale per le abitudini di casa, presenti i capigruppo, e poi Denis Verdini, Angelino Alfano e Gianni Letta, a un certo punto anche il gran visir del berlusconismo, contrario alle elezioni, fa spallucce di fronte allo stridore dei falchi, “non parlo perché sono sconfitto”. Ma lunedì notte a Palazzo Chigi, nello studio affrescato di Alfano, nelle stanze che furono dei bambini della famiglia Chigi e che oggi ospitano il vicepresidente del Consiglio, Renato Brunetta, Renato Schifani e Fabrizio Cicchitto, si sono scambiati pressapoco queste parole: “Napolitano non ci farà andare a votare, troveranno un’altra maggioranza capace di ripristinare il mattarellum e di metterci fuori gioco. Per il momento non c’è alternativa al governo”. E anche il Cavaliere inquieto lo ha capito. A cena con Enrico Letta, ieri sera, Berlusconi le ha utilizzate come un deterrente, le elezioni, come un mezzo bluff, e senza mai scagliare la parola “voto”, ma con quel gioco di allusioni e implicazioni che si usano tra uomini di mondo che condividono il medesimo codice e dunque s’intendono pur senza mai essere del tutto espliciti. Nelle ultime ore gli emissari di Arcore sono anche tornati a sondare gli ambienti vicini a Matteo Renzi, se Letta entra in crisi lui che fa? Lavorerà per le elezioni? Ma gli ambasciatori del Pdl hanno raccolto poco, mistero, risposte furbe e contraddittorie, dunque niente da fare, non c’è certezza, tutto rimandato; ovviamente non si fa manovra al buio, specie di fronte al rischio di vedere sorgere una nuova maggioranza berlusconicida, con il Senato che tra pochi giorni dovrà esprimersi sull’eventuale ineleggibilità del Cavaliere. E poi c’è Napolitano. Il presidente ha lanciato un avvertimento pubblico, rivolto al centrodestra, ma anche alle tentazioni esplosive di una parte del centrosinistra: “E’ necessario garantire la continuità di governo”. Parole che il Quirinale pare avesse anticipato, e reso esplicite, già l’altra sera al telefono con Gianni Letta. La presidenza della Repubblica non è incline a nuove elezioni e lascia intuire che una crisi di governo l’indurrebbe a reincaricare l’attuale premier con il mandato di riformare la legge elettorale, e non potrebbe che essere il mattarellum, il sistema più temuto in questa fase da Berlusconi e dal Pdl senza alleati.

    Eppure l’idea di ribaltare il tavolo è stata accarezzata, specialmente ad Arcore. Poco prima di andare a Palazzo Chigi da Letta, ieri c’era ancora chi suggeriva a Berlusconi di presentarsi a cena senza vino, ma con un disegno di legge già pronto, prendere o lasciare, sulla riforma della giustizia. Ma sedimentata la botta emotiva delle prime ore, il Cavaliere si è trovato in una diversa disposizione d’animo, l’irruenza ha già lasciato il passo alla logica, al calcolo di vantaggio. “Noi questo governo non possiamo farlo cadere adesso e sulle sentenze”, dice un ex ministro del Pdl, “ma possiamo costringerlo, possiamo condannarlo, a farsi logorare a sinistra”. E infatti a sinistra, anche nel Pd, in Sel, e nel Movimento 5 stelle, s’ode sempre più forte una litania fastidiosa per le orecchie del presidente del Consiglio e del Quirinale, come si fa a governare con uno condannato per prostituzione minorile? Come fa Letta a cenare con Berlusconi? “Bisogna aprire un dibattito politico serio”, dice Rosy Bindi, “può il Pd stare in maggioranza con un partito guidato da un leader che ha già accumulato diverse gravissime condanne, che pretende l’impunità in nome della legittimazione elettorale e non perde occasione per attaccare la magistratura?”. E’ dovuto intervenire Guglielmo Epifani, il segretario, per sopire, troncare, turare le falle, dopo aver parlato con Letta: lo sapevamo quello che stavamo facendo, anche prima, “è evidente che, nel momento in cui si è dato vita a un governo di servizio, in qualche modo si dovessero tenere distinte le questioni giudiziarie di Silvio Berlusconi dai problemi del paese”.

