La retorica verde di Obama e la balla dell'equilibrio climatico
Da pochi decenni a questa parte, i leader politici hanno imparato che non vi è modo migliore che parlare di emergenze climatiche e ambientali per risalire nei consensi spostando il dibattito altrove. Difficile che un presidente in difficoltà venga criticato se, guardando in camera con volto sicuro e preoccupato, ci spiega che è rimasto poco tempo per salvare il pianeta e che tutti insieme possiamo preparare un mondo migliore per i nostri figli. Ieri Barack Obama ha presentato il suo piano di azione per il clima. L’obiettivo è il solito, la riduzione dei gas serra che causerebbero l’aumento della temperatura; le parole sono simili a quelle con cui catturò voti nel 2008, salvo poi lasciare le promesse verdi a impolverarsi su uno scaffale dello Studio ovale.
Da pochi decenni a questa parte, i leader politici hanno imparato che non vi è modo migliore che parlare di emergenze climatiche e ambientali per risalire nei consensi spostando il dibattito altrove. Difficile che un presidente in difficoltà venga criticato se, guardando in camera con volto sicuro e preoccupato, ci spiega che è rimasto poco tempo per salvare il pianeta e che tutti insieme possiamo preparare un mondo migliore per i nostri figli. Ieri Barack Obama ha presentato il suo piano di azione per il clima. L’obiettivo è il solito, la riduzione dei gas serra che causerebbero l’aumento della temperatura; le parole sono simili a quelle con cui catturò voti nel 2008, salvo poi lasciare le promesse verdi a impolverarsi su uno scaffale dello Studio ovale. Come da tradizione, Obama ha accusato gli altri di avere impedito la svolta ambientalista alla sua presidenza, e ha preparato una serie di interventi che potranno essere portati avanti senza l’approvazione del Congresso, dopo che la Corte suprema ha deciso che Obama può stabilire autonomamente le norme e i limiti sulle emissioni di anidride carbonica. Chi gli si oppone lo accusa di colpire con queste misure un settore già in difficoltà per la crisi economica che rischierebbe di non risollevarsi. Il presidente però non ha intenzione di fermarsi. Almeno non subito, questa volta. Anche se, visto il momento di grazia che vive l’industria del petrolio americana, non ci sarà tetto alle emissioni che tenga. E proprio sul petrolio ieri Obama ha bluffato, dichiarandosi favorevole all’oleodotto Keystone – che attraverserà gli Stati Uniti dal Canada – solo se la sua realizzazione non aumenterà la produzione di gas serra. Obama parte dal presupposto che la scienza abbia già capito tutto sulle dinamiche del clima, e che non vi siano più dubbi sul fatto che le emissioni di gas serra prodotti dalle attività umane siano i colpevoli del global warming, i cui effetti però non vengono più misteriosamente registrati dai termometri all’incirca dall’inizio del secolo. Si vive ancora sull’onda lunga dell’isteria creata dagli allarmisti qualche anno fa, quando ci veniva spiegato che se non avessimo agito subito la situazione sarebbe diventata irrecuperabile, che il mondo era destinato a friggere, che non aveva mai fatto così caldo o quasi, e che uragani e maltempo avrebbero flagellato l’umanità per i decenni a venire. Secondo i sacerdoti del culto catastrofista, le temperature nella seconda metà del Novecento si erano impennate come mai prima, e solo riducendo le emissioni ci saremmo salvati.
