Muro antiliberale

Il ministro Zanonato ha tante idee e nient'affatto sviluppiste su privatizzazioni e spesa pubblica

Carlo Stagnaro

Il commitment politico è cruciale per il buon esito delle privatizzazioni. E’ una delle principali conclusioni del rapporto Ocse sulle privatizzazioni italiane degli anni Novanta. Quel rapporto, il ministro per lo Sviluppo economico, Flavio Zanonato, non deve averlo letto con grande attenzione. Lo si capisce dalla molto esplicita intervista concessa ieri ad Antonella Baccaro sul Corriere della Sera: “Per non disperdere il patrimonio delle grandi imprese italiane, come ad esempio Alitalia e Telecom, mi chiedo se l’ipotesi di un intervento della Cassa depositi e prestiti non possa essere valutata”. E ancora: “Io mi batterò perché non si svendano aziende strategiche perdendo quote di mercato.

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    Il commitment politico è cruciale per il buon esito delle privatizzazioni. E’ una delle principali conclusioni del rapporto Ocse sulle privatizzazioni italiane degli anni Novanta. Quel rapporto, il ministro per lo Sviluppo economico, Flavio Zanonato, non deve averlo letto con grande attenzione. Lo si capisce dalla molto esplicita intervista concessa ieri ad Antonella Baccaro sul Corriere della Sera: “Per non disperdere il patrimonio delle grandi imprese italiane, come ad esempio Alitalia e Telecom, mi chiedo se l’ipotesi di un intervento della Cassa depositi e prestiti non possa essere valutata”. E ancora: “Io mi batterò perché non si svendano aziende strategiche perdendo quote di mercato. Finmeccanica e Fincantieri sono leader mondiali in alcune attività, può capitare che abbiano bisogno di rafforzarsi, di stringere partnership industriali con altre imprese, ma con l’obiettivo di tutelare produzione di qualità e occupazione”.

    Ci sono almeno due grosse falle nel ragionamento. La prima è l’idea che “svendere” aziende pubbliche equivalga a “disperderne il patrimonio” o “ridurne le quote di mercato”. Non è così, a meno che non ci si riferisca al tipo di “svendita” nella quale il compratore è scelto a priori e non c’è vera contendibilità. Il processo di alienazione di una società pubblica è complesso e va condotto con grande attenzione. Per esempio, è meglio separare le reti dai venditori di servizi, ed è bene – quando c’è di mezzo un ex monopolista – farne spezzatino, dove possibile, per alimentare da subito una dinamica competitiva virtuosa. Ma qualunque buona privatizzazione prevede inevitabilmente la perdita del controllo da parte della politica: cioè la rinuncia a intervenire sia sulle strategie aziendali, sia sugli assetti proprietari futuri. L’arrivo di compratori stranieri non è da guardare con sospetto, ma è anzi segno della residua vitalità della nostra economia. Non è un caso se ci lamentiamo degli investimenti diretti esteri, dove siamo Cenerentola d’Europa. Certo, possono esserci situazioni eccezionali: ma per evitarle ci sono già gli strumenti, e non stanno nella proprietà pubblica quanto in una normativa sulla golden share che già concede poteri significativi all’esecutivo.

    C’è poi un secondo aspetto nascosto nelle parole di Zanonato: la funzione obiettivo sottostante. Parlando di Fincantieri e Finmeccanica, il ministro non si preoccupa del dovere delle imprese di fare profitti. Cita, piuttosto, un concetto vago ed elastico (“la produzione di qualità”) e uno molto più concreto e preciso (“tutelare l’occupazione”). L’idea che la proprietà pubblica debba restare per proteggere i livelli occupazionali è nefasta: sovrappone la politica industriale con il welfare state, e nel passato ha spesso prodotto l’assurdo mantenimento di imprese decotte con costi sociali immensi.

    Cosa c’è dietro le mosse aggressive della Cdp
    E’ forte la tentazione di considerare quella di Zanonato una boutade: in fondo, una visione così ampia sul ritorno alle partecipazioni statali stride con la cautela dello stesso ministro, solo qualche settimana fa, sulla disponibilità di appena 2 miliardi di euro contro l’aumento dell’Iva. Peraltro, egli sta seduto su un tesoretto di 10 miliardi di euro, cioè quanto il rapporto Giavazzi sui sussidi alle imprese ha qualificato come “tagliabile”. Ma, in realtà, la scelta di non metterlo in discussione è coerente con l’approccio dell’intervista al Corriere. I contenuti, poi, sono a loro volta coerenti con la strategia aggressiva della Cassa depositi e prestiti nei settori infrastrutturali, dove la ragnatela pubblica sta catturando ogni sussulto di vita privata. La determinazione della Cdp a favorire il consolidamento delle utilities è un potente cavallo di Troia in questo senso, che si somma alle acquisizioni in ambiti così eterogenei come gli aeroporti, l’acqua, la logistica, le autostrade, le reti elettriche e gas, e potenzialmente i rigassificatori.
    Insomma: unendo i puntini, emerge un disegno assai consapevole. Che le ultime “privatizzazioni” – Sace, Simest e Fintecna e la cessione di Snam da parte dell’Eni – avessero l’aspetto di un mero trasferimento dal Tesoro alla Cassa ne è un indizio tristemente ironico. Quella indicata dal ministro è la strada dell’interventismo pubblico. Chi ha a cuore le prospettive di crescita del paese contro queste idee deve fare muro.

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