    Lunedì Enrico Letta ha avuto una conversazione telefonica anche con Fedele Confalonieri, il presidente di Mediaset. Il vecchio amico del Cavaliere, l’uomo dai consigli sempre aggraziati, è a Londra da qualche giorno. Al presidente del Consiglio ha trasmesso poche ma rassicuranti parole, su tutta la linea, pensieri che corrispondono a quelli dello zio Gianni, Letta il Vecchio, il gran ciambellano del berlusconismo all’apparenza indebolito, nella sua trama diplomatica, per il marasma che attraversa gli equilibri interni al Castello e che premia, per volume, la durissima Santanchè e il coordinatore Verdini, polo dialettico e di potere opposto a quello di Gianni Letta, un po’ come un tempo a corte era Giulio Tremonti. Ma il meccanismo d’emergenza, il paraurti istituzionale, si è attivato immediatamente, un attimo dopo la notizia che Berlusconi era stato condannato. E cercare Confalonieri, per il giovane Letta, è stato quasi un riflesso naturale, perché andava trovato subito un canale garbato, un interlocutore con il quale fosse possibile intendersi, adesso che Gianni Letta è accusato dai falchi di corte di avere sbagliato, di essersi esposto senza aver portato alcun risultato tangibile (“sono sconfitto”). Al presidente del Consiglio serviva qualcuno di autorevole e fidato che spingesse Berlusconi a incontrarlo ieri a cena, come in effetti è stato. Serviva Confalonieri.

    E dunque il Cavaliere, dopo aver a lungo rimuginato e cambiato idea almeno dieci volte nel corso della giornata, alla fine ha stretto la mano al presidente del Consiglio e con lui si è seduto al tavolo della cena degli equilibri, un pasto e una conversazione funambolici, con il felpato Letta che accenna distrattamente, come fosse un dettaglio che lo lusinga e basta, alle percentuali di gradimento che gli attribuiscono i sondaggi riservati, “il governo non è a tutti i costi”; e l’altro, il Cavaliere, sempre abile, che ascolta, scherza, un po’ si lamenta, ma poi ripiega sulla sostanza politica, che è la superficie sulla quale far scivolare con levità un olio bollente che si chiama abolizione dell’Imu e rinvio dell’aumento dell’Iva. Ma Letta è preparato, “le coperture le troviamo, anche per il cuneo fiscale”. E oggi, in Consiglio dei ministri, al primo punto sarà approvato il rinvio dell’Iva. Così s’intuisce che l’agitazione del centrodestra è per il momento senza conseguenze immediate, la corte del Cavaliere è attraversata da un intenso tramestio, produce rumore, ma poco altro, perché non ci sono molte carte da giocare, malgrado si agita nell’aria lo spettro di una nuova manovra, a settembre. E dunque il marasma si avverte, e il governo si riempie del cattivo umore del Pdl che pure non può, e forse persino non vuole, farlo cadere adesso. E quindi il Pdl esprime mugugni logoranti, non potendo far tirare le cuoia al governo, lo fa tirare a campare. Con il desiderio inconfessabile, ma fondato, di mettere così in crisi la sinistra, che per insipienza, travolta dai soliti riflessi pavloviani, alla fine potrebbe frantumarsi nelle sue antiche contraddizioni, spingere lei per il voto e arrivarci non con Matteo Renzi – come temono a destra – ma con Epifani. Dall’altra parte, accanto al Cavaliere, che sia interdetto o no, adesso c’è Marina.

    Editoriale “Braccio di ferro” a Bruxelles

    • Salvatore Merlo
    • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.