Da poco Bollati Boringhieri ha pubblicato in Italia un saggio dello storico Wolfgang Behringer, “Storia culturale del clima”, molto istruttivo per capire di cosa stiamo parlando e per inserire i dati in nostro possesso all’interno di un quadro più ampio rispetto al tempo che ha fatto negli ultimi vent’anni là dove abbiamo la casa al mare. “Viviamo in un’èra glaciale – spiega innanzitutto Behringer – anche se adesso fa sempre più caldo, ci troviamo pur sempre in un’èra glaciale. Nella storia del nostro pianeta si tratta di un’eccezione, poiché per il 95 per cento della sua storia sulla Terra non c’è stato ghiaccio permanente. Dal punto di vista statistico il clima peculiare della Terra è dato dai periodi interglaciali, nei quali faceva molto più caldo di oggi”. Non solo, dunque, nella storia del nostro pianeta in media ha fatto più caldo di oggi, ma normalmente alle temperature globali più elevate sono corrisposti periodi di crescita delle civiltà che hanno abitato la Terra a ogni latitudine. Quando le temperature scendevano, invece, spesso quelle stesse civiltà scomparivano. Circa 8.000 anni fa, per esempio, il livello dei mari era molto più alto di quello attuale e le temperature in media superiori di 2-3 gradi rispetto a quelle della fine del XX secolo. E’ il cosiddetto optimum climatico, un periodo interglaciale, spiega Behringer, “particolarmente favorevole allo sviluppo della civiltà”, durante il quale la tecnica progredì e l’uomo addomesticò i bovini. Verso la fine di questo periodo l’uomo iniziò a trasformare il paesaggio dell’Europa centrale. “Quel che gli ambientalisti odierni scambiano per la ‘natura’ da difendere – scrive ancora Behringer – non è altro che il prodotto di un’intenzionale attività di coltivazione, che fu sviluppata a partire dal Neolitico e che si estendeva dai paesaggi fluviali fino ai pascoli montani sulle Alpi”. Già, perché uno dei grandi equivoci da chiarire con chi difende la natura dall’intervento dell’uomo è: di quale natura stiamo parlando? E, di conseguenza, di quale clima stiamo parlando? Nel saggio di Behringer è ben spiegato che non esiste alcun punto di equilibrio: “La favola dell’equilibrio climatico è stata smentita. Che si consideri l’ultimo milione di anni, gli ultimi 12.000 o gli ultimi 1.000, il risultato resta lo stesso: periodi caldi e periodi freddi si alternano costantemente”, scrive. Gli adoratori di Gaia se ne facciano una ragione.
Se farà più caldo ci adatteremo
Lo storico tedesco non nega che sia in atto un riscaldamento, e che tra le cause dello stesso vi sia anche l’attività antropica, ma invita alla calma: “Stiamo parlando di un riscaldamento modesto. La storia culturale del clima è piena di esempi in cui il peggior nemico della civiltà ora è il caldo, ora il freddo. Il riscaldamento globale richiederà un po’ di adattamento e comporterà alcuni cambiamenti. A questo riguardo ci piacerebbe sentire anche il calcolo inverso e cioè quante persone in meno moriranno, perderanno il lavoro o non si ammaleranno a causa del fatto che gli inverni saranno più miti”. E a proposito dell’idea salvifica del taglio delle emissioni per cambiare il clima: “La Terra continuerà a riscaldarsi anche qualora tutti i paesi del mondo si comportassero in maniera esemplare e riducessero drasticamente i gas di scarico. Questo potrà forse irritare qualcuno. Ma è una notizia migliore rispetto alle previsioni di un’imminente glaciazione che circolavano qualche tempo fa”. Per finire, una martellata al vitello d’oro delle previsioni fatte con modelli matematici: “Difficile prevedere il futuro. Gli scienziati seri dovrebbero guardarsi dal voler interpretare il ruolo di Nostradamus. Le simulazioni al computer non funzionano meglio delle premesse in base a cui i dati vengono forniti; descrivono delle attese, non il futuro. La storia delle scienze naturali è anche una storia fatta di teorie false e prognosi sbagliate”. E ancora: “Il clima cambia. Il clima è sempre cambiato. Come vi reagiamo, è una questione di cultura. I falsi profeti e gli imprenditori morali hanno tentato sempre di trarne dei vantaggi. Gli uomini non sono come gli animali, che devono subire passivamente ogni trasformazione. Non c’è che una cosa da fare: stare calmi. Il mondo non andrà a fondo. Se farà più caldo, ci prepareremo”.
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