I padroni del calcio
Li vedi ora, i procuratori. A loro agio, come nessun altro, nel calore del calciomercato. E’ l’estate del loro contento. Si muovono, chiamano, ricevono chiamate, sorridono, ascoltano. Quanto? Hanno cifre e obiettivi scritti nel cervello. Non ce ne è uno con un tablet, con un pc, con un’agenda. Fanno il prezzo e il contorno, chi c’è c’è. Entrano ed escono da alberghi e ristoranti di città accaldate o di località turistiche. La loro estate arriverà il primo settembre, a mercato chiuso, a squadre già in campo, a campionato cominciato. Adesso si fattura, punto. Il calciomercato della crisi li mette paradossalmente più strategici che mai. Perché se gira la moneta c’è solo da rilanciare di più, ma se il denaro manca, allora si va di contatti, di fantasia, di scambi, di accordi pluriennali, di premi.
Li vedi ora, i procuratori. A loro agio, come nessun altro, nel calore del calciomercato. E’ l’estate del loro contento. Si muovono, chiamano, ricevono chiamate, sorridono, ascoltano. Quanto? Hanno cifre e obiettivi scritti nel cervello. Non ce ne è uno con un tablet, con un pc, con un’agenda. Fanno il prezzo e il contorno, chi c’è c’è. Entrano ed escono da alberghi e ristoranti di città accaldate o di località turistiche. La loro estate arriverà il primo settembre, a mercato chiuso, a squadre già in campo, a campionato cominciato. Adesso si fattura, punto. Il calciomercato della crisi li mette paradossalmente più strategici che mai. Perché se gira la moneta c’è solo da rilanciare di più, ma se il denaro manca, allora si va di contatti, di fantasia, di scambi, di accordi pluriennali, di premi. Loro stanno lì, mediatori dei sogni dei tifosi: sono l’imbuto dal quale passa il colpo di mercato di una squadra.
Si campa a fare il procuratore. Forse è per questo che dopo i club con Calciopoli, dopo i calciatori e gli allenatori con il Calcioscommesse dell’anno scorso (e il secondo filone dell’inchiesta in questi giorni), ora le procure della Repubblica hanno deciso di indagare sugli agenti. Se vuoi smontare il sistema calcio applicando il sistema della gogna, prima o poi devi arrivare anche a loro. Perché il procuratore è fondamentale. E’ l’anello che congiunge due mondi distanti: giocatori e società. Ecco perché si campa. Se si arriva, ovvio. L’Italia è il paese al mondo con più agenti iscritti ufficialmente nell’elenco degli abilitati. Sono seicento, qualcuno in più della Spagna e un centinaio in più dell’Inghilterra. Ogni anno al concorso per l’iscrizione all’albo c’è la coda. E’ un business che alimenta business: università ed enti parauniversitari continuano ad aprire corsi di preparazione all’esame. Pagando si impara e pagando si spera di entrare nel giro. Quando si entra nel giro, c’è l’altro step: farsi un nome. Chi era Claudio Anellucci fino a un mese fa? E’ l’uomo che ha portato Edinson Cavani da Napoli a Parigi per 64 milioni di euro e un contratto da fantascienza per il giocatore. Settimane di trattative, di voci false, verosimili, vere, di litigate reali o inventate, di presunte cattiverie e di potenziali sgambetti. E’ un circo che va gestito in nome e per conto dei giocatori. I procuratori stanno lì a farsi un’estate che per loro vale l’inverno. E’ l’unica cosa che li accomuna. Perché per il resto ognuno gioca la sua partita a modo proprio, ognuno rappresenta un modo di curare gli interessi degli atleti differente. C’è uno stile, un modo d’essere, una strategia che cambia da agente ad agente e che li rende personaggi da rotocalco sportivo.
