Persi nel labirinto greco

Dimitri Deliolanes

Siamo dentro il labirinto dell’euro e non troviamo l’uscita. Ci siamo entrati da soli, nessuno ci ha obbligato. Ma una volta entrati, non possiamo andarcene quando ci pare. Dobbiamo trovare l’uscita”. E’ preoccupato lo scrittore Petros Markaris, appena tornato dalla Spagna in una Grecia che sembra ripiombata di nuovo nel 2011. Un nuovo grande sciopero generale preannuncia un’estate rovente, con decine di migliaia di manifestanti a riempire, ancora una volta, piazza Syntagma. Dall’altra parte un governo zoppicante, con una maggioranza sul filo di soli tre deputati. A tre anni dallo scoppio della crisi, regna l’instabilità politica e l’incertezza sul futuro. Una nuova tornata del labirinto greco, con l’uscita ancora lontana e ben nascosta.

Ferrara Note su un monoscopio di stato che è simbolo di riforma

    Siamo dentro il labirinto dell’euro e non troviamo l’uscita. Ci siamo entrati da soli, nessuno ci ha obbligato. Ma una volta entrati, non possiamo andarcene quando ci pare. Dobbiamo trovare l’uscita”. E’ preoccupato lo scrittore Petros Markaris, appena tornato dalla Spagna in una Grecia che sembra ripiombata di nuovo nel 2011. Un nuovo grande sciopero generale preannuncia un’estate rovente, con decine di migliaia di manifestanti a riempire, ancora una volta, piazza Syntagma. Dall’altra parte un governo zoppicante, con una maggioranza sul filo di soli tre deputati. A tre anni dallo scoppio della crisi, regna l’instabilità politica e l’incertezza sul futuro. Una nuova tornata del labirinto greco, con l’uscita ancora lontana e ben nascosta.

    La Troika (Fondo monetario internazionale, Banca centrale europea e Unione europea) preme per nuovi tagli, questa volta nell’amministrazione pubblica: 12.500 statali subito in mobilità (ma si tratta nei fatti di licenziamenti), altrettanti in autunno. Le più colpite sono le amministrazioni locali: vigili urbani e custodi delle scuole praticamente non esistono più. Ma la mannaia cade anche sull’istruzione e sulla sanità, peraltro già ampiamente tagliuzzate negli anni scorsi. Il governo ha deciso in pochi giorni per tagli orizzontali: “Hanno cercato fino all’ultimo di evitare i licenziamenti, inutilmente”, spiega Markaris al Foglio. “Tutti i greci sanno che l’amministrazione pubblica, così com’è oggi, è difficilmente riformabile. Mi chiedo però: se l’impegno di alleggerire l’amministrazione pubblica risale al 2010, non si poteva trovare il modo di valutare ogni settore dell’amministrazione in modo da tagliare quelli meno necessari e tenere quelli più produttivi? Non l’hanno fatto e alla fine hanno combinato un pasticcio peggiore”.
    “La situazione è veramente difficile”, ammette Sofia Voultepsi, presidente del gruppo parlamentare di Nuova democrazia, il partito di centrodestra del premier Samaras: “Ma il governo è obbligato a farcela. E’ vero che la maggioranza è esigua, ma è coesa e ci saranno deputati indipendenti che sosterranno le nuove misure. Stiamo facendo una cosa senza precedenti: stiamo intaccando a fondo la struttura dell’amministrazione, e se falliremo rischiamo di mandare all’aria tutti i sacrifici fatti finora”.

    La nuova crisi è scoppiata un mese fa con il caso dell’emittente radiotelevisiva pubblica Ert. Secondo Markaris, è stato un “caso emblematico”: “E’ evidente come non ci sia dietro alcun progetto. Samaras ha chiuso l’Ert con modalità incredibili, con metodi da Repubblica ex sovietica. Forse si illudeva di aver risolto una parte del problema licenziando di colpo i 2.650 dipendenti. Poi ha dovuto fare l’accordo di governo con il Pasok e ha promesso di riprenderne duemila. La Troika si è giustamente infuriata. C’è in Grecia questa mentalità: ci si accorda su una cosa da fare e poi si perde tempo, ci si dimentica, ci si impegna con tantissime riserve mentali. In Europa non puoi fare così. Ti considerano un imbroglione e nulla più”.

