Le sue prigioni

Se si possa governare con un Cavaliere agli arresti nel suo Castello

Salvatore Merlo

Un sorriso appena accennato, a filo d’erba, forse un moto di sollievo, perché la settimana del sabba giudiziario poteva chiudersi anche peggio, malissimo, con una sentenza di condanna e 560 milioni di euro in meno. E invece ieri, nelle mosse della procura generale di cassazione sul lodo Mondadori, Silvio Berlusconi ha intravisto una crepa nel congegno detonato lunedì con la condanna in primo grado nel processo Ruby. “La condanna d’Appello regge”, ha detto il procuratore generale di fronte ai giudici avvolti nella toga rossa d’ermellino, “ma è a mio avviso necessario riquantificare una parte del danno, che potrebbe ridurre il risarcimento di circa il 15 per cento”. La sentenza è ancora da scrivere.

    Un sorriso appena accennato, a filo d’erba, forse un moto di sollievo, perché la settimana del sabba giudiziario poteva chiudersi anche peggio, malissimo, con una sentenza di condanna e 560 milioni di euro in meno. E invece ieri, nelle mosse della procura generale di cassazione sul lodo Mondadori, Silvio Berlusconi ha intravisto una crepa nel congegno detonato lunedì con la condanna in primo grado nel processo Ruby. “La condanna d’Appello regge”, ha detto il procuratore generale di fronte ai giudici avvolti nella toga rossa d’ermellino, “ma è a mio avviso necessario riquantificare una parte del danno, che potrebbe ridurre il risarcimento di circa il 15 per cento”. La sentenza è ancora da scrivere. Nella peggiore delle ipotesi significa che il Cavaliere risparmierà il 15 per cento di 560 milioni, che fa ottantaquattro milioni di euro. Nella migliore delle ipotesi significa che il processo d’Appello, che lo ha condannato, è invece da rifare, e allora sarà tutta un’altra storia, i 560 milioni tornerebbero nei forzieri del Castello, e se è poi vero, com’è vero, che da qualche tempo il sultano di Arcore s’è imposto un regime più austero, e che persino l’erba dei suoi parchi, nelle sue tante ville, non è più rigogliosa come un tempo, ebbene allora il Cavaliere inguaiato avrebbe davvero di che sorridere.

    Certo, c’è di mezzo ancora la storiaccia di Napoli, la compravendita dei senatori, il patteggiamento e la confessione del rotondo De Gregorio, il senatore passato dall’Idv al Pdl che contribuì alla caduta di Romano Prodi nel 2008. Eppure, forse, si è aperta una fessura nel grande cappio che Berlusconi già sentiva serrarsi intorno al collo, uno spazio, un filo d’aria che lascia aperte delle possibilità, come è stato per l’incontro di mercoledì con Giorgio Napolitano. Quanto basta a strappargli un mezzo sorriso, forse un sospiro. Così, bon gré mal gré, il Cavaliere si tiene stretti i panni della vittima, del sostenitore del Quirinale, e a chi gli chiede che farebbe se tutto precipitasse, se a novembre la Cassazione lo condannasse nel processo Mediaset, lui risponde: “Sono pronto a consegnarmi ai domiciliari”.

    E allora bisogna proprio immaginarselo il Cavaliere, il capo del secondo partito d’Italia, azionista di peso del governo, agli arresti domiciliari, rinchiuso a Palazzo Grazioli, un’ora d’aria al giorno. Qualche visita di Marina e Pier Silvio, una volta alla settimana, e poi gli incontri istituzionali, i vertici, i faccia a faccia con il presidente della Repubblica, le cene con Enrico Letta che però come tutti dovrà prima chiedere ai magistrati di sorveglianza il permesso di vedere il prigioniero. Ed ecco il dialogo tra il presidente del Consiglio trafelato e i giudici: “Ragione della visita?”; “Vede dottore, siccome dobbiamo fare una manovra urgente da trenta miliardi di cui però la stampa non deve sapere nulla altrimenti lo spread schizza a 500 punti e l’Italia fa default, e poiché Brunetta non vuole sentire ragioni e il governo rischia di cadere, allora lo zio Gianni mi ha consigliato di parlare riservatamente con il prigioniero. E’ una questione delicata, sa, ragion di stato, diciamo. Dovrei vederlo oggi”; “Le faremo sapere tra quindici giorni”.

    Può funzionare? Nel Pd sono molto dubbiosi, un po’ sorridono, un po’ si accorgono che il paradosso del presidente prigioniero, questo autunno, passa dalla letteratura alla realtà. “Sembra un racconto di Gogol”, dice Enzo Amendola, membro della segreteria del Pd, “una situazione, si fa per dire, ingestibile”. E che succederebbe? “Boh, è come esprimere un giudizio razionale sul teatro dell’assurdo”. E Matteo Orfini, leader dei giovani turchi, si mette a ridere (“come fai a governare con uno agli arresti?”). Poi fa una pausa, ci pensa sul serio, risponde, “suppongo che il Pdl troverebbe un altro capo”. Eh no, quelli dicono che il Cav. è Ayatollah, e l’incarico è a vita. “Ho capito, ma al di là di quello che si dice oggi, nel Pdl capiterebbe qualcosa. O no?”. E se non capita niente? “A occhio cade il governo, non puoi fare i vertici di maggioranza con uno agli arresti, su!”. Ecco. La storia del Cavaliere carcerato stimola anche la sensibilità letteraria di Gianni Cuperlo, “è un quadro surreale”, dice il candidato alla segreteria del Pd grattandosi la testa. “Ma ci arriviamo, se ci arriviamo, perché l’Italia è andata avanti a botte di anomalie per vent’anni. Così ci tocca l’anomalia delle anomalie. Non mi auguro affatto che Berlusconi finisca agli arresti”, ammette, “ma, al netto delle questioni giudiziarie, il Cavaliere non dovrebbe essere più il leader del centrodestra da un bel po’, da nessuna parte dell’Occidente uno fa il capo del suo partito ininterrottamente per diciannove anni”. E insomma nessuno, nemmeno nel Pd, sa come potrebbe andare a finire, a novembre, se Berlusconi fosse rinchiuso a Palazzo Grazioli. Mentre lui, il Cavaliere, almeno ieri sembrava sperare. Si aspettava una mazzata definitiva sul lodo Mondadori, ma nessuno è stato chiamato (ancora) a commentare una sentenza di condanna.

    • Salvatore Merlo
    • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.