Il procuratore multinazionale
C’è il brand internazionale. Carmine (Mino) Raiola è l’esempio più elementare. Un qualunque lettore di quotidiano sportivo o telespettatore di SkySport lo sa: Raiola è il personaggio del decennio. E’ stato lui a trasformare definitivamente il procuratore in protagonista. Ha preso il suo ruolo e l’ha fatto uscire dall’ombra delle stanze in cui si fanno gli affari e l’ha messo di fronte alla telecamera. Un Don King senza i capelli dritti e gli occhiali, ma con la stessa capacità di fare show a ogni dichiarazione. E’ l’agente di Zlatan Ibrahimovic e di Mario Balotelli. E’ un campano trapiantato in Olanda che aveva una pizzeria e una passione smodata per il pallone. L’ha trasformata in un business fenomenale. Parla sei lingue, delle quali la peggiore, per sua stessa ammissione, è l’italiano. Segui lui e scopri il domino di un’estate di giochi, intrighi, affari, soldi. Moneta, perché quella conta. Punto. Raiola è il re del tavolo: si siede e alza il prezzo. Con la squadra di provenienza e con quella che è interessata al suo giocatore. Il mestiere è questo, in fondo: fare in modo che il suo assistito venga pagato di più, cosicché anche l’agente aumenti i suoi compensi. La semplicità dell’ovvio che per paradosso complica l’estate e anche l’inverno di tifosi, allenatori, compagni, avversari. Perché i procuratori alimentano passioni e tensioni, fanno entusiasmare e deprimere. “Ogni soluzione è possibile”, dice Raiola dei suoi ragazzi. Non ci sono certezze in un mondo in cui se c’è un’occasione e se c’è un nuovo ricco bisogna andare a vedere il suo gioco. Raiola cominciò con Bergkamp, poi è passato per Nedved, poi a Ibrahimovic, a Balotelli, a Pogba.
L’altra multinazionale è Jorge Mendes. In realtà sarebbe il top del localismo. Portoghese lui e portoghese la gran parte dei suoi assistiti. A renderlo globale è il mercato al quale si rivolge. Perché ha zero preclusioni. Inghilterra, Italia, Spagna, Russia, Emirati Arabi, Francia. E’ l’agente di Mourinho e di Cristiano Ronaldo, anche se quest’anno il colpo vero l’ha fatto col passaggio per 60 milioni (più dieci di ingaggio all’anno per il giocatore) del colombiano Radamel Falcao al Monaco. Mendes ha 47 anni e per tre stagioni consecutive, dal 2010 al 2012, è stato premiato come il miglior procuratore del pianeta. Con Raiola condivide il passaggio dalla vita serale-notturna al centro del pallone. Perché la prima attività imprenditoriale di Mendes fu una discoteca, dalla quale passavano tutti i giocatori più forti del Portogallo. La capacità di coccolarli, di farli sentire i migliori, ha fatto la sua fortuna.
Il procuratore famiglia
Il problema degli agenti multinazionali è che a volte non fanno i conti con padre, fratelli e cugini dei calciatori. La più importante società di mediazione per calciatori è la famiglia. Occhio, non è una battuta. Il patrimonio pallonaro gestito dai parenti dei campioni sfiora un miliardo di euro. Un miliardo di solo valore di cartellino. Non è una novità, ovviamente, né una caratteristica unica del calcio. Anche molte star di Hollywood e molti altri sportivi decidono di lasciare che i loro interessi economici siano gestiti dal padre, dalla madre, da fratelli e sorelle. L’ha fatto Leo Messi, ora. Il suo agente è il papà Jorge Horacio. Il quale, in realtà, non ha il problema di piazzare sul mercato il proprio figlio prodigio. Messi ha deciso che resterà sempre a Barcellona, significa che quantomeno per 4-5 anni non si muove (“sempre” nel pallone può essere comunque relativo). A Jorge Horacio allora spetta il compito di monetizzare il più possibile l’immagine di Leo con gli sponsor, con le ospitate, con le pubblicità. Un altro padre procuratore è Mustafa Özil, papà di Mesut, il centrocampista tedesco di origini turche del Real Madrid. La differenza con il signor Messi è che Özil pensa di estendere il suo lavoro anche ad altri. Oggi è tutto concentrato sul figlio, ma la società che ha aperto qualche tempo fa con gli altri figli, potrebbe decidere nei prossimi anni di prendere la procura di altri talenti in giro per il mondo.