    Anche Sofia Voultepsi è critica verso la gestione del caso Ert: “Siamo stati in tanti deputati di Nuova Democrazia a criticare il modo in cui il premier si è mosso. E’ stato mal consigliato”. Non attribuisce la chiusura alla volontà di offrire in extremis la testa di qualche migliaio di licenziati alla Troika. Samaras, secondo lei, si è mosso per “volontà di riformare” l’emittente pubblica, ma tale volontà è stata “mal gestita e male indirizzata”. Nel frattempo, se ci si sintonizza oggi sulla ex Ert, non c’è più lo schermo nero ma un monoscopio, mentre si parla di una riapertura a settembre con nuove modalità di ingaggio dei dipendenti: contratti di tre mesi in tre mesi, rinnovabili, dopo un taglio di circa settecento effettivi.
    Il nuovo governo, si sa, è a due: Nuova democrazia (centrodestra) del premier Antonis Samaras e il socialista Pasok di Evangelos Venizelos. Proprio a causa della crisi della Ert, il terzo partner, la piccola Sinistra democratica di Fotis Kouvelis, è uscita dalla maggioranza e in Parlamento ha votato contro i nuovi tagli. Markaris, che l’anno scorso aveva dato il suo voto proprio a questo piccolo partito della sinistra, ora è deluso: “Kouvelis ha sbagliato a uscire dalla maggioranza. E’ vero che Samaras prendeva decisioni unilaterali ignorando gli alleati, perché voleva elezioni subito. Ma Kouvelis doveva rimanere ed esercitare maggiore pressione su Samaras. Sul caso della Ert, esisteva un progetto di riforma già pronto, che poteva essere applicato con l’emittente aperta e funzionante. Il risultato è stato che solo il Pasok ha cercato di condizionare il premier. Anche se, a quanto pare, inutilmente. Alla fine vediamo in arrivo la soluzione pasticciata di un nuovo canale pubblico. Un disastro. Un errore dietro l’altro”.

    Secondo Kouvelis, Samaras avrebbe cercato di uscire dall’angolo ripetendo lo schema dell’anno scorso: elezioni anticipate senza vincitore, subito nuova tornata elettorale in cui Nuova democrazia, come nel giugno 2012, avrebbe ottenuto il sostegno dei potentati nazionali ed europei, spaventati dall’ascesa della sinistra radicale Syriza. Il progetto però, sempre secondo il leader di Sinistra democratica, all’epoca fu bloccato dalla Merkel.

    Nuova democrazia intanto si sta spostando sempre più a destra. Nel nuovo governo, nato a fine giugno, è stato incluso un ministro, Adonis Georgiadis, nuovo titolare del dicastero della Salute, proveniente da una formazione di estrema destra, Laos, ora fuori dal Parlamento. La settimana scorsa, alcuni deputati di centrodestra (tra cui anche un ex ministro) hanno parlato apertamente della possibilità di un’alleanza di governo con Alba dorata, argomentando che “i loro elettori non sono nazisti”. Il partito invece è senza dubbio neonazista e continua a scalare i sondaggi, anche se in misura minore rispetto a qualche mese fa: ora Alba dorata sarebbe scesa all’11 per cento di consensi rispetto al 14 per cento di marzo. Sono tutti elettori del centrodestra in libera uscita e Samaras li vuole recuperare a tutti i costi. Ecco perché il ministro dell’Ordine pubblico, Nikos Dendias, usa metodi spregiudicati pur di cacciare gli immigrati dalle grandi città. Ecco perché un ex sostenitore dei colonnelli, Makis Voridis, ora deputato di Nuova Democrazia, si è scatenato contro gli alleati del Pasok, accusati di essere “il partito della spesa pubblica”. Il premier è convinto che deve costruirsi un profilo da leader forte, perché solo così recupererà i voti andati all’estrema destra. A meno che, come ha scritto il direttore del quotidiano To Vima, Stavros Psicharis, “la svolta a destra di Samaras non riuscirà a recuperare gli elettori di Alba Dorata, ma riuscirà benissimo a fargli perdere quelli moderati”.

    Anche dentro Nuova democrazia la svolta a destra e la rincorsa al voto di Alba Dorata ha provocato reazioni: “Ci vuole ragionevolezza – insiste la presidente del gruppo parlamentare – perché nuove elezioni per la terza volta in un anno non servirebbero a nulla. E non serve a niente riproporre certe vecchie polemiche con il Pasok. Capita, nel mio partito, che ognuno dica la sua, facendo più danni che altro. Se andiamo a cercare le responsabilità, neanche noi ne siamo immuni”. Nel recente rimpasto di governo, la Voultepsi ha clamorosamente rifiutato il posto di sottosegretario di Georgiadis, proprio a causa dell’estrazione estremista del nuovo ministro, ed è categorica nel rifiutare qualsiasi apertura verso Alba Dorata: “Lo ha ribadito lo stesso Samaras nel recente congresso: siamo un partito di centrodestra e quando diciamo centrodestra intendiamo centrodestra, non certo estrema destra. Gli estremisti e i nazisti sono nostri avversari”.   

