Adesso questo salotto buono (e un po' malconcio) a chi lo do?

Alberto Brambilla

Rizzoli Corriere della Sera e Mediobanca, i due salotti buoni della finanza italiana, sono in subbuglio. Non è ancora chiaro chi potrà essere il padrone della società che edita il Corriere della Sera: l’imprenditore Diego Della Valle è attivo ma non si è ancora deciso. Il cda di Mediobanca, invece, ha annunciato venerdì scorso quella che è stata letta dalla stampa come una “rivoluzione”: l’ad Alberto Nagel ha anticipato l’uscita dai patti di sindacato nei quali l’istituto fa da pivot. Mediobanca si è però scoperta debole rispetto ai concorrenti, nazionali ed esteri, nell’attività di banca d’investimento, branca che ha trascurato in passato privilegiando il suo ruolo di “banca di sistema” del capitalismo italiano.

    Rizzoli Corriere della Sera e Mediobanca, i due salotti buoni della finanza italiana, sono in subbuglio. Non è ancora chiaro chi potrà essere il padrone della società che edita il Corriere della Sera: l’imprenditore Diego Della Valle è attivo ma non si è ancora deciso. Il cda di Mediobanca, invece, ha annunciato venerdì scorso quella che è stata letta dalla stampa come una “rivoluzione”: l’ad Alberto Nagel ha anticipato l’uscita dai patti di sindacato nei quali l’istituto fa da pivot. Mediobanca si è però scoperta debole rispetto ai concorrenti, nazionali ed esteri, nell’attività di banca d’investimento, branca che ha trascurato in passato privilegiando il suo ruolo di “banca di sistema” del capitalismo italiano; dovrà recuperare terreno. I due dossier sono ovviamente separati, si sfiorano solo perché Mediobanca è nel patto di Rcs – e a breve non ci sarà più – eppure i destini delle due compagnie s’incrociano, sintetizzati in un quesito: quanto è profittevole restare seduti in questo o quel salotto quando il salotto è malconcio?

    Rcs si è per ora salvata dal fallimento perché parte dei soci ha aderito all’aumento di capitale per 400 milioni di euro. Era un’operazione necessaria dalla quale sono emersi conflitti latenti e incognite rilevanti sul piano finanziario. Defezioni da parte di azionisti storici, divergenze sulla strategia per il rilancio della sofferente società editrice del Corriere (in perdita per 509 milioni) e l’attesa per l’intervento di un “cavaliere bianco” contribuiscono a creare un nuovo stallo (come quello pre-aumento, durato mesi). Al momento sembra una partita di poker (metafora usata dal Sole 24 Ore). L’ultimo a scoprire le carte è stato l’imprenditore Giuseppe Rotelli che non sottoscriverà l’aumento di capitale, diversamente da quanto annunciato in precedenza. E’ stata questa sorpresa a mandare in fibrillazione gli altri soci che dovranno farsi carico della parte di ricapitalizzazione rimasta scoperta sia dentro il patto di sindacato, come Fiat e Intesa Sanpaolo, sia fuori da esso, in particolare Della Valle, contrario all’aumento fin dall’inizio; la retromarcia di Rotelli avrebbe però ammorbidito questa posizione. E’ all’imprenditore marchigiano che gli investitori guardano. E’ liquido, cioè ha soldi, incamerati nella finanziaria lussemburghese Dorint (oppure potrebbe attivare una linea di credito con Bnp Paribas, con la quale ha già fatto molti affari); ha un business promettente – a differenza degli altri soci di Rcs che stanno tirando i remi in barca – grazie all’azienda del lusso Tod’s, i cui profitti crescono. Secondo indiscrezioni, sarebbe in procinto di fare l’ultima mossa: comprare i diritti che Rotelli sta lentamente vendendo sul mercato (lo dovrà fare entro venerdì 28 giugno, termine ultimo per negoziarli) e ottenere così il 10 per cento delle quote di Rcs. Tra Rotelli e Della Valle pare non esserci alcun accordo pregresso, dicono fonti vicine all’imprenditore della sanità.