In Italia, il caso più noto di procuratori-famiglia è quello di Stefano Del Piero, fratello di Alessandro. Sin dal principio, Stefano ha seguito la carriera di Alex, prima in condivisione con Claudio Pasqualin, lo storico agente di Del Piero, poi, quando s’era capito che Alex non avrebbe mai lasciato la Juve, Stefano è rimasto da solo. Anche qui, come nel caso di Messi, c’era da gestire soprattutto il resto. Quindi non il contratto o il trasferimento in un altro club, quanto i diritti di immagine, le sponsorizzazioni e il posizionamento di Alessandro nel mondo tangenziale al campo. Stefano e Alessandro sono l’esempio. Hanno passato e passano la vita insieme, tutti per uno e ciascuno per sé. Conservano l’identità individuale rimanendo una squadra. Ci sono genitori o fratelli ingombranti. Il signor Messi è uno, ma succede anche altrove. Ricordate la sorella di Alberto Tomba? Oppure avete presente il padre di Marion Bartoli, neo vincitrice di Wimbledon femminile? E’ complicato mantenere l’equilibrio se hai il manager in casa. Stefano e Alessandro Del Piero ci riescono. Vedi la storia dell’Australia: Alex avrebbe potuto restare in Europa, s’è fidato del fratello che gli ha suggerito di andare dall’altra parte del mondo. E forse solo lì, lontano da Torino e dalla sua Juventus che l’ha lasciato andare, Alex avrebbe potuto restare un calciatore senza rincorrere il passato. Ora che è passato un anno, Torino non è più “pericolosa” ed è così che ancora insieme, Alex e Stefano hanno messo su AdpLog, lo spazio dove Alessandro racconta la sua storia di campione, atleta, padre, uomo.
La famiglia è utile anche agli allenatori. Filippo Capello cura gli interessi del padre Fabio. E’ stato lui a trattare il possibile trasferimento dell’attuale commissario tecnico della Russia in Francia, al Paris Saint-Germain. Era stato sempre lui a gestire l’arrivo e l’addio a Londra. E’ più facile, quando è il figlio ad aiutare il padre. Perché il rapporto è inevitabilmente più professionale, a patto che il genitore si fidi dei consigli del figlio e non si metta in testa che quello in realtà è solo un po’ più cresciuto, ma in fondo è sempre quello al quale qualche anno prima cambiava i pannolini.
Il procuratore allevatore (del made in Italy)
La figura più simile a quella del procuratore famiglia è quella del procuratore allevatore. Sono quelli che ti prendono quando sei ancora un bambino, ti portano al primo contratto da professionista e poi da lì si vede. Beppe Bozzo prese la procura di Antonio Cassano quando era il gioiello della Primavera del Bari. Quante volte Tonino ha parlato del suo agente? Ogni volta ripete il rapporto speciale che hanno. E’ una fiducia difficile da capire, perché è inversamente proporzionale al mercato del giocatore. Perché un giocatore si affida completamente al procuratore. E’ come avere te stesso con qualità che tu non hai: trattare il meglio per un’altra persona soprattutto quando non è più all’apice della carriera, presuppone un rapporto di totale complicità tra assistito e assistente. Cassano e Bozzo sono un caso simbolo: il giocatore che ha cambiato sette squadre in 13 anni e però non ha mai pensato di cambiare procuratore, non si fida di allenatori, presidenti, giornalisti. L’unico di cui si fida è il suo procuratore. Uno che oggi nel suo portafoglio ha praticamente solo giocatori italiani. Come Tullio Tinti, che non è un volto noto, ma è uno degli agenti più conosciuti nel mondo del pallone. Nella sua scuderia ci sono Ranocchia, Pirlo, Pazzini, Matri. E’ stato lo storico procurarore dei fratelli Pippo e Simone Inzaghi. Tre anni fa l’estate del mercato italiano ballò tutta attorno a lui, tanto che Pierpaolo Marino, oggi direttore sportivo dell’Atalanta scrisse un articolo su tuttomercatoweb per raccontare i segreti dell’uomo che teneva “in scacco Inter, Roma, Sampdoria, Napoli, Juventus e Fiorentina”.
