La sinistra delle Giovani Marmotte, chi fa squadra e chi c'inciampa
Una volta, per fare politica serviva un po' di dedizione, magari un po' di pelo sullo stomaco, persino un po' di intelligenza (ma non era indispensabile). Adesso, soprattutto fiato. Non c'è leader o aspirante tale che a un certo punto non si faccia palestrato, ginnastico, a volte ludico. Parola d'ordine: programma, idealità e pettorali. All'alba del ventennale che giusto si va a compiere, fu il Cav. che in braghette bianche e su atollo delle Bermude saggiava la resistenza di Letta (non quello del Subbuteo: il titolare) e di Dell'Utri (quello: il titolare). Poi, si fiondarono Prodi e i casti prodiani per abbazie e badie, a farsi ulivisti conventuali: dove adesso si vuol fare squadra, quelli volevano fare comunità monastica.
Sarà il Lupetto dei boy scout verso il suo divenire Esploratore. La suggestione delle Giovani Marmotte (con apposito, classico manuale). Magari un riflesso – più tragico, più letterario, perciò si può quasi scartare a priori: peraltro pochissimo ginnico, a parte la sfiancante recita del Rosario – dello sciasciano “Todo modo”. Ma se in Giappone un campione di wrestling, il signor Inoki (di nome Antonio, come se fosse nativo di Frattamaggiore: il giapponese napoletano), è (ri)diventato senatore, e se in Italia un campione di Subbuteo è diventato capo del governo (si arrivava a inzuppare “il campo con l’acqua per mimare le partite sotto la pioggia”: cosa non può, per dire, la precisione riformista), forse non va presa troppo sottogamba la pensata del sindaco di Roma, Ignazio Marino, di organizzare una transumanza di maggioranza in zona tiburtina per due giorni di “team building”. Una volta, per fare politica serviva un po’ di dedizione, magari un po’ di pelo sullo stomaco, persino un po’ di intelligenza (ma non era indispensabile). Adesso, soprattutto fiato. Non c’è leader o aspirante tale che a un certo punto non si faccia palestrato, ginnastico, a volte ludico. Parola d’ordine: programma, idealità e pettorali.
All’alba del ventennale che giusto si va a compiere, fu il Cav. che in braghette bianche e su atollo delle Bermude saggiava la resistenza di Letta (non quello del Subbuteo: il titolare) e di Dell’Utri (quello: il titolare). Poi, si fiondarono Prodi e i casti prodiani per abbazie e badie, a farsi ulivisti conventuali: dove adesso si vuol fare squadra, quelli volevano fare comunità monastica. Per inciso anche Letta (quello del Subbuteo, non quello delle Bermude) qualche mese fa ha avuto il suo personale attruppamento ministeriale presso l’abbazia di Spineto – così da uscirne edificato nello spirito e nel corpo, tanto da invocare: “Spero che duri lo spirito di Spineto”, poi Angelino incappò in du’ kazachi e a momenti si finiva travolti dallo spirito di Astana. Sempre con le migliori intenzioni squadra si evoca e squadra si convoca; quasi sempre con i peggiori risultati ci si ritrova. E mica a caso Bersani invocava: “Matteo in squadra!”, inteso Renzi, e mica per niente Barca s’avventurava al largo, “penso che la sinistra abbia bisogno di fare squadra”, e Renzi stesso, che di partito parla poco e il partito di lui parla molto e male, ha forma di squadrite acuta e appositamente cinguetta, “la squadra è la stessa, ma se vinciamo noi giochiamo all’attacco”, “ho fatto il punto con la mia squadra” – ognuno meditando su destini mondiali, piuttosto rischiando nei fatti (se non politicamente) di finire situato tra il glorioso Benito Fornaciari del Borgorosso Football Club e l’immortale Oronzo Canà della Longobarda.
Ma di sicuro, nessuno aveva osato spingersi fino a dove si è spinto il sindaco Marino – seppure il suo predecessore Alemanno i suoi fece trasmigrare a Monte Porzio Catone, con l’aria buona a temprare affaticate riflessioni. Cronache strazianti sono giunte dalle pagine dei giornali su poveri amministratori in pantaloncini col cartellino di riconoscimento che tenevano “in equilibrio una leggerissima bacchetta puntando sulla ponderazione della forza di ciascuno” (manco Einstein riuscirebbe a spiegare una cosa del genere) o contavano pali delle bandierine o le lampade in piscina o, leonardiani, a “creare delle catapulte”. “Arrivare a credere l’uno nell’altro”, ha spiegato Marino, ravanare tra “gli errori comportamentali” perché si sa “noi vogliamo creare una bella squadra”. Magari, chissà: risultati smaglianti. Marx è morto, Freud è morto, però benissimo stanno le Giovani Marmotte.
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