Cattive ragazze

Annalena Benini

Niente sorrisi speranzosi e timidi, niente occhi bassi, niente gentilezza e strategie da Jane Austen. Le ragazze, se vogliono farsi valere, devono essere cattive. Maleducate, anche. Sfrontate. Divertenti. Egoiste. Un po’ bulle e in nessun caso grasse. E’ l’educazione sentimentale alla rovescia delle ventenni americane, celebrata per gioco, dicono le tre giovani inventrici della “betchiness” (come bitch, ma meno volgare): un sito internet per fare un po’ di satira sulle cattive ragazze è diventato velocemente un modello da prendere sul serio, un manifesto maleducato di libertà.

    Niente sorrisi speranzosi e timidi, niente occhi bassi, niente gentilezza e strategie da Jane Austen. Le ragazze, se vogliono farsi valere, devono essere cattive. Maleducate, anche. Sfrontate. Divertenti. Egoiste. Un po’ bulle e in nessun caso grasse. E’ l’educazione sentimentale alla rovescia delle ventenni americane, celebrata per gioco, dicono le tre giovani inventrici della “betchiness” (come bitch, ma meno volgare): un sito internet per fare un po’ di satira sulle cattive ragazze è diventato velocemente un modello da prendere sul serio, un manifesto maleducato di libertà (“se non hai niente di interessante da dire, allora taci”). Le cattive ragazze si ubriacano, parlano male di tutti, sono egocentriche, vogliono divertirsi, essere ammirate, fare meno fatica possibile, ottenere quello che vogliono, non ingrassare. Le regole principali della cattiveria sono: non accontentarti, non essere povera, non essere brutta. Poi ci sono molti comandamenti, che le tre amiche si sono inventate una notte all’università e messo su Facebook. Salta il pranzo, stai lontana dai carboidrati, vai a studiare all’estero così ti diverti, fregatene degli altri, fatti venire qualche rimorso al massimo la domenica mattina (se hai mandato al tizio con il pisello piccolo per sbaglio il messaggio sul suo pisello piccolo), non chiedere mai al tuo fidanzato di conoscere la sua famiglia (“alla domanda: come vi siete conosciuti?, cosa potresti rispondere: da ubriachi?”).

    Era uno scherzo, ed era anonimo, pieno di esagerazioni (almeno questo è quello che dicono adesso, perché il retaggio della ragazza perbene è difficile da eliminare), ma partiva dal “sussurro del male”, quelle sbruffonate che una ragazza non dovrebbe mai confessare (Alice Munro disse anni fa in un’intervista alla Paris Review: “E’ un argomento di cui vorrei scrivere, la società sovversiva delle giovani donne che si tengono vive a vicenda”, e si riferiva ai pettegolezzi, alle risate, ai cattivi pensieri). Due mesi dopo le tre allegre betches hanno avuto un contratto editoriale per un libro, diventato un bestseller: “Nice è solo un posto della Francia”, e il New York Times le ha raccontate in un articolo intitolato: “Ridere lungo tutta la strada fino alla banca”. Il principio fondamentale di questa sbruffoneria è l’amore di sé: non sono accettate le timidezze, il senso di inadeguatezza, l’alone di santità e martirio che bisognerebbe sempre mostrare per essere giudicate brave ragazze (o al massimo gattemorte). Le risposte che davano le concorrenti di Miss Italia: “Sogno la pace nel mondo”, “La persona più importante della mia vita è mia nonna”, “Sono una ragazza semplice e voglio fare tanta gavetta” sarebbero state, in una filosofia betch, il motivo di chiusura del programma, o almeno avrebbero scatenato un lancio di pomodori, e l’indignazione non per i corpi-oggetto, ma per la cellulite intravista su molte cosce. “Sono queste le cose folli che le ragazze pensano, ma non  si sognerebbero mai di dire ad alta voce”. Come, ad esempio, che usano il sesso anche per ottenere quello che vogliono (“Ehi, dai un’occhiata alla storia, che cosa credi abbia fatto Anna Bolena?”).

    Kate Moss è una specie di faro per le cattive ragazze, e anche Pippa Middleton lo è (“perché è riuscita a rubare un po’ di attenzione al matrimonio reale, e le persone la seguono essenzialmente senza alcun motivo”). Le betches sono soprattutto giovani e rivendicano, oltre alla libertà di essere insopportabili, pericolose, scorrette, la possibilità di cambiare strada: “Non scriveremo le stesse cose da vecchie”. Però continueranno a pensarle.

    • Annalena Benini
    • Annalena Benini, nata a Ferrara nel 1975, vive a Roma. Giornalista e scrittrice, è al Foglio dal 2001 e scrive di cultura, persone, storie. Dirige Review, la rivista mensile del Foglio. La rubrica di libri Lettere rubate esce ogni sabato, l’inserto Il Figlio esce ogni venerdì ed è anche un podcast. Ha scritto e condotto il programma tivù “Romanzo italiano” per Rai3. Il suo ultimo libro è “I racconti delle donne”. E’ sposata e ha due figli.