Mori, la rotta dei pataccari

Claudio Cerasa

Dopo sette ore e mezza di camera di Consiglio – e dopo cinque anni di dibattimento durante i quali la procura di Palermo ha indagato e imputato l’ex generale dei Ros Mario Mori e l’ex colonnello dei Ros Mario Obinu per favoreggiamento, concorso esterno in associazione mafiosa e minaccia al corpo giudiziario in merito alla presunta mancata cattura nel 1995 di Bernardo Provenzano – ieri pomeriggio il tribunale di Palermo ha respinto le condanne a nove e sei anni richieste due mesi fa dai pm che hanno guidato la pubblica accusa (Vittorio Teresi, subentrato ad Antonio Ingroia, e Nino Di Matteo) nel primo grande filone del processo sulla “trattativa” stato-mafia e ha assolto gli imputati riconoscendo, semplicemente, che “il fatto non costituisce reato”. Punto.

    Dopo sette ore e mezza di camera di Consiglio – e dopo cinque anni di dibattimento durante i quali la procura di Palermo ha indagato e imputato l’ex generale dei Ros Mario Mori e l’ex colonnello dei Ros Mario Obinu per favoreggiamento, concorso esterno in associazione mafiosa e minaccia al corpo giudiziario in merito alla presunta mancata cattura nel 1995 di Bernardo Provenzano – ieri pomeriggio il tribunale di Palermo ha respinto le condanne a nove e sei anni richieste due mesi fa dai pm che hanno guidato la pubblica accusa (Vittorio Teresi, subentrato ad Antonio Ingroia, e Nino Di Matteo) nel primo grande filone del processo sulla “trattativa” stato-mafia e ha assolto gli imputati riconoscendo, semplicemente, che “il fatto non costituisce reato”. Punto. L’assoluzione del generale dei Ros – arrivata contro ogni pronostico “dei pappagalli delle procure e degli avvoltoi da talk-show”, come Mori aveva definito a inizio giugno nel corso di una lunga autodifesa al tribunale alcuni famosi opinionisti “addestrati a emettere condanne o assoluzioni sulla base dei propri orientamenti ideologici e abituati a educare nei propri lettori il culto della presunzione della colpevolezza a priori” – apre a tutti gli effetti un nuovo capitolo del romanzo sulla trattativa. Un capitolo in cui il processo condotto dalla procura per dimostrare come, a partire dal 1992, un pezzo di stato sarebbe sceso a patti con i mafiosi, generando una serie di drammatici eventi a catena come la morte del giudice Paolo Borsellino, oggi incredibilmente si ritrova a sua volta sotto processo. A muovere dall’interno delle aule del tribunale il primo atto d’accusa contro il castello accusatorio costruito dai pm di Palermo è stato proprio il generale Mori, che dopo avere già ottenuto, nel 2006, un proscioglimento nell’ambito di un altro processo in cui era accusato (sempre da Ingroia) di favoreggiamento per non aver perquisito il covo di Totò Riina al momento del suo arresto, tre anni fa decise a sorpresa di rinunciare alla prescrizione con l’idea, come raccontò in quei giorni al Foglio, “di dimostrare che questa storia della trattativa semplicemente non sta né in cielo né in terra”. Da questo punto di vista, aspettando le motivazioni della sentenza che verranno depositate entro i prossimi novanta giorni (i magistrati, intanto, hanno già annunciato di voler ricorrere in appello), la giornata di ieri consegna molti punti a favore al “processo sul processo”, non solo per la vittoria di Mori e Obinu ma anche per un atto importante deciso dal tribunale di Palermo: la trasmissione in procura delle deposizioni di Massimo Ciancimino e di Michele Riccio per la valutazione di eventuali reati commessi dai due principali testimoni nell’ambito del processo. L’atto del tribunale contro Riccio e Ciancimino, sospettati dai giudici di non aver detto la verità nel corso delle loro testimonianze, indebolisce ulteriormente il filone della trattativa e toglie forza a quel secondo processo cominciato a fine maggio (e avviato sempre da Ingroia e Di Matteo) in cui un pezzo importante dello stato (Mori, Subranni, Mancino, Mannino, Dell’Utri) è accusato di aver intrapreso una trattativa con Cosa nostra per far cessare la stagione delle stragi.

    Anche in questo dibattimento, come è noto, un ruolo chiave lo ricopre il figlio di Don Vito Ciancimino (“quasi un’icona dell’antimafia” come da celebre definizione di Ingroia). E non ci vuole molto dunque a capire che per gli inquirenti, ora, non sarà facile tenere insieme un puzzle che da ieri ha perso anche la sua tessera principale (tessera, tra l’altro già accusata in un altro processo di calunnia e concorso in associazione mafiosa, che è la stessa che agli inquirenti ha offerto un pezzo di carta fotocopiato, conosciuto come “papello”, di cui non si conosce l’estensore, di cui non si è mai visto l’originale, di cui non esistono riscontri definitivi e che è l’altro vacillante pilastro del secondo processo sulla trattativa). Se a tutto questo aggiungiamo che alcuni dei protagonisti dell’intero procedimento si trovano in condizioni difficili (Ingroia, dopo un lungo peregrinare tra Guatemala e tribunali aostani, ha lasciato la magistratura; il pm Nino Di Matteo è sotto provvedimento disciplinare dal Csm; il procuratore generale Messineo è sotto inchiesta dal Csm per via dei suoi rapporti privilegiati con Ingroia, dal quale sarebbe stato “condizionato nella gestione dell’ufficio”) si capisce come l’effetto domino tra un processo e un altro sia qualcosa in più di un semplice rischio. “La sentenza – ha riconosciuto ieri il pm Teresi – potrà avere una influenza su tutto il processo per la trattativa”. Difficile dargli torto. Perché da oggi a Palermo comincia un altro processo: il processo al processo sulla trattativa stato-mafia.

    • Claudio Cerasa Direttore
    • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.