"Effetto valanga"

Mentre in mezzo mondo ci si interroga sul futuro dei giornali, il Nyt batte strade nuove

Piero Vietti

Quando il 20 dicembre 2012 il Ney York Times pubblicò “Snow fall”, in molti – seppur ammirati dal progetto – erano pronti a giurare che quella sarebbe stata un’esperienza irripetibile. Invece con “Snow fall” il giornale americano inaugurava un nuovo modo di raccontare storie al tempo del giornalismo digitale: un lungo testo che raccontava la disavventura occorsa a un gruppo di sciatori sorpresi da una valanga sulle montagne di Washington nel febbraio scorso, diviso in otto capitoli e corredato da fotografie, interviste video e grafici interattivi. Senza esagerare, è stato qualcosa di rivoluzionario per il giornalismo in cerca di identità e nuovi modelli. Irripetibile, appunto, si diceva.

    Quando il 20 dicembre 2012 il Ney York Times pubblicò “Snow fall”, in molti – seppur ammirati dal progetto – erano pronti a giurare che quella sarebbe stata un’esperienza irripetibile. Invece con “Snow fall” il giornale americano inaugurava un nuovo modo di raccontare storie al tempo del giornalismo digitale: un lungo testo che raccontava la disavventura occorsa a un gruppo di sciatori sorpresi da una valanga sulle montagne di Washington nel febbraio scorso, diviso in otto capitoli e corredato da fotografie, interviste video e grafici interattivi. Senza esagerare, è stato qualcosa di rivoluzionario per il giornalismo in cerca di identità e nuovi modelli. Irripetibile, appunto, si diceva.

    Effettivamente per fare “Snow fall” al New York Times hanno lavorato per circa sei mesi sedici persone (non a tempo pieno) con costi e tecnologie non alla portata di tutte le redazioni nel mondo. “Snowfall” ha poi vinto il premio Pulitzer, dopodiché in tanti hanno pensato che sarebbe stato ricordato nella storia dei giornali come un esempio isolato, magari da riprendere tra una decina d’anni.

    Pochi giorni fa, invece, la direttrice del New York Times, Jill Abramson, ha annunciato la creazione di una redazione ad hoc, all’interno del giornale, che si occuperà di un magazine che racconterà solo storie alla “Snow fall”, cioè lunghe, approfondite, e multimediali. L’idea, ha scritto la stessa Abramson in una lettera ai giornalisti della testata, è quella di creare una rivista (digitale, of course) “immersiva”, leggendo la quale il lettore possa sprofondare, quasi vivendola in prima persona. Al Times, lo diceva lei stessa parlando con Wired qualche mese fa, “Snow fall” è diventato un verbo, a indicare la fattura di questa nuova modalità di raccontare storie, e “tutti vogliono snowfallare”. L’occasione era troppo ghiotta per farsela sfuggire: Abramson ha rivoluzionato la redazione, spostando Sam Sifton che da direttore dell’edizione nazionale diventerà “Snowfaller in capo”. Con lui una squadra di giornalisti, grafici, fotografi e videomaker che lavoreranno soltanto a storie di quel tipo.

    Il potenziale di successo del progetto è nei numeri che in meno di una settimana “Snow fall” ha registrato: 10 mila condivisioni su Twitter, quasi tre milioni di visite per 3,5 milioni di pagine cliccate, un picco di 22 mila lettori in contemporanea per una media di 12 minuti di connessione a pagina. In altre parole, questo tipo di giornalismo ha tutte le caratteristiche per funzionare, alla faccia di chi sostiene (ma sono sempre di meno) che Internet non è fatto per approfondire ma per letture superficiali e brevi. Come spesso è successo il New York Times, forse unico al mondo al momento a portare avanti con credibilità un tentativo del genere, prova a tracciare la strada di un nuovo giornalismo che fino a poco tempo fa era appena immaginabile, lasciando agli altri le discussioni sul citizen journalism, le inchieste che vengono dalla strada o la morte dei quotidiani (quelli del Nyt sono i primi a dire che la carta non verrà mai meno dato che continua a portare di soldi nelle casse del gruppo).

    Mentre altrove – e l’Italia è paradigmatica in tal senso – ci si interroga ancora se sia il caso o meno di mettere a pagamento i siti dei quotidiani (facendo pagare cosa, gli articoli copiaincollati dalle agenzie di stampa?), in America viaggiano con almeno un lustro di vantaggio provando a innovare, e tentando di aprire strade nuove (spesso sbagliando mossa, ma mai restando fermi su se stessi). C’è chi sostiene che soltanto una redazione come quella del New York Times sia in grado di fare una cosa come “Snow fall”. Forse è vero, ma il New York Times è anche quel giornale che scrive articoli come pochi al mondo, e questo non impedisce al resto del mondo di fare giornali e scrivere articoli.

    • Piero Vietti
    • Torinese, è al Foglio dal 2007. Prima di inventarsi e curare l’inserto settimanale sportivo ha scritto (e ancora scrive) un po’ di tutto e ha seguito lo sviluppo digitale del giornale. Parafrasando José Mourinho, pensa che chi sa solo di sport non sa niente di sport. Sposato, ha tre figli. Non ha scritto nemmeno un libro.