Il Fondo sospinge Draghi
Il pil globale s'inabissa ancora, l'Italia è in coda
Continua il deterioramento delle prospettive per l’economia mondiale nelle previsioni appena pubblicate dal Fondo monetario internazionale (Fmi). Rispetto a poco più di due mesi fa, l’organizzazione di Washington ha rivisto nuovamente al ribasso la crescita globale per l’anno in corso che dovrebbe attestarsi al 3,1 per cento. L’ultima revisione in senso peggiorativo segue una sfilza di correzioni sistematicamente al ribasso che rivelano una regolare sottovalutazione della natura strutturale della crisi dell’Eurozona. Nei dati previsionali appena rilasciati, si amplifica la contrazione dell’area della moneta unica a meno 0,6 per cento.
Continua il deterioramento delle prospettive per l’economia mondiale nelle previsioni appena pubblicate dal Fondo monetario internazionale (Fmi). Rispetto a poco più di due mesi fa, l’organizzazione di Washington ha rivisto nuovamente al ribasso la crescita globale per l’anno in corso che dovrebbe attestarsi al 3,1 per cento. L’ultima revisione in senso peggiorativo segue una sfilza di correzioni sistematicamente al ribasso che rivelano una regolare sottovalutazione della natura strutturale della crisi dell’Eurozona. Nei dati previsionali appena rilasciati, si amplifica la contrazione dell’area della moneta unica a meno 0,6 per cento. Eppure nell’ottobre scorso, il Fmi la dava in crescita, sia pure modesta.
Due dinamiche hanno operato in senso peggiorativo. La crisi si è chiaramente estesa alle economie reali del “core” o centro dell’Eurozona, con la Germania in costante, progressivo rallentamento (più 0,3 per cento) e la Francia in contrazione (meno 0,2), mentre prosegue, in Italia addirittura si inasprisce, la contrazione nella periferia. E’, infatti, il dato italiano a destare maggiori preoccupazioni. Ancora una volta, il Fmi ha rivisto al ribasso la previsione per l’anno in corso, aspettandosi ora una contrazione dell’1,8 per cento del pil. Questo dato contrasta con quello formulato nell’ottobre scorso, di una contrazione pari a “solo” lo 0,7, poi più che raddoppiata in aprile. L’Italia risulta l’unica economia sistemica ad aver subito una revisione di così grave ampiezza in soli dieci mesi. In serata l’agenzia di rating Standard & Poor’s ha tagliato il giudizio sul merito di credito dell’Italia di uno “scalino” (da BBB+ a BBB) con “prospettive negative” visto il rallentamento della crescita economica dovuto in parte alla “rigidità del mercato del lavoro”. L’Italia è indietro anche rispetto alla Spagna. L’organizzazione internazionale prevede una contrazione dell’1,6 per cento nell’anno in corso, stabile rispetto allo scorso aprile, e lievemente peggiorativa rispetto al dato, sempre con segno negativo, dell’1,3 per cento previsto dieci mesi fa.
Ieri il Fmi ha rilasciato anche le prime indicazioni del prossimo rapporto di sorveglianza sull’Eurozona. Traducendo il forbito linguaggio in codice dell’organizzazione internazionale, si coglie una valutazione negativa del ridimensionamento del progetto di Unione bancaria che, nella versione licenziata dall’ultimo summit europeo, prevede la centralizzazione dei poteri di vigilanza nella Bce ma esclude, in pratica, un credibile argine comune a tutela dei depositi bancari e un comune modello di risoluzione delle crisi bancarie. Il ridimensionamento asimmetrico dell’Unione bancaria rischia di alimentare il persistere dell’incertezza che attanaglia le economie della periferia, incertezza che si va estendendo anche alle economie del core. A conferma del carattere strutturale di questa crisi, è soprattutto la difficoltà di accesso al credito da parte delle imprese della periferia che preoccupa il pensatoio di Washington. Per contrastarlo, il Fmi raccomanda una nuova, massiccia operazione di rifinanziamento a lungo termine della Banca centrale europea, questa volta con espliciti incentivi a favore di prestiti alle piccole e medie imprese, e ipotizza persino l’acquisto diretto di titoli cartolarizzati. Ad alimentare i maggiori rischi associati alle nuove previsioni del Fmi, vi sono i riflessi internazionali della crisi dell’Eurozona e il ridimensionamento delle prospettive di crescita di quelle economie che hanno sinora svolto un ruolo importante nel circoscrivere la crisi dell’euro, Stati Uniti (dove continua il consolidamento fiscale) e Cina.
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