Paesi sudamericani infuriati con l'Europa
Niente asilo politico a Snowden in Italia. Il "disguido tecnico" sull'aereo di Morales
L’Italia non ha mai voluto bloccare l’aereo di Evo Morales per ragioni politiche: c’è stato semplicemente un disguido tecnico originato dal veto di Portogallo e Francia allo scalo. E' questa la versione che Ministero della Difesa e Farnesina danno al Foglio, a proposito della querelle sul velivolo presidenziale che è rimasto per 14 ore a Vienna, per l’asserito sospetto che ci fosse a bordo Snowden (sulla cui richiesta di asilo ha parlato oggi il ministro Bonino: "L'Italia non lo accoglierà, in gioco ci sono i rapporti con gli alleati", ha detto).
L’Italia non ha mai voluto bloccare l’aereo di Evo Morales per ragioni politiche: c’è stato semplicemente un disguido tecnico originato dal veto di Portogallo e Francia allo scalo. E' questa la versione che Ministero della Difesa e Farnesina danno al Foglio, a proposito della querelle sul velivolo presidenziale che è rimasto per 14 ore a Vienna, per l’asserito sospetto che ci fosse a bordo Snowden (sulla cui richiesta di asilo ha parlato oggi il ministro Bonino: "L'Italia non lo accoglierà, in gioco ci sono i rapporti con gli alleati", ha detto). Gli Stati Uniti si sono ufficialmente tirati fuori: fanno sapere di non aver chiesto niente agli europei, che avrebbero bloccato l’aereo di Morales su loro iniziativa autonoma. E anche Spagna di Rajoy nega ogni veto. Hollande ha invece chiesto scusa, spiegando però di aver dato il permesso non appena ha saputo che c’era il presidente a bordo, e che l’incidente sarebbe stato dovuto a “informazioni contraddittorie”. Il problema italiano sarebbe nato da quell’improvviso puntare dell’aereo di Morales a Vienna: non capendo cosa stava succedendo, il nostro Paese avrebbe tolto l’autorizzazione semplicemente in attesa che venisse comunicata la nuova rotta per la concessione dello spazio diplomatico. Alla Farnesina ci hanno anche smentito l’allarme di alcuni giornali sulla possibilità di una rottura delle relazioni diplomatiche. La lettera di protesta della Bolivia con l’Italia è di tono duro, ma conferma l’intenzione di “mantenere l’amicizia”.
Il particolare può forse illuminare sul quadro di un Sudamerica in apparenza furioso con l’Europa, ma in cui sotto la superficie la situazione è più complessa. E' stato infatti convocato a Lima il vertice dei ministri degli Esteri dell’Unasur. Ma è stato convocato anche un vertice di presidenti nella boliviana Chochabamba, di cui il ministero degli Esteri peruviano Eda Rivas ha tenuto a chiarire: “non è una riunione dell’Unasur”. Presenti l’ecuadoriano Rafael Correa, l’argentina Cristina Fernández de Kirchner, il venezuelano Nicolás Maduro, l’uruguayano José Mujica e anche quello del Suriname Desiré Delano Bouterse: quelli che hanno prodotto i commenti più indignati. Ma non i presidenti di destra di Colombia, Cile e Paraguay: quest’ultimo peraltro ancora sospeso dopo la rimozione del presidente Lugo. Il colombiano Juan Manuel Santos ha anzi detto che il trattamento riservato a Morales è stato “inaudito”, ma che non è il caso di fare guerre diplomatiche all’Unione Europea. Mentre cileno Sebastián Piñera è stato significativamente in silenzio. E neanche sono andati a Cochambaba i presidenti di sinistra moderata di Perù e Brasile: Dilma Rousseff, peraltro in tutt’altri guai affaccendata dopo le ultime grandi proteste, anche se a sua volta ha manifestato “indignazione e ripudio”.
Dura ovviamente la reazione dell’Alba, l'intesa dei governi chavisti. E “indignazione” è stata espressa anche dal Mercosur: l’area di integrazione economica originariamente ispirata al modello Cee di cui fanno parte Brasile, Argentina, Uruguay e Venezuela (col Paraguay anche qui sospeso). Ma il bello è che c’è stato anche un comunicato da Washington del cileno José Miguel Insulza, che come segretario generale dell’Organizzazione degli Stati Americani ha detto che “nulla giustifica una azione di tanta mancanza di rispetto per la più alta autorità di un Paese”. Per lo meno singolare, dal responsabile di un’organizzazione che da tempo i governi latino-americani più radicali attaccano proprio perché la accusano di essere troppo prona agli interessi degli Usa. Proprio in contrapposizione all’Osa nel 2010 è nata la Celac: Comunità di Stati Latinoamericani e Caraibici senza Usa e Canada. Che però è stata zitta: come del resto l’Alleanza del Pacifico, il blocco commerciale creato nel 2012 tra Messico, Colombia, Perù e Cile.
In realtà, già prima della morte di Chávez il progetto radicale dell’Alba si stava stemperando. L’Ecuador, in particolare, mantiene con gli Usa un regime di preferenza doganale in nome del quale dopo un colloquio telefonico con Biden Correa aveva deciso di rifiutare l’asilo a Snowden: sia pure con l’escamotage tecnico del fatto che la “talpa” non era presente in territorio ecuadoriano. E anche il Venezuela, che aveva di recente intrapreso un processo di normalizzazione con gli Usa dopo un incontro tra i due ministri degli Esteri Kerry e Jaua, aveva preso una decisione analoga. Ma il caso Morales porta a un ritorno di fiamma ideologico, che compatta all’Alba Argentina e Uruguay. La Kirchner, perché dopo la morte di Chávez è da un po’ tentata di assumere l’eredità della sua leadership regionale. Mujica, perché per quanto moderato sia il suo governo di fronte a certi appelli risuona il richiamo della foresta della sua giovinezza tra i tupamaros. Probabilmente, si agita anche lo spettro dell”imperialismo” per riacquisire un po’ di consenso interno, dopo che gli eventi brasiliani hanno dimostrato quanto tutti i governi latino-americani siano a rischio di contestazione. Ma proprio per questo ci sono governi che su un tale percorso accidentato non hanno la minima intenzione di incamminarsi.
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