Ben venghino i trolls

Stefano Di Michele

Perciò, s’avanzino i trolls. Siano i benvenuti – e più grande saluto a più feroce pernacchia. Un fraterno abbraccio – a chi di lessicale cattiveria sappia colpire, di felice invenzione stupire, di caustico improperio servirsi. Non sia l’offesa meno profonda, piuttosto ricercata; non sia l’ingiuria trattenuta, piuttosto elaborata. E così profonda gratitudine, infine – ma sia il vaffanculo accurato (non generico, ad adunata grillina: lo sfanculatore di classe è altro dallo sfanculatore d’ammasso), lo sberleffo rifinito, si metta al porco il rimmel e non solo il risaputo rossetto. E resta, comunque, che una delle più felici intuizioni, twittando twittando, è stata finora quella di porre di mezzo il “lipstick on a pig”, il maiale che si trucca i labbroni, colta evocazione di obamiana sortita.

    “Reprimendo costantemente il desiderio di insultare il prossimo, infatti, prima o poi la salute ne risente sviluppando malanni” (Liang Shiqiu, “La nobile arte dell’insulto”, Einaudi)

    Perciò, s’avanzino i trolls. Siano i benvenuti – e più grande saluto a più feroce pernacchia. Un fraterno abbraccio – a chi di lessicale cattiveria sappia colpire, di felice invenzione stupire, di caustico improperio servirsi. Non sia l’offesa meno profonda, piuttosto ricercata; non sia l’ingiuria trattenuta, piuttosto elaborata. E così profonda gratitudine, infine – ma sia il vaffanculo accurato (non generico, ad adunata grillina: lo sfanculatore di classe è altro dallo sfanculatore d’ammasso), lo sberleffo rifinito, si metta al porco il rimmel e non solo il risaputo rossetto. E resta, comunque, che una delle più felici intuizioni, twittando twittando, è stata finora quella di porre di mezzo il “lipstick on a pig”, il maiale che si trucca i labbroni, colta evocazione di obamiana sortita, quando Barack, non ancora in the White House, ebbe a commentare l’appaiamento della Palin con il McCain: “E’ come mettere il rossetto a un maiale”. Né solo il rossetto, si noti, né solo il maiale: piuttosto felice sommatoria, che a battuta di valenza internazionale sapeva rimandare. Ché, come è stato autorevolmente detto – a piena piazza, a tracimante indignazione: se non ora, quando; quando, se non adesso? A copiare e basta non c’è gusto – a fare il Franti fingendosi il Derossi pure i maiali smettono l’estetista: non vale né la pena né la spesa. S’avanzino dunque i trolls: nel fulgore della loro capacità d’inventiva, nel gran spolvero del traboccante dar di stomaco e dar di testa. Non male, per esempio, quello che, dopo la quieta adunata di piazza Farnese, si lascia andare a comprensibili abbandoni: “In ’sti momenti me manca Cavallo pazzo Abbrignani che fa irruzione sul palco de @ferrarailgrasso” – sarebbe pure stato meglio, dato l’incedere piacevolmente trilussiano, un @ferraraergrasso… E c’è chi almeno differenzia (si sa, si sa, e qualcuno lo scriverà: come la monnezza): “E’ arrivato @ferrarailgrasso, quindi adesso #SiamoTuttiPuttane + un puttanone”. E chi nota il contesto – ambasciatorale e al pronto desinare – nel festoso attruppamento di piazza ove la giustizia fu chiamata in causa non meno dell’indisciplinato pisello del Cav., che invece di starsene immobile come un geco s’affanna a saettare, pare, come uno sbirulino: “Diplomatici franzosi con la loro aurea da istitut d’études politiques e il ricevimento successivo…”. Ci sono dunque, alternativamente, motivi di soddisfazioni e, rispettosamente, argomentato di lagnanze. Perciò un giorno @ferrarailgrasso, tra un fucsia zoccoleggiante e un rosso passionale, annota e significa: “Ringrazio i trolls che insultano con fresca spontaneità. Never feed the professionals, cioè i giornalisti”, ma pure il giorno appresso deve segnalare – mentre è intento nel cambio stagionale delle mutande che furono sventolate liberatorie a Milano: trucissima mala azione non ancora bastevolmente deplorata – che “gli insulti di stamane sono noiosi e ripetitivi. Siete pregati di fare uno sforzo di immaginazione. Mehr Licht!”.
    Lo sforzo c’è, e si vede. Certe invenzioni linguistiche consolano persino più delle cronache politiche. Purtroppo, troppe volte il grottesco dalla politica non viene separato, così che il divertimento s’affoga nella noia. E l’antiberlusconismo di maniera (che pure ci sarebbe modo di fare del divertente antiberlusconismo di sostanza) finisce spesso come la bandierina sul pennone (non fallica metafora) più alto. Tanto nei messaggi su Twitter quanto nelle mail e affini. Grandi potenzialità, perlomeno zootecniche, nel pensionato che notifica a @ferrarailgrasso “che fisicamente tu sei un ‘sus scrofa domesticus’ per cui sono tentato di giustificare il tuo ‘amore’ per Al Capone”, per poi però ripartire su “Berlusconi delinquente, pedofilo, ma anche concussore e mentitore spudorato”, e infine planare: “P.S. ho 76 anni e sei vuoi querelarti contro di me fallo presto… Ho inviato copia della presente a 3 Procure della Repubblica, non si sa mai…”. Ancora? Proprio una fissazione. E un altro: “Ho visto il video in cui si trucca da meretrice: guardi che senza trucco s’era capito uguale. Cordiali salumi” – ove chissà se i salumi finali agli insaccati alludono, alle metafore dell’insaccato tendono (fosse Priapo o fosse Cav., capace solo la megalomania del secondo di appaiarsi con il metraggio del primo) o semplicemente una geniale impennata alla Ettore Petrolini: “Ho comprato i salamini e me ne vanto / ho mangiato i salamini e son contento”. Mica male anche “@ferrarailgrasso Central Interdict Agency. The new Cia”. Lo sforzo si vede, e va comunque segnalato, pure in “@ferrarailgrasso fa il cazzone è pure simpatico, basta che non lo si prenda sul serio come pensatore”. Nel parapiglia cinguettante, c’è anche per fortuna chi si pone interrogativi sullo stato economico del paese, e avanza soluzioni, “#incentiviacazzo contributi a fondo perduto a @ferrarailgrasso se apre un bordello”, e chi, di metafora in metafora, ha la capacità di distinguersi: “‘Berrò il sangue di chi festeggerà la condanna di Berlusconi’. Ok @ferrarailgrasso, me lo puoi succhiare”, e chi nota l’immediata convenienza mercantile della cosa, “ma una Puttana con la faccia di @ferrarailgrasso costa sicuramente poco”. E pure chi, con ammirata onestà, apprezza lo sforzo: “Credevo che il concerto di @DieAntwoord fosse la cosa più estrema in città, poi ho visto @ferrarailgrasso col rossetto a Piazza Farnese…”.