    Ma lo spettro delle elezioni anticipate non è svanito. Sui giornali greci un nuovo ricorso alle urne viene dato per molto probabile dopo l’estate. A sua volta ne è convinto Petros Markaris, anche se, per aver vissuto per lunghi anni in Germania, dove lavorava come manager industriale, nutre scarse speranze in un cambiamento di politica a Berlino dopo le elezioni tedesche: “Per come appare la situazione in Germania, l’unica speranza in un qualche miglioramento è che si formi una Grosse Koalition tra democristiani e socialdemocratici. Altrimenti, non ci saranno cambiamenti sostanziali. La speranza in un cambiamento post elettorale di Berlino è da disperati”.

    In Grecia il nuovo ricorso alle urne dipenderà dagli esiti delle nuove misure. Spiega ancora Sofia Voultepsi che “c’è una continua rinegoziazione. Nell’ultimo vertice abbiamo ottenuto l’abbassamento dei tassi d’interesse, e se riusciamo a intaccare anche il settore pubblico, come chiede la Troika, riusciremo anche a ridurre l’Iva per la ristorazione – ora è al 23, passerebbe al 13 per cento – dando nuovo impulso al turismo. La verità è che ci chiedono di violare i nostri tabù, ma anche loro dimostrano rigidità. Hanno deciso una politica nel 2010 e non vogliono deviare, malgrado i campanelli d’allarme. Vogliamo vedere la storia del Fondo monetario? Gli errori non si contano. Sfruttando proprio questi errori abbiamo ottenuto la nuova tranche, anche se eravamo in ritardo sulle misure da prendere”. Markaris aggiunge che “i due partiti di governo sono alle strette, non hanno molti margini di manovra. L’unica speranza è che nel 2014 ci sia qualche risultato positivo da poter presentare all’opinione pubblica e alla Troika. Se non otterranno nulla, in qualsiasi momento ci siano le elezioni, le perderanno in partenza, specialmente il Pasok, che rischia di rimanere fuori dal Parlamento”.

    I più recenti sondaggi, per la verità, danno i socialisti in leggera ripresa, al 7 per cento. E’ l’effetto della promessa del leader socialista Venizelos verso le sue clientele che non saranno toccate dall’ondata di licenziamenti. Ma tutti sanno che durerà poco. La maniera in cui si è mosso finora il governo fa capire che non c’è santuario protetto che tenga. Già quei sindacalisti del settore pubblico che prima facevano riferimento al Pasok e a Nuova democrazia, ora si sono spostati decisamente a sinistra, e Syriza sta facendo campagna acquisti anche tra i sindaci.

    “E’ vero, spesso il premier si è mosso come se gli alleati non ci fossero. E ora i tagli sono stati decisi in extremis”, ammette Sofia Voultepsi. Ma aggiunge che l’errore era all’origine: l’estate scorsa i due partiti minori della sinistra moderata non avevano voluto nominare ministri politici ma “di area”: “Il risultato è stato un loro deficit di autorevolezza nel governo. Samaras si è trovato così all’ultimo a prendere decisioni da solo”, spiega l’esponente del centrodestra.

    L’economia greca, nel frattempo, continua ad andare male. Si attende però una boccata d’ossigeno dal turismo, che manda messaggi positivi: questa estate si prevede un flusso di circa 17 milioni di turisti. Il ministro delle Finanze, Giannis Stournaras, ha voluto strafare e ha dichiarato con sicurezza che l’anno prossimo la Grecia avrà un piccolo ma incoraggiante surplus primario e sarà in grado di tornare nei mercati. Ma all’estero nessuno condivide tanto ottimismo. La settimana scorsa la Troika ha presentato la sua relazione che prevede un buco di due miliardi nelle entrate dello stato per quest’anno, che diventerà di 4 miliardi negli anni 2015-2016. Anche il Fmi prevede un buco di 5,5-9,5 miliardi per gli stessi anni. Nel 2014 il debito greco continuerà a crescere fino al 179 per cento del pil, mentre la recessione sarà del 5,5 per cento alla fine dell’anno in corso e, se tutto va bene, del 3 per cento nel 2014, per il settimo anno consecutivo. Anche la disoccupazione, ora al 27 per cento (quella giovanile è al 62 per cento) continuerà a crescere. La somma di tutti questi indici indica una cosa sola: crescente insofferenza sociale, poca stabilità politica e probabili nuove misure di austerità. Che fare?

