Guida alle convivenze forzate

Cosa devono fare Renzi e Letta per non vivere da separati in casa. Parla Delrio

Claudio Cerasa

Ieri pomeriggio, poche ore dopo il discorso molto severo con cui Giorgio Napolitano ha difeso le larghe intese sul caso kazaco ricordando come sia una follia giocare con gli equilibri che tengono in vita il governo di Enrico Letta, l’assemblea del gruppo dei senatori del Partito democratico ha scelto di non imboccare la scivolosa strada della sfiducia al ministro dell’Interno (che potenzialmente potrebbe essere letale per l’esecutivo) e con ottanta voti a favore, sette astenuti e nessun contrario ha deciso di non accodarsi alle mozione con cui il Movimento 5 stelle e Sinistra ecologia e libertà oggi chiederanno di far ruzzolare a Palazzo Madama la testa di Angelino Alfano.

    Ieri pomeriggio, poche ore dopo il discorso molto severo con cui Giorgio Napolitano ha difeso le larghe intese sul caso kazaco ricordando come sia una follia giocare con gli equilibri che tengono in vita il governo di Enrico Letta, l’assemblea del gruppo dei senatori del Partito democratico ha scelto di non imboccare la scivolosa strada della sfiducia al ministro dell’Interno (che potenzialmente potrebbe essere letale per l’esecutivo) e con ottanta voti a favore, sette astenuti e nessun contrario ha deciso di non accodarsi alle mozione con cui il Movimento 5 stelle e Sinistra ecologia e libertà oggi chiederanno di far ruzzolare a Palazzo Madama la testa di Angelino Alfano. Dal punto di vista politico, evidentemente, la linea espressa mercoledì mattina da una buona parte del gruppo dirigente del Pd (renziani in testa), che chiedeva al vicepremier (e segretario del Pdl) un passo indietro dal Viminale, esce goffamente sconfitta di fronte al “triangolo Le-Epi-Na” (Letta, Epifani, Napolitano). E nonostante due giorni fa, a dire il vero, siano stati praticamente tutti i candidati (e possibili candidati) alla segreteria del Pd (Renzi, Civati, Cuperlo) a chiedere ad Alfano di fare gli scatoloni al Viminale, a ben vedere se c’è qualcuno nel Pd che esce più ammaccato degli altri dalla vicenda kazaca è proprio il sindaco di Firenze Matteo Renzi, che di fatto, con la famosa lettera con la quale tredici senatori renziani (a insaputa di Renzi?) chiedevano al Pd di votare la sfiducia ad Alfano, si era intestato la linea del fronte dei potenziali rottamatori del governo (linea uscita sconfitta ieri dalle votazioni dei gruppi parlamentari). Risultato? Da mercoledì pomeriggio, il sindaco di Firenze e il presidente del Consiglio, pur facendo parte dello stesso partito, si trovano di fatto su due fronti contrapposti l’uno con l’altro, e da qui alle prossime settimane la faglia che si è aperta tra l’universo renziano e quello governativo sarà quella che, all’interno della maggioranza, rischierà di destabilizzare di più la Grande coalizione. Come se ne esce?

    “Il segretario forte non indebolisce il governo”
    Graziano Delrio, ministro degli Affari regionali del governo Letta e consigliere principe del Rottamatore, che vive, in qualche modo, in mezzo a questa sobbalzante faglia democratica, riconosce che i rapporti tra il premier e il sindaco in questa fase non possono essere idilliaci e ammette che le fibrillazioni registrate all’interno del Partito democratico rischiano di dare ragione a chi, nel centrodestra, sostiene che, paradossalmente, il fronte più traballante per il governo si chiama più Pd che Pdl (e questo nonostante tra dieci giorni il capo del Pdl rischia di ritrovarsi con una condanna pesante). Ma allo stesso tempo, secondo Delrio, esisterebbe una via per rafforzare contemporaneamente il governo, il Pd, Letta e Renzi. Impossibile? Forse no.
    “Sicuramente – dice Delrio, ex presidente dell’Anci, attualmente sindaco di Reggio Emilia – Matteo deve muoversi con molta cautela e deve stare attento a non esporsi a quel tiro al piccione che lui stesso ha segnalato qualche giorno fa, e che in effetti è regolarmente partito. Detto questo – prosegue Delrio – personalmente sono dell’idea che sarebbe molto grave se una parte del Pd, insieme con il Pdl, volesse sfruttare questa fase di confusione per, diciamo così, provare a rottamare Renzi”. Secondo Delrio, “la competizione a sinistra è, e può essere, salutare, e sono convinto che in fondo la battaglia congressuale, se verrà fatta in maniera ordinata e se verrà fatta anche ascoltando i preziosi suggerimenti del presidente Giorgio Napolitano, potrebbe aiutare il governo ad avere un partito più forte e più solido di come è adesso. Detto questo – prosegue ancora il ministro – dobbiamo però abbandonare rapidamente l’idea che avere un segretario forte significhi per il Partito democratico avere automaticamente un governo debole. Il ragionamento è molto pericoloso perché vorrebbe dire che il governo funziona solo se di fronte a sé ha dei partiti deboli, e sinceramente sarebbe una pazzia pensare a una cosa del genere. In questo senso, ragionando su tutto quello che ci aspetta nei prossimi mesi, per evitare che gli sguardi tra Enrico e Matteo diventino per così dire incandescenti tutti devono capire la verità seguente: che Renzi e Letta, al di là della retorica, possono lavorare insieme, possono crescere insieme, possono fare squadra. Se non si parte da qui, la faglia che vedo aprirsi nel Pd – dice con un sorriso Delrio – rischia di farci ballare più del dovuto. E francamente, come si dice, il gioco non vale la candela. Chiaro no?”.

    • Claudio Cerasa Direttore
    • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.