    Gli indizi corrono sul filo dei gossip soffiati tra gli spifferi nella piazza finanziaria milanese, e tratteggiano un Della Valle ancora titubante. Ipotesi A, si butta: avrebbe ricevuto la benedizione del banchiere di Intesa Sanpaolo, Giovanni Bazoli, dominus della partita Rcs, e la promessa di ridiscutere l’attuale piano di ristrutturazione che osteggia; ha avuto il nulla osta da parte di Mediobanca; avrebbe rassicurato l’attuale direttore del Corriere, Ferruccio de Bortoli, sulla sua permanenza alla direzione (cosa non scontata fino a poco tempo fa); le azioni legali minacciate nei confronti degli altri azionisti di Rcs sembrano in stand by (i suoi avvocati  rispondono “no comment”). Ipotesi B, aspetta: è stato fotografato di recente a Capri dal settimanale Chi in compagnia di Ezio Mauro, direttore di Repubblica, e di Enrico Mentana, direttore del tg La7 (stavolta non ha fatto la consueta capatina al baretto più “in” dell’isola). Avrebbe detto a Mauro di avere appreso dai giornali il proprio interesse per Rcs. Si schermisce, dunque, ma non rinuncia ufficialmente. Il mistero resta. E’ un amico di Della Valle, sotto anonimato, a spiegarne i dubbi e le reali ambizioni. “Non vuole diventare il ‘padrone’ del Corriere, piuttosto contribuire insieme ad altri a costruire qualcosa per l’avvenire affinché non resti solo una ‘entità giornalistica’, certo che la crisi del settore non aiuta…”. Criptico? Forse, ma non dice altro (“sennò che amico sarei?”). Il problema pratico è questo: quali garanzie ci sono sul cambiamento del piano industriale, sulla sostituzione del suo fautore, cioè l’attuale ad, Pietro Scott Jovane, per un realistico rilancio del Corriere affinché valga la pena dominarlo? Il prestigio vale lo sforzo, ma il titolo Rcs ha perso il 54 per cento in un anno, i debiti aumentano, la pubblicità cala e l’adattamento del quotidiano alle tecnologie digitali è molto lento. Insomma, Della Valle riuscirà a guadagnare? E’ la domanda che si fanno osservatori autorevoli, segnalando che, a prescindere dall’identità del salvatore, il “parlamentino”, e cioè il patto di Rcs, è “morto” con l’aumento di capitale, svolta critica  che però renderà la governance più diffusa sebbene senza garanzia di maggiore concorrenza (i vincoli interni sono sempre possibili). Sarà Mediobanca a consegnare il Corriere in mani altrui, ed essa stessa dovrà affrontare il mercato lasciando l’assetto di banca di sistema; che sia una rivoluzione, però, non trova d’accordo tutti.
    Ad esempio, l’ex commissario Consob, Salvatore Bragantini, non crede allo smantellamento dei patti di sindacato scritto nel piano industriale di Piazzetta Cuccia finché non sarà proprio “il barocco patto” su cui Mediobanca fonda il suo “periclitante dominio” a essere sciolto: lo ha scritto in un articolo sul Corriere. Altro scettico su Piazzetta Cuccia è l’ex dirigente di Banca d’Italia, Angelo De Mattia: “Per parlare dell’espulsione di questo strumento [i patti di sindacato] e sostenere che si è nel mare aperto della contendibilità ce ne vorrà”, ha scritto De Mattia su MF/Milano Finanza.

    • Alberto Brambilla
    • Nato a Milano il 27 settembre 1985, ha iniziato a scrivere vent'anni dopo durante gli studi di Scienze politiche. Smettere è impensabile. Una parentesi di libri, arte e politica locale con i primi post online. Poi, la passione per l'economia e gli intrecci - non sempre scontati - con la società, al limite della "freak economy". Prima di diventare praticante al Foglio nell'autunno 2012, dopo una collaborazione durata due anni, ha lavorato con Class Cnbc, Il Riformista, l'Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI) e il settimanale d'inchiesta L'Espresso. Ha vinto il premio giornalistico State Street Institutional Press Awards 2013 come giornalista dell'anno nella categoria "giovani talenti" con un'inchiesta sul Monte dei Paschi di Siena.