Saviano ignora la differenza tra Web spione e scoop vecchio stile

Piero Vietti

Sulla prima pagina di Repubblica di ieri, appena sopra all’editoriale con cui Barbara Spinelli dichiarava guerra agli Stati Uniti, Roberto Saviano spiegava che il caso Snowden “dimostra che le democrazie sono cambiate per sempre”, che viviamo in “un mondo senza segreti” dato che “la rete ha posto fine a una prassi secondo cui le potenze raccoglievano e gestivano informazioni che, nel silenzio, servivano a mantenere equilibri di potere”. Da gran maestro dell’ovvio quale è, anche Saviano cade nel retorico attacco al Web.

    Sulla prima pagina di Repubblica di ieri, appena sopra all’editoriale con cui Barbara Spinelli dichiarava guerra agli Stati Uniti, Roberto Saviano spiegava che il caso Snowden “dimostra che le democrazie sono cambiate per sempre”, che viviamo in “un mondo senza segreti” dato che “la rete ha posto fine a una prassi secondo cui le potenze raccoglievano e gestivano informazioni che, nel silenzio, servivano a mantenere equilibri di potere”. Da gran maestro dell’ovvio quale è, anche Saviano cade nel retorico attacco al Web, tipico di chi non sa con chi prendersela per le cose brutte che succedono: dopo avere criticato la famosa “trasparenza” che Internet avrebbe portato nel mondo (la quale viene esaltata o criticata a seconda dell’utilità del momento), Saviano chiede di “porre il problema delle regole nel vasto mare del Web”, subito dopo avere invocato l’intervento dei media classici, che dovrebbero “fungere da setacci volti a filtrare solo le notizie a prova di verifiche”.

    Secondo Saviano, dunque, saremmo venuti a conoscenza delle fughe di notizie di Wikileaks prima e dell’opera di “spionaggio” degli Stati Uniti poi, grazie al fatto che queste informazioni sarebbero state gettate “nel mare magnum” del Web, là dove “si può trovare chiunque e qualsiasi cosa” e dove “è difficilissimo discernere il vero dal falso”, e dove si dà autorevolezza a una notizia solo perché ha tanti “mi piace” sui social network. Eppure Wikileaks e il caso Nsa sono diventati noti al mondo intero perché pubblicati dai media classici dopo attento vaglio da parte dei giornalisti che ne hanno scritto, e non perché sono stati intercettati da qualche smanettone.

    Erano passate poche ore dalla pubblicazione del commento dello scrittore napoletano ieri, quando sul Web sono apparse le prime risposte. Tra queste quella di Arianna Ciccone, che sul blog Valigia Blu faceva notare a Saviano come la tv, per fare un esempio, soffra della stessa sindrome antiveritativa del Web, se non di più; come tante copie vendute di un giornale non siano garanzia di autorevolezza; come il reato di diffamazione sia reato anche sul Web (che non è “un far west”), e soprattutto come il caso Snowden non c’entri nulla con una – per di più generica – richiesta di regole per la rete. Le informazioni della “talpa” dell’Nsa sono state date al quotidiano inglese Guardian, che le ha pubblicate. Saviano dovrebbe spiegare se e come secondo lui questo non sarebbe successo in presenza d’una legge che regolamenti il Web. Come faceva notare ancora Ciccone, sono stati proprio i media tradizionali a far circolare la falsa notizia di un tweet di Snowden, salvo poi smentire dopo le segnalazioni di alcuni blogger (i quali secondo Saviano sono per lo più “dediti all’arte della denigrazione”).

    Davide De Luca ieri sul Post smontava un altro luogo comune dell’articolo di Repubblica: in un passaggio Saviano cita il rapporto segreto di Kruscev sui crimini di Stalin, finito nelle mani dei servizi segreti israeliani “ma che non fu – scrive – reso pubblico”. E giù con l’elogio della segretezza attorno a “un documento che avrebbe cambiato per sempre il mondo”. Peccato che poi Saviano si dimentichi di dire che quel rapporto finì sulle pagine del New York Times qualche settimana più tardi, dopo che da giorni mezzo mondo già ne parlava. Era il 1956, e il Web, Assange e Snowden ancora lontani.

    Al di là di quello che se ne può pensare, quello del Datagate è uno scoop giornalistico vecchio stile. Semmai le rivelazioni di Snowden ci dicono che attraverso il Web possiamo essere spiati e che la nostra privacy è in pericolo. Peccato che Saviano sbagli bersaglio: invece di criticare questo aspetto, critica il fatto che ne siamo venuti a conoscenza (grazie a un giornale). Prendendosela con il Web.

    • Piero Vietti
    • Torinese, è al Foglio dal 2007. Prima di inventarsi e curare l’inserto settimanale sportivo ha scritto (e ancora scrive) un po’ di tutto e ha seguito lo sviluppo digitale del giornale. Parafrasando José Mourinho, pensa che chi sa solo di sport non sa niente di sport. Sposato, ha tre figli. Non ha scritto nemmeno un libro.