    Insomma, invettiva e inventiva ci vuole. Se uno di suo proclama “Siamo tutte puttane!”, che sforzo è rispondere: “Sei una puttana!”, sono già informato, grazie. Se uno si presenta come “il grasso”, bella fatica replicare: “Sei un ciccione!” (inteso pure: “Palla di lardo”, un più composto “grassone”, variando “palla di merda leccaculo”, “sacco di merda” – più precisamente “sacco di merda berlusconiano”, facendo il lordo, non il lardo, con la tara della complicità con il Caimano). Se uno si ritrae quale spia della Cia, lassù tra i giardinetti del Pincio o “sotto l’arberi der Lungotevere”, è possibile che l’unica cosa che si può rispondere sia “Spia, spia / non sei fijo de Maria”, o magari “Spia, spia / facCia de Cia”, come in un cineclub degli anni Settanta? Lo so, io so’ spia… Così che se uno si certifica “servo di Berlusconi”, poi si sente dare, tale e quale, “servo di Berlusconi”, casomai con un ampliamento alla casata redazionale tutta, “lì al Foglio siete tutti puttane”, oltre, si capisce, alla servitù addetti. Si copia un po’ troppo, oggettivamente. E’ come se uno vedesse il film di Sergio Leone, “Il buono, il brutto, il cattivo” e poi andasse da Clint Eastwood e gli dicesse: “Ah bono!”, andasse da Lee Van Cleef e gli urlasse: “Cattivo!”, poi fissasse Eli Wallach e lo sfottesse: “Brutto!”. Bello sforzo. Da qui l’appello fiducioso di @ferrarailgrasso – le labbra ancor grondanti rossetto fucsia e rossissimo sangue dei martiri democratici antiberlusconiani: l’hanno visto aggirarsi, tra la redazione e gli anfratti peccaminosi di Palazzo Grazioli che pareva il cane Cujo del romanzo di Stephen King: siate cattivi, spietati e feroci, ma non ditemi quello che già so. Inventare, scovare, proporsi. Cazzo/cazzone/cazzaro ha un suo senso, ma o si volge verso il Belli, “cacicchio, canaletto e cchiavistello, / er gionco, er guercio, er mio, nerchia, pirolo / attaccapanni, moccolo / bbruggnolo, ecc. ecc.”, o si volge verso l’infinita, pedante replica. Bastano persino gli stitici spazi di Twitter per un piccolo volo di fantasia. Pure copiando, se serve. Si prende, per esempio, Lenny Bruce – “Amo essere americano. Ma vorrei essere un cane e vorrei che Nixon fosse un albero”, e si adegua al fabbisogno odierno: “Amo essere italiano. Ma vorrei essere un cane e vorrei che @ferrarailgrasso fosse un albero”. O magari si opta per Groucho Marx – “E’ sua moglie, quella vicino a lei, o le hanno vomitato sulla sedia?”, e si posiziona al meglio: “E’ @ferrarailgrasso, quello vicino a lei, o le hanno vomitato sulla sedia?”. Mica troppo complicato. Non siate di meno, oh timidi e imbranati trolls, ma di più.

