Il nuovo presidente giura, è caccia al gruppo islamista

Così il crollo-lampo dei Fratelli al Cairo scompiglia le altre capitali della regione

Daniele Raineri

La caduta dal potere dei Fratelli musulmani è velocissima al Cairo – “Non riesco a crederci, ora ho già visto tre presidenti egiziani nella mia vita”, è un commento che inquadra bene la differenza con i decenni immobili sotto Mubarak – ed è spiazzante anche vista dalle altre capitali e dagli altri centri di potere nella regione. Ieri, mentre il giudice capo della Corte costituzionale Adly Mansour giurava da presidente e l’esercito dava la caccia a circa trecento leader dei Fratelli musulmani per arrestarli (e impedire loro di istigare i membri del gruppo e di organizzare la resistenza), era anche ora di vedere cosa succederà fuori dall’Egitto.

    La caduta dal potere dei Fratelli musulmani è velocissima al Cairo – “Non riesco a crederci, ora ho già visto tre presidenti egiziani nella mia vita”, è un commento che inquadra bene la differenza con i decenni immobili sotto Mubarak – ed è spiazzante anche vista dalle altre capitali e dagli altri centri di potere nella regione. Ieri, mentre il giudice capo della Corte costituzionale Adly Mansour giurava da presidente e l’esercito dava la caccia a circa trecento leader dei Fratelli musulmani per arrestarli (e impedire loro di istigare i membri del gruppo e di organizzare la resistenza), era anche ora di vedere cosa succederà fuori dall’Egitto.
    La lista di chi perde e di chi vince con il cambio di governo al Cairo è strana, mette assieme nemici mortali e separa alleati strategici. Il primo a essere danneggiato è Hamas, il gruppo costola dei Fratelli musulmani che controlla la vicina Striscia di Gaza. A dire il vero le cose non stavano andando benissimo già prima, perché l’esercito egiziano ha sempre conservato la sua posizione dura con i vicini palestinesi – basta considerare la campagna contro i tunnel che riforniscono di merce il territorio, che i militari hanno allagato e reso inservibili con acqua di fogna. Hamas godeva comunque di un grande alleato nei Fratelli musulmani e quando l’anno scorso la sua leadership politica è stata cacciata da Damasco ha trovato subito ospitalità al Cairo. Durante l’ultima guerra con Israele, a novembre, il premier egiziano Hisham Qandil in persona ha attraversato il confine ed è andato nel centro di Gaza a testimoniare la solidarietà, una cosa mai accaduta prima. Il gruppo ora tace e ha fatto circolare un ordine interno che vieta ai leader e ai membri di commentare la perdita dell’alleato.

    Il grande vincitore è la casa regnante sull’Arabia Saudita, che ieri è stata la prima a congratularsi con militari e opposizione in Egitto. I Saud detestano i Fratelli musulmani, che considerano una minaccia potenziale alla stabilità del trono – “tutti i guai del regno vengono dalla Fratellanza”, disse nel 2002 l’erede al trono Nayef – e si vede dalla copertura riservata loro dal canale satellitare saudita al Arabiya, sempre pronto a esaltare le proteste e a mortificare il governo del presidente deposto Morsi. Il neopresidente ad interim, Mansour, è stato l’uomo di fiducia del rais Hosni Mubarak in Arabia Saudita, dove ha lavorato per un decennio, e la sua nomina è vista dai Saud come una parziale ricompensa per la cacciata di Hosni Mubarak nel 2011, al quale erano molto legati.
    Un altro grande perdente è il nuovo emiro del Qatar. Il giovane al Thani ha reagito con stile, mandando ieri un messaggio di congratulazioni per ribadire che Doha appoggia “il volere del popolo egiziano”, ma il suo canale satellitare, al Jazeera, al contrario di al Arabiya, era ferocemente schierato contro le proteste, che ha ignorato finché ha potuto mandando in onda reportage dalle strade brasiliane e cronache di sport (l’esatto contrario del 2011, quando al Jazeera visse contro Mubarak il suo momento di gloria). La sede della filiale egiziana di al Jazeera è stata chiusa dalla polizia e i giornalisti arrestati subito dopo la scadenza dell’ultimatum militare. “Il popolo egiziano” non sta ricambiando le buone maniere. Il nome ufficiale della tv oscurata è al Jazeera Mubasher, ma è chiamata con disprezzo al Jazeera Ikhwan, “Fratellanza”, perché era schierata troppo con il governo Morsi.

    Altri danneggiati sono Tunisia, Iran e Turchia. A Tunisi il governo del partito Ennahda, edizione locale della Fratellanza, è investito dalla fiammata del Cairo. “Oggi in Egitto, domani in Tunisia”, cantano i manifestanti sotto le sue finestre. I problemi sono gli stessi, inefficienza, il finale potrebbe essere il medesimo. L’Iran perde in Morsi un alleato inatteso, con il quale stava tessendo un avvicinamento. Il governo turco, che si proponeva ai Fratelli come modello di islam politico vincente, perde quelli che considerava i suoi volenterosi emulatori.
    Festeggia il presidente siriano Bashar el Assad. Proprio la posizione filojihadista di Morsi sulla guerra a Damasco è stata l’elemento finale di rottura con i generali egiziani. Assad era dato per spacciato nel 2012, invece è sopravvissuto politicamente ai suoi nemici in Qatar e in Egitto.

    • Daniele Raineri
    • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)