Il procuratore garanzia
Non succederebbe mai con Ernesto Bronzetti e Giovanni Branchini. Loro sono la garanzia per i club. Sono diversi dagli altri: non curano solo gli interessi dei calciatori. Sono dei veri mediatori, nel senso che a loro si rivolgono anche le società che vogliono portare a termine un affare. Si tratta finché si può. Si bluffa fino a quando è possibile. Loro l’impossibile non lo fanno, per deontologia e perché interpretano il loro ruolo come quello di notai di un affare. Branchini forse è stato il primo agente Fifa di nuova concezione. Fu lui a portare Ronaldo in Italia. Qualcuno ricorderà: era quel signore alto, corpulento e barbuto che stava accanto al Fenomeno in ogni istante dei suoi primi giorni italiani. Poi fece lo stesso con Hidetoshi Nakata. Oggi ha smesso di comparire in tv. Qualcuno dice che sia convinto che i giornali e le tv si occupano di mercato troppo e soprattutto fuori luogo e quindi lui ne sta alla larga. Sarà per questo, oppure perché ha deciso di invertire il mestiere. E’ l’anti Raiola. Non si tira su il prezzo cercando di trovare altri acquirenti per il proprio giocatore. Si intavola una trattativa e la si porta avanti. Ai club che devono comprare piace avere a che fare con lui. Guarda il caso Montolivo, suo assistito: con l’addio previsto alla Fiorentina, avrebbe potuto aprire il banco al miglior offerente. No, aveva l’accordo verbale col Milan. Punto. Lì è andato e lì ha portato il ragazzo. Quest’anno è tornato in pista con le operazioni Poli e Ogbonna. Il criterio è lo stesso: c’era l’interesse della Juve (o del Milan per Poli)? E alla Juve (e al Milan) lui lo dà, a meno che non intervengano fattori esterni o rapporti agitati tra il club che vende e quello che compra.
Anche Ernesto Bronzetti è un garante. A dispetto di una parlantina che sa di furbetto, è il miglior alleato delle società. Il Milan lo usa come mediatore per alcune operazioni con l’estero. Spagna soprattutto, ma non solo. Il giapponese Honda arriverà a Milano grazie ai suoi buoni uffici. Ma è il suo rapporto con il Real Madrid che l’ha reso strategico. E’ grazie a lui se Ancelotti è riuscito a liberarsi dal Psg per andare al Real. E’ con il suo benestare che l’Arsenal comprerà Higuaín.
Il procuratore motivatore
Poi ci sono quelli che credono in te come nessun altro. Quelli che mediano tra il giocatore e la sua storia. Quelli che vedono oltre. Federico Pastorello, figlio di Giovan Battista, storico dirigente del Parma e di altre squadre, è l’uomo che ogni giorno dell’anno dice a Giuseppe Rossi quanto è forte. Pepito che è rimasto fermo tanto tempo per un infortunio al ginocchio e al quale non ha mai smesso di ripetere che era soltanto questione di tempo, che l’infortunio sarebbe passato e Rossi avrebbe fatto vedere al mondo chi è. Lo ha fatto anche con Patrick Evra, del Manchester United, uno che in Italia fu scartato dalla serie C e che grazie al suo procuratore-mentore-confidente-psicologo è arrivato in cima all’Europa del pallone. Pastorello vive a Montecarlo. E da lì ha costruito una squadra che funziona. Con lui lavora l’ex portiere Graziano Battistini e Roberto La Florio, il procuratore di El Shaarawy che in queste settimane è stato impegnato nella conferma dell’attaccante della nazionale al Milan. Pastorello è misterioso. Sorride sempre e non dice mai nulla, se non quando l’affare è chiuso. Sul portiere Samir Handanovic e le chance di andare al Barcellona non ha detto nulla fino a quando non si sono chiuse le porte: “Resta all’Inter”. I procuratori guardano, trattano, aspettano. Sono i padroni anche perché hanno pazienza: la sentenza Bosman del 1995 dice che un giocatore in scadenza di contratto può andare dove gli pare e il club non ha diritto ad avere alcun compenso. E’ solo il calciatore che decide. Cioè è il procuratore. Che non è un gestore di beni, ma un consulente vero, un broker che invece di trattare titoli tratta premi, diritti d’immagine, sponsorizzazioni. Ogni affare ha una percentuale per sé, altrimenti è beneficenza. Per quella bisogna rivolgersi altrove. A un’altra categoria umana, forse.
Il Foglio sportivo - in corpore sano