    Markaris condivide la tesi di Berlusconi, che invita a una maggiore pressione verso i tedeschi, ma aggiunge una condizione: “Il nostro vero problema è che i paesi del sud europeo non sono riusciti a parlare un’unica lingua e a definire una strategia comune, come avrebbero dovuto fare da tempo. Quindi Spagna, Grecia, Portogallo e anche l’Italia dovrebbero sedersi insieme a un tavolo e decidere di fare un discorso chiaro alla Merkel: cara cancelliera, se così stanno le cose, o si cambia oppure noi ce ne andiamo. Allora sì che ci sarebbero cambiamenti. E’ un errore pensare, come fa Syriza, che lo possa fare un paese solo”. Per Sofia Voultepsi, invece, questo sarebbe un gioco troppo pericoloso: “Forse paesi con una base produttiva, come l’Italia, possono anche rischiare questo braccio di ferro. Noi no, perché importiamo tutto, e non puoi pagare le importazioni con carta straccia”.

    Se le novità nella politica greca si vedranno in autunno, nello scorso fine settimana la Sinistra radicale di Alexis Tsipras ha tenuto il suo primo congresso da partito unitario, non più come alleanza di ben sedici componenti interne, ora definitivamente sciolte. “E’ un passo importante – commenta Markaris – e mi aspetto una linea unitaria e realistica, di permanenza nell’euro ma in condizioni migliori. Finora da Tsipras abbiamo avuto una raffica di dichiarazioni contraddittorie. Ha promesso che il reddito perduto sarà restituito e che i salari torneranno ai livelli pre-crisi. Ma dove troverà i soldi?”.

    Per la Voultepsi, è la riproposizione del vecchio gioco demagogico che ha regnato a lungo nella politica greca e che l’ex premier socialista George Papandreou ha giocato, per ultima volta, nelle elezioni del 2009, quando assicurava che “i soldi ci sono”: “E’ facile acchiappare gli elettori promettendo mari e monti. E’ più difficile votare un partito che dice la verità. Syriza non ha ancora chiarito cosa intende fare. Dicono: nessun sacrificio per l’euro, nessuna illusione sulla dracma. Ma che cosa significa?”. Oltre a come gestire la crisi, la Sinistra radicale è incerta anche rispetto alle alleanze. Finora i sondaggi danno Syriza e Nuova democrazia testa a testa, attorno al 27 per cento, come nelle elezioni dell’anno scorso. Ma anche nel caso che il partito di Tsipras arrivi primo, non ha possibili alleati di governo, visto che i comunisti del Kke continuano a rifiutare qualsiasi accordo. Per Markaris, “è probabile che Tsipras sia costretto ad allearsi con un partito che io considero di estrema destra, cioè i Greci indipendenti”. Si tratta della formazione di Panos Kammenos, che si è distaccata l’anno scorso da Nuova democrazia e si colloca ora su posizioni decisamente anti austerità. I sondaggi gli danno il 7 per cento e lo stesso Kammenos ha lasciato capire che non avrebbe difficoltà ad allearsi con la Sinistra radicale. Per lo scrittore però la soluzione più probabile è un’altra: “Ora che Syriza è un partito unitario, Tsipras deve definire una volta per tutte la sua politica e mettere da parte i vari ideologi del suo partito, i marxisti stagionati, gli eterni minoritari. Solo così potrà incrementare al massimo i suoi consensi elettorali, ora in fase di stallo. Se riesce a recuperare tutti i delusi della sinistra, riuscirà a prendere il premio di maggioranza e a fare un governo tutto suo. E vedremo cosa riuscirà a combinare”.

    All’inizio della crisi, nel 2010, l’uscita della Grecia dall’Eurozona era descritta come una vera catastrofe. Ora che la catastrofe è arrivata lo stesso, cosa mai potrà capitare di peggio? E’ la domanda che molti greci si fanno, in questi giorni. Markaris ha affrontato il problema nel suo ultimo romanzo, “La resa dei conti” (edito in Italia da Bompiani): “Descrivo cosa sarebbe successo se i greci, gli italiani e gli spagnoli avessero deciso di rompere con la Troika e il Fmi e fossero tornati alle monete nazionali. La moneta nazionale offre molti vantaggi, il primo dei quali è che la puoi svalutare. Avremmo ricominciato da condizioni molto dure, ma almeno avremmo avuto una prospettiva di riscatto. Ma che vogliamo farci, siamo in un labirinto. E mi chiedo se è poi questa l’Europa che vogliamo”.

    Ferrara Note su un monoscopio di stato che è simbolo di riforma