    E’ risaputo che quando il gioco si fa duro, i twittanti cominciano a twittare. E pratica da duri è stare nella selva oscura di Twitter, del Web, del parapò e parapì di tutti quelli che hanno ottima indignazione e pieno diritto e vescica piena di dir la loro su quanto lo scibile umano reca alle loro allertate orecchie. E’ sempre un liberatorio rutto, raramente articolata riflessione – pur se il rutto suo ognuno tiene per altissimo pensamento. Anche gente forgiata alle più dure prove della vita, quale la conduzione dei tiggì e lo scavalco quotidiano di montarozzi di carte giudiziarie, ha in certi momenti gettato la spugna. Enrico Mentana, inteso pure er Mitraglia, si è negato a ulteriori cinguettamenti. “Il numero di tizi che si esaltano a offendere su Twitter è in continua crescita. Calmi, tra poco ce ne andremo, così v’insulterete tra di voi”. Così Chicco se n’è ghiuto e soli li ha lasciati. Ma persino Marco T. Dettaglio, uno che si mangia un Dell’Utri al giorno con un Pigi Battista sempre per dessert, come Eta Beta la sua naftalina, un bel dì ha scapocciato leggendo Facebook e il suo blog (lui, leggendo il suo), “mi viene voglia di chiuderli e di dare ragione a chi paragona i social network alle pareti dei cessi pubblici”. A parte che sulle pareti dei cessi pubblici ci possono essere cose istruttive – ne fu tratto anni fa un volume, e l’acume non mancava ai frequentatori: “Voglio una donnaaaaaaa!”. “Bravo coglione, e la vieni a cercare nel cesso degli uomini?” – pure Mr. Dettaglio ebbe a lamentarsi nel vedersi una supposta servitù rinfacciata, evidenziò “alcuni decerebrati”, concluse sconsolato che “molte volte anche il mitico ‘popolo del web’ è una bella merda”. E Grillo, capace di tirar su dalla rete invece che acciughe candidati al Quirinale, ha notato “schizzi di merda digitali”, e ha evocato, con un puntiglio che neanche Totò al meglio (“macchinista, fuochista, ferrovieri, facchini, affini, collaterali, uomini di fatica!”), “orde di trolls, di fake, di multinick”. Bisogna dunque essere un po’ puttane, e saper manovrare gli appositi puttanieri come il rossetto, per reggere al meglio l’urto.

    Mica l’orda spaventa, ma la sua ripetitività. Alla fine variano poco gli argomenti, e poco varia pure l’argomentare. La ciccia, il sesso, il servo (di), la merda, la morte, la mamma “@ferrarailgrasso siamo tutte puttane lo dici a tua madre ok?”, la moglie – detto così, a occhio e croce, ci sarebbe da fare per Tolstoj e per Thomas Mann in coppia, ma il materiale varia, avariandosi, con il variare delle mani che lo maneggiano. Ci sono i buoni lagnosi che s’innalzano (“la informo che in Italia ci sono ancora tantissime brave persone con sani e puliti principi”, bla bla bla, “siamo tutte puttane? NO. Puttana sarai te… Da italiana, da donna, da giornalista vi scrivo questa mail…”, “io sono abituato a guardarmi allo specchio, la invito a farlo anche lei, poi mi dirà cosa vede! Che Dio la illumini”), quelli che inviano care, vecchie immagini del grassone imbellettato con Berlinguer e Fassino, i ripetenti che s’arrangiano almeno con un guizzo finale: “Ciao, @ferrarailgrasso Puttana ce sarai te e tutti quelli che pensan bene di te #SiamoTuttePuttane #SieteTuttiCoglionazzi”. Gli ammonitori: “@ferrarailgrasso pentitiiiiiii! Pentiti!!!!!!”. Le prefiche: “@ferrarailgrasso un giorno il popolo premierà i buoni e i corrotti marciranno come sagome sull’acqua… e lei è marcio da sempre!!!”. Pure i saggi che si organizzano, però: “@ferrarailgrasso Berlusbarak in piazza? Bene, spettacolo circense assicurato, vado a comprare birra e pop corn”, e quelli che formulano aspettative: “@ferrarailgrasso vengo solo se porta qualche nipote per me”. Non mancano forme quasi filosofiche di dialettica, “@ferrarailgrasso, sputtanarsi è un conto, imputtanirsi un altro” – chiaro rimando a classici della cinematografia come “Il tifoso, l’arbitro, il calciatore”, dove la grande Marisa Merlini osservava perplessa la propria figliola parecchio precoce nell’azione e decisamente espositiva nella figura, e infine sentenziava: “Ma fija mia, come te sei imputtanita!”. Ogni messaggio è gradito, ogni insulto considerato, ogni sberleffo caldeggiato. Da porco a porco: qui nulla si butta. Qui non si prende cappello: né per i decerebrati visionati dal Mr. Dettaglio, né per gli schizzi di merda sconsacrati. L’ammasso non dispiace, la qualità è gradita. Così si è: “Venite parvulos / c’è un applauso da fare al bau bau”.

