Galleggiare non basta

Il governo in attesa di giudizio (Mediaset) dà fiato alle opposizioni

Salvatore Merlo

Di fronte ai deputati del Pd, con il suo garbo orientale Enrico Letta ha una parola buona per ciascuna delle anime agitate del suo agitato partito. E la natura intima del lettismo è tutta nello sguardo e nelle parole morbide con le quali il presidente del Consiglio si rivolge ai parlamentari democratici che lo cercano e lo incontrano, nei modi con i quali conforta questa platea esulcerata dai tormenti e dalle polemiche interne. Ha parlato all’assemlea del gruppo, il presidente del Consiglio, e poi tenterà la medesima operazione avvolgente anche di fronte agli uomini del Pdl, ai deputati del Cavaliere che per la verità non aspettano altro che il 30 di luglio, la sentenza Mediaset, il giorno del giudizio, quando si stabilirà il destino di Silvio Berlusconi.

    Di fronte ai deputati del Pd, con il suo garbo orientale Enrico Letta ha una parola buona per ciascuna delle anime agitate del suo agitato partito. E la natura intima del lettismo è tutta nello sguardo e nelle parole morbide con le quali il presidente del Consiglio si rivolge ai parlamentari democratici che lo cercano e lo incontrano, nei modi con i quali conforta questa platea esulcerata dai tormenti e dalle polemiche interne. Ha parlato all’assemlea del gruppo, il presidente del Consiglio, e poi tenterà la medesima operazione avvolgente anche di fronte agli uomini del Pdl, ai deputati del Cavaliere che per la verità non aspettano altro che il 30 di luglio, la sentenza Mediaset, il giorno del giudizio, quando si stabilirà il destino di Silvio Berlusconi.

    Così in tanti, tra gli osservatori interessati, nei corridoi del Palazzo, si chiedono se davvero possa bastare la diplomazia delle buone maniere lettiane per tenere in piedi l’architettura delle larghe intese. Possono bastare le maniere carezzevoli del premier, in assenza di riforme di sistema, di scelte coraggiose, di grandi interventi che riempiano di senso l’operazione voluta da Giorgio Napolitano? Imu e Iva sono state rinviate a settembre, mentre il ministro dell’Economia Fabrizio Saccomanni, silenzioso, chiuso negli uffici del Tesoro a compulsare numeri, alimenta una cert’aria di drammatico mistero sui conti pubblici, e il governo sembra consegnarsi così all’inedia, alla palude, al galleggiamento che pure sin dall’inizio anche Letta, nei primi ambiziosi giorni a Palazzo Chigi, temeva come “una malattia degenerativa e letale”. E difatti tra i banchi dell’opposizione, tra gli scranni del Movimento cinque stelle e di Sel, il partito di Nichi Vendola, tra gli uomini che si contrappongono alla convivenza promiscua tra il centrosinistra e il centrodestra, in questi ultimi giorni si assiste a un’improvvisa esplosione di vitalità. Pur scombiccherata com’è, l’opposizione ha riacquistato vigore e, nella palude del governo, da qualche settimana è l’opposizione ad aver imposto l’agenda: la mozione di sfiducia ad Angelino Alfano, che ha azzoppato il vicepremier e debilitato il Pd; il dibattito sull’omofobia che divide Pd e il Pdl; la legge sul voto di scambio; l’ostruzionismo parlamentare.

    Persino il capo dello stato, financo Giorgio Napolitano, il contrafforte della grande coalizione, ieri si è assestato su una posizione difensiva, di sostanziale debolezza, rispondendo sul Corriere della Sera alle critiche che martedì gli aveva rivolto, da quelle stesse colonne, Fausto Bertinotti. Il vecchio leader di Rifondazione comunista accusa Napolitano di aver congelato il sistema democratico, bloccato il quadro politico, sfidato nientemeno che la Costituzione e le regole della fisiologia parlamentare. “Lei non può congelare d’autorità una delle possibili soluzioni al problema del governo del paese, quella in atto, come se fosse l’unica possibile”, ha scritto Bertinotti, “come se fosse prescritta da una volontà superiore o come se fosse oggettivata dalla realtà storica. Lei non può, perché altrimenti la democrazia verrebbe sospesa”. Nella sua replica, non obbligata da nessuna particolare regola d’etichetta istituzionale (nemmeno nei confronti di un ex presidente della Camera come Bertinotti), Napolitano ha sostenuto che l’alternativa non esiste, che “il voto anticipato è una patologia italiana”, e ha dipinto scenari inquietanti nel caso in cui il governo dovesse crollare, ha alluso a conseguenze catastrofiche, rafforzate sul Corriere da un editoriale del direttore Ferruccio de Bortoli: il crac, il default, l’Apocalisse economica.

    E così a cinque giorni dalla sentenza sul caso Mediaset, mentre il Giornale di Alessandro Sallusti ha cominciato un minaccioso conto alla rovescia, il governo, sperso, è in balia dei gruppi di opposizione. E’ una banale dinamica fisica: se c’è un vuoto (il governo inerte), questo viene riempito. L’ostruzionismo parlamentare di grillini, vendoliani e leghisti denuncia la scarsa fantasia d’un’opposizione che non è in grado di farsi alternativa di governo, eppure è anche questo un altro successo tattico dopo gli schiaffi ad Alfano e pure a Emma Bonino, il ministro degli Esteri e il vicepremier, su cui affonda bene la lama degli avversari di Letta e Napolitano. L’opposizione balla mentre il premier galleggia, prende tempo, rinvia, rincorre e tenta di spegnere i malumori, tampona e ritesse come se governare fosse soltanto una questione di galateo, un affare di relazioni e buone maniere. Come se anche lui, il presidente del Consiglio, in precario equilibrio, aspetti la fatale decisione della Cassazione su Berlusconi. Un governo in attesa di giudizio.

    • Salvatore Merlo
    • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.