Il fighetto Dem

Stefano Di Michele

E’ quasi peggio dell’accusa – che piove da destra, che piove da sinistra – di essere dei radical chic. L’ha buttata lì Enrico Letta, nella sua lavata di capo ai deputati del Pd: “Basta fare i fighetti, cercare l’applauso individuale con un tweet o su Facebook non basta più”. La figura del Compagno Fighetto comincia ad avere una sua stabile presenza, nella quotidiana ammuina del teatrino democratico – tant’è che pure il povero Bersani, pochi giorni prima di sprofondare, quasi disperato invocava i suoi: “E spegnete ’sti telefonini ogni tanto! La politica non si fa a colpi di tweet e di sms!”.

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    E’ quasi peggio dell’accusa – che piove da destra, che piove da sinistra – di essere dei radical chic. L’ha buttata lì Enrico Letta, nella sua lavata di capo ai deputati del Pd: “Basta fare i fighetti, cercare l’applauso individuale con un tweet o su Facebook non basta più”. La figura del Compagno Fighetto comincia ad avere una sua stabile presenza, nella quotidiana ammuina del teatrino democratico – tant’è che pure il povero Bersani, pochi giorni prima di sprofondare, quasi disperato invocava i suoi: “E spegnete ’sti telefonini ogni tanto! La politica non si fa a colpi di tweet e di sms!”. E identica disperazione s’ode adesso nelle parole di Letta – che pure, di suo, a un tweet quando può non si sottrae. Fare l’eletto e fare insieme il figo, oh che bel mestiere!, soffiare aria, praticare una sorta di pedante scanzonatura. Perenne segnalarsi, costante presentarsi, traboccante differenziarsi: un po’ splendore di pavoni, un po’ goffaggine di tacchini. E’, il figo a caratura democratica, sorta di neo yuppies politicamente corretto – mica “bottiglia nel secchiello / e delle donne appariscenti”, come decenni fa si cantava e si sfotteva (Luca Barbarossa, “Yuppies”), ci mancherebbe altro, ma un po’, ecco, “fanno passi da giganti / nei debutti in società / sempre pronti ad ogni avvenimento” – questo sì. Hanno l’hashtag facile, il tweet sempre in canna, l’essemmesse volante, lo sguardo imbronciato, il piedino imperioso, la favella lesta: più del pensiero a volte lesta, pare voler dire Letta, che rischia di schiantarsi politicamente tra una posa e una comparsata.

    Quasi a sostegno (anzi, a preciso sostegno) dell’analisi politico-sociologica del premier, ecco accorrere dalle pagine del Fatto addirittura Jerry Calà – riconosciuta autorità in materia di fighi e fighetti, quale protagonista, insieme a Diego Abatantuono, di una superlativa pietra miliare come “I fichissimi”, e pertanto dall’intervistatore Andrea Scanzi presentato così: “Tra i molti misteri degli anni Ottanta, c’era quello di vedere Jerry Calà nella parte del gran figo”. Quindi autorità pratica, oltre che autorità teorica. E di come il Figo possa generare, a distanza di decenni, il Fighetto lettiano, ecco Calà che si avventura in una rivalutazione di quegli anni Ottanta (quando per la verità lo yuppy al figo ombra faceva), “se questo decennio avesse metà dell’entusiasmo che avevamo noi, non vivremmo i problemi che abbiamo”, la denuncia della sottovalutazione critica del suo film “Vita Smeralda”, vabbè, l’approdo all’analisi politica di oggi: “Sono un po’ di sinistra e un po’ di destra, come questo governo”, dice. Così libidine, doppia libidine, libidine coi fiocchi, per il Nipote premier? Macché. “Mi piace Renzi: se la sinistra avesse scelto lui, non avremmo vissuto quel teatrino ridicolo dopo il voto”. Ora, chissà se Enrico pure a Matteo pensasse – fichissimo non poco, c’è da dire, con il giubbino da Fonzie sulle pagine di Chi – quando ha scagliato il suo anatema sul Fighetto Dem intemperante e vociante sull’orlo del baratro nazionale, “se falliamo saremo travolti tutti insieme e con noi l’Italia”, ma la presa di posizione di Calà, direttamente dal fronte padellariano, è insieme ammonimento e Cassazione.

    Esiste anche il fighetto vendoliano
    Resta che il fighettismo, quale malattia infantile prima del bersanismo e poi dell’epifanismo, pare ormai saldamente piantato al centro della scena politica giornaliera. Incerta la via congressuale, indeterminata la verità politica, è nella vanità del Fighetto che tanta della politica a sinistra – anche ben più a sinistra del Pd: allora si muta nello spin-off del Fighetto Left dal vendoliano periodare – si consacra e si smarrisce: ché a destra, casomai, più il tamarrismo che il fighettismo affanna. Caratteristica del Fighetto Dem è l’autocertificata indispensabilità: né tira avanti il mondo, dovesse mai esso sparire dalla scena, né soprattutto sa come tirare avanti la sua giornata, se non si ritrova al centro (pure a tre quarti: il Fighetto è risoluto ma accontentabile, choosy ma mediaticamente satollabile) della stessa. Il saggio e barboso ammonimento gramsciano, “studiate, perché avremo bisogno di tutta la vostra intelligenza”, si è mutato, per ragione e disperazione, per opportunità e rassegnazione, in un “mostratevi, perché avremo bisogno di tutti i vostri hashtag”. Letta, gran cultore delle virtù del Subbuteo, potrebbe fornire ai suoi Fighetti Dem opportuna formulazione zemaniana per darsi almeno una regolata: 4-3-3, all’attacco, ma adelante con juicio. Quattro tweet, tre hashtag e tre quarti d’ora al giorno su Facebook: poi stop, e dritti al lavoro e alla lotta.

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