Sciopero bianco e anime nere

Alessandro Giuli

Lo sciopero bianco del Pdl ha perfino una sua ratio e non sembra aver prodotto scosse letali in un Pd già abbastanza lacerato di suo, dopo l’iniziativa cursoria con cui la Cassazione ha anticipato al 30 luglio l’udienza conclusiva in vista della sentenza sul processo Mediaset che potrebbe costare all’alleato Silvio Berlusconi, tra l’altro, l’interdizione dai pubblici uffici (previo voto di convalida nell’Aula del Senato). Dopotutto, la richiesta d’una breve sospensione dei lavori parlamentari, sebbene drammatizzata dai toni ultimativi di Daniela Santanchè – moratoria o muerte –, non è parsa così surreale ai democratici che l’hanno poi accolta.

    Lo sciopero bianco del Pdl ha perfino una sua ratio e non sembra aver prodotto scosse letali in un Pd già abbastanza lacerato di suo, dopo l’iniziativa cursoria con cui la Cassazione ha anticipato al 30 luglio l’udienza conclusiva in vista della sentenza sul processo Mediaset che potrebbe costare all’alleato Silvio Berlusconi, tra l’altro, l’interdizione dai pubblici uffici (previo voto di convalida nell’Aula del Senato). Dopotutto, la richiesta d’una breve sospensione dei lavori parlamentari, sebbene drammatizzata dai toni ultimativi di Daniela Santanchè – moratoria o muerte –, non è parsa così surreale ai democratici che l’hanno poi accolta. Dal punto di vista formale, per i berlusconiani si tratta di riunirsi in queste ore senza altri appuntamenti in agenda che non siano vincolati alla vicenda giudiziaria del Cav. Gli arabeschi grancoalizionisti sul fisco e sul lavoro possono attendere, prima c’è da mettere a tema lo spettacolare Blitzkrieg con cui la procura di Milano sta tentando di perfezionare il berlusconicidio, fra gli applausi del caravanserraglio mediatico-giudiziario e la cautela della Corte di Cassazione messa in imbarazzo dai sanculotti in attesa di bere finalmente il sangue del vinto. E veniamo al punto centrale della questione.

    Il Cav. non ha interesse a incoraggiare una deriva demolitoria nei confronti del governo Letta, ma non hanno nemmeno tutti i torti i berlusconiani quando dicono che più a rischio dell’esecutivo è la tenuta della democrazia italiana. Che farsene, dunque, di un governo privo della cornice istituzionale indispensabile al suo corretto funzionamento? In gioco, evidentemente, non c’è soltanto la sorte personale dell’imputato Berlusconi Silvio, la cui presenza nella scena pubblica è sanzionata dai milioni di elettori che dovrebbero scoraggiare le velleità di espellerlo per via tribunalizia o, più bassamente, di renderlo ineleggibile à rebours cavillando su leggi e regolamenti. Ma la vera speranza degli ultrà anti Cav. è di eliminare assieme a lui l’ostacolo principale che si frappone con il bersaglio grosso chiamato Giorgio Napolitano. Vale a dire il garante supremo della maggioranza che si è faticosamente consolidata all’ombra della sua anomala rielezione al Quirinale. Un presidente da stato d’eccezione, Napolitano, con la chiara volontà di far pesare le sue prerogative fino al limitare della Costituzione materiale e con l’obiettivo di normalizzare la dialettica politica e la salute finanziaria italiane in relativa continuità con l’esperimento tecnocratico di Monti. Ecco, un capo dello Stato con questo profilo risulta massimamente inviso ai pm d’assalto e ai loro fiancheggiatori settari che mirano a destrutturarne il disegno stabilizzatore. Se il Pd non regge l’urto, eliminato il contrafforte berlusconiano e venuta giù la coalizione che sorregge il diafano Letta, costoro credono di aprirsi un varco per l’allestimento di una nuova maggioranza a trazione pentastellata. A quel punto è verosimile che la iattanza dei pochi indurrebbe qualcuno a reclamare (invano) un passo indietro di Napolitano, nella malriposta convinzione di poter dilagare senza freni. Prognosi infausta. Il Pdl farebbe bene a inquadrare la manovra e a disvelarla con freddo spirito deduttivo, invece di baloccarsi con sciagurate tentazioni aventiniane che lo allontanerebbero anche dall’ultima ridotta quirinalizia.