    S’intuisce, nell’intento di molti, un ritorno alla tradizione di famiglia. “@ferrarailgrasso mio zio diceva che le troie lo fanno x denaro e le puttane lo fanno x il piacere di farlo!!!!!!”. Logistiche curiosità: “@ferrarailgrasso ma visto che #sietetuttiputtane perché a piazza Farnese e non sulla Salaria?”. “La manifestazione di @ferrarailgrasso è stato un successo se si aggiungono le presenze delle zoccole sulla Flamina, Salaria e Colombo”. Comprensibili ammonimenti: “@ferrarailgrasso a più tardi, a piazza Farnese, nun te scordà il rossetto, non il solito, mettine uno forte che fa più troia”. Consigli editoriali: “@ferrarailgrasso il Foglio dovrebbe intitolarsi ‘Rotolone a due veli’. Sarebbe più credibile” – pure qui, lo sforzo immaginativo va segnalato. Come la semplice, chiarificatrice annotazione: “@ferrarailgrasso toh! Un diminutivo!” o il solitario e felice “@ferrarailgrasso Mubaldrak?”. E qualche palese complimento, tra diagnosi medica e intuitiva antropologia: “@ferrarailgrasso Ma fatti curare che sei ridicolo… Rappresenti l’Italia più malata e anche tremendamente folle (ti giuro non sei normale)”. I seriosi rieducatori: “@ferrarailgrasso Mao t’avrebbe menato e cambiato il detto: menaneunograssoxeducarne 100”. I sospettosi: “@ferrarailgrasso vestito da puttana, forse voleva partecipare anche lui al bunga bunga”. I risolutivi: “@ferrarailgrasso ma sparati mignotta”. I dubbiosi: “@ferrarailgrasso Passate in rossetto dalle parti del Vaticano. Vediamo se poi vi vogliono ancora bene” (quelli, secondo certe indiscrezioni, ancor di più). I copiatori di Mr. Dettaglio: “@ferrarailgrasso ma levati il rossetto che pari Platinette!” – mancava: barbuta. I sostenitori di un Cav. Pride: “@ferrarailgrasso dovrebbe organizzare un ‘siamotuttigay’, anche per il bene dell’amor suo”. I cinematografari, al cospetto della cara immagine di Zio Mubarak in piazza: “@ferrarailgrasso chiedigli se era la nipote! Da parte di fava, come avrebbe aggiunto Tognazzi”.

    Che poi è facile dire che siamo tutti puttane. C’è chi, la maggioranza, conviene, “voi siete puttane da sempre”; c’è chi, caparbiamente, si oppone: non siete degni, giù le mani dalle puttane, “per essere delle puttane non è sempre necessario il rossetto, a volte basta una penna”, “siete bestie, non puttane, loro potrebbero insegnarvi la grammatica del rispetto”, e intervalli che variano da “zozzo” a “stronzo” a “leccapiedi”. Un po’ troppo risaputo – si sente di meglio girando sugli autobus senza mettersi a pigiare sui tasti del cellulare. Questa, a un fantasioso pendolare, non doveva forse sfuggire: “@ferrarailgrasso c’hai una panza che se te vede Mazinga ce parcheggia l’astronave”. Il problema: se l’indignazione non è tenuta a bada da almeno una manciata di ironia, alla catena (del cesso) rischia di restarci la fantasia. Ma lo stesso lo sforzo c’è, i risultati di sicuro si vedranno. Almeno un po’ di “fresca spontaneità”, come l’anguria al banco del cocomeraro all’angolo, un accenno di fantasia in più che in molti resoconti delle cronache dei giornali, qua e là si ammira. Forza trolls! Forza fake! Forza multinick! 
    P.S.: C’è chi apertamente minaccia ritorsioni: “@ferrarailgrasso ah sì? e noi ti risponderemo con un toga party!”. Ma non c’era già qualcosa del genere, nella tavernetta di Arcore, tra le carte di Milano? Qui, cari trolls, trollando trollando, si copia davvero troppo. Persino al Cav.