Il Pd decide di rinviare

Il patto del “quadrilatero” e lo spleen dei renziani

Marianna Rizzini

Alla fine portano a casa soltanto un’indicazione di massima per il congresso (da fare entro novembre), i convenuti alla direzione del Pd. Non votano sulle famigerate “regole”, alla fine, e ascoltano con un piede già mezzo fuori dal Nazareno le parole del premier Enrico Letta, che dice quello che aveva detto due giorni prima ai deputati democratici ma con parole meno tranchant, mettendo un “esistono ancora i motivi per cui c’è questo governo” al posto di “non esiste alternativa a questo governo”. Il “sistema si è rotto”, dice Letta, marcando la differenza tra il “riformismo” che il Pd “ha nel Dna” e l’attitudine alla “distruzione del sistema” del M5s, e però il problema è proprio il Dna, il “chi siamo e dove andiamo” di un partito che discute sull’opportunità delle larghe intese.

    Alla fine portano a casa soltanto un’indicazione di massima per il congresso (da fare entro novembre), i convenuti alla direzione del Pd. Non votano sulle famigerate “regole”, alla fine, e ascoltano con un piede già mezzo fuori dal Nazareno le parole del premier Enrico Letta, che dice quello che aveva detto due giorni prima ai deputati democratici ma con parole meno tranchant, mettendo un “esistono ancora i motivi per cui c’è questo governo” al posto di “non esiste alternativa a questo governo”. Il “sistema si è rotto”, dice Letta, marcando la differenza tra il “riformismo” che il Pd “ha nel Dna” e l’attitudine alla “distruzione del sistema” del M5s, e però il problema è proprio il Dna, il “chi siamo e dove andiamo” di un partito che discute sull’opportunità delle larghe intese. Non sono “per sempre”, come dice Letta consapevole del fatto che non piacciono a tutti e non solo negli ambienti evidentemente dissidenti alla Pippo Civati (ieri Rosy Bindi dichiarava e twittava la sua contrarietà), ma questo discorso si interseca con l’infinito interrogarsi sulla strada congressuale imboccata dal segretario Gugliemo Epifani (e dal ministro per i Rapporti con il Parlamento Dario Franceschini e dall’ex segretario Pier Luigi Bersani e dai lettiani stessi). La strada, cioè, di chi vuole la separazione tra segretario e candidato premier al grido di “serve un segretario che faccia il segretario” e un congresso chiuso ai soli iscritti che parta dal piano locale, e soltanto in un secondo tempo porti all’ufficializzazione delle candidature nazionali. Lo dice Epifani a inizio direzione, sollevando, com’è ovvio, le obiezioni dei renziani ma anche quelle del candidato alla segreteria Gianni Cuperlo, applaudito da Renzi quando dice “congresso inclusivo, no alle candidature nazionali dopo i congressi regionali”. (Senza contare i dubbi dei Giovani turchi: “La proposta di Epifani non va bene, non possiamo chiuderci nelle nostre paure”, dice Matteo Orfini).

    Renzi inseguito come un Beppe Grillo
    E così, per tre ore, fuori dai confini del quadrilatero Epifani-Franceschini-Bersani-Letta, va in scena il tormento senza estasi, il tormento rassegnato e imbrigliato di chi, al momento, per non dire, può solo scappare in silenzio per i vicoli di Roma, inseguito dai cronisti come Beppe Grillo (Renzi ieri sera), sostenuto però, per strani giochi della nemesi, persino da una non-renziana di chiara fama come la malinconica Bindi che, oltre a temere che “con il governo di necessità” possa “finire pure il partito”, non vorrebbe “rinunciare alle aperture”. Qualcuno, sì, freddamente si arrabbia, tra i renziani, e la butta in battuta (Roberto Giachetti sullo “spregiudicato Franceschini”: perché non far votare, allora, soltanto “i dipendenti del Pd e lo staff dei ministri?”). Qualcuno sottolinea il boomerang (“vogliamo chiudere la porta in faccia” a elettori “più vitali degli iscritti?”, dice Paolo Gentiloni). Ma nell’impossibilità di far valere, al momento, l’idea di “primarie aperte” anche per il segretario, persino il bellicoso Civati si abbandona, sul Web, ai versi di un componimento poetico intitolato “Paura di perdere perdendosi” (svolgimento: “Si chiude il congresso / si chiude il dibattito / … e tutto per non perdere / e così si perde / e ci si perde). Il quadrilatero intanto incassa mezzi sì (Piero Fassino) e molte critiche amare su Twitter (“direzione pd? un ossimoro”, scrive un internauta). Più della rabbia poté lo spleen, alla fine, ma con prudente rinvio del voto, vista la platea evidentemente non unanime. 

    • Marianna Rizzini
    • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.