Lo scontro finale
L'Egitto risponde in massa all'appello dei militari contro gli islamici di Morsi
Gerusalemme. Due facce raccontano la frattura dell’Egitto, con le piazze antagoniste che s’affrontano in una gigantesca manifestazione. Piazza Tahrir – icona della rivoluzione del gennaio 2011, oggi sostenitrice di quei militari che il 3 luglio hanno deposto l’ex presidente Mohammed Morsi – si raccoglie attorno alle decine di bancarelle che vendono le bandiere nazionali, i poster e le immaginette del comandante in capo delle Forze armate, il generale Abdel Fattah al Sisi. Il suo viso, proposto e riproposto da quei manifestanti che a fine giugno sono scesi in strada a milioni per chiedere l’uscita di scena del rais islamista, si oppone a quello di Morsi, nascosto dietro la montatura di occhiali fuori moda.
Gerusalemme. Due facce raccontano la frattura dell’Egitto, con le piazze antagoniste che s’affrontano in una gigantesca manifestazione. Piazza Tahrir – icona della rivoluzione del gennaio 2011, oggi sostenitrice di quei militari che il 3 luglio hanno deposto l’ex presidente Mohammed Morsi – si raccoglie attorno alle decine di bancarelle che vendono le bandiere nazionali, i poster e le immaginette del comandante in capo delle Forze armate, il generale Abdel Fattah al Sisi. Il suo viso, proposto e riproposto da quei manifestanti che a fine giugno sono scesi in strada a milioni per chiedere l’uscita di scena del rais islamista, si oppone a quello di Morsi, nascosto dietro la montatura di occhiali fuori moda. Nella piazza antistante la moschea di Rabaa al Adawiya, nei sobborghi del Cairo, centinaia di migliaia di suoi sostenitori mostrano la sua immagine, chiedono il ritorno di un presidente democraticamente eletto.
La polarizzazione dell’Egitto passa attraverso l’iconografia di due piazze opposte ma anche attraverso una retorica aspra e mosse politiche che irrobustiscono le violenze. Il confronto sembrava inevitabile: centinaia di migliaia di persone sono scese in strada in tutte le città del paese, gli scontri sono iniziati nel pomeriggio al Cairo sotto l’occhio minaccioso degli elicotteri dell’esercito, ad Alessandria (dove già si contano almeno tre morti) e nel Delta del Nilo. A inasprire la protesta islamista, poche ore prima dell’inizio delle manifestazioni, sono arrivati i dettagli sulla sorte di Morsi. La procura generale ha ordinato (o formalizzato) la sua detenzione per 15 giorni, durante i quali sarà condotta un’inchiesta. Le accuse contro di lui comprendono lo spionaggio per il movimento islamista palestinese Hamas, l’omicidio e il sequestro. I fatti sui quali si concentrano gli inquirenti riguardano la sua evasione di prigione, assieme ad altri leader della Fratellanza, durante la rivoluzione del 2011. Morsi si trovava in carcere in qualità di prigioniero politico: i Fratelli erano, durante il regime di Hosni Mubarak, un’organizzazione fuori legge. I vertici della Fratellanza hanno subito reagito, il portavoce Ghehad el Haddad ha parlato di “fantasie di una dittatura militare” e un leader del movimento ha chiesto ai sostenitori di scendere in piazza pacificamente.
Nei giorni scorsi l’esercito ha reso pubblico un video in cui i manifestanti pro-Morsi – secondo la versione delle Forze armate – bloccano strade nella capitale e prendono d’assalto automobili. “La popolazione è spaventata. I militari, chiedendo alle persone di scendere in strada per aiutarli a far fronte alle violenze, vogliono far capire che saranno duri con chi non rispetta la legge”, spiega al Foglio Hussein Gohar, attivista del Partito socialdemocratico nato dalla rivoluzione. Per Moustafa Kamel, professore di Scienze politiche all’Università del Cairo, invece, “i generali vogliono mostrare di godere del sostegno popolare, eliminare l’idea che gli eventi del 3 luglio equivalgano a un golpe”.
Da settimane ormai, parallelamente alla transizione politica, che i militari hanno consegnato a un governo civile, le autorità lavorano a indebolire i vertici della Fratellanza, con mandati d’arresto contro alcuni leader, il congelamento degli asset della guida spirituale Mohammed Badie e l’annuncio della detenzione di Morsi. La retorica contro la Fratellanza indica la volontà di allontanare gli islamisti dalla scena politica. Anche se pochi giorni fa il presidente ad interim Adly Mansour ha chiesto al paese unità, la televisione di stato ha mostrato le immagini della piazza in festa il 3 luglio, all’annuncio della deposizione di Morsi, presentandole con una didascalia poco conciliante: “Il giorno della liberazione dall’occupazione dei Fratelli musulmani”. Poco concilianti sono stati anche i toni usati dal principale attore delle manifestazioni dei giugno, il movimento Tamarrod, “ribellione” in arabo alla vigilia della manifestazione: “Ripuliremo l’Egitto – ha detto il suo portavoce Mohammed Abdel Aziz – ci sono persone armate nelle strade, non lasceremo gli estremisti uccidere la nostra rivoluzione”.
I portavoce dell’esercito ripetono che l’appello a combattere il terrorismo non è affatto una chiamata allo scontro con gli islamici, e il vicepremier Mohammed ElBaradei, uno dei nomi più noti di quella leadership laica che formalmente dovrebbe governare il dialogo d’unità nazionale, chiedeva via Twitter di mantenere la calma, di pensare alla pace. Ma i baci in piazza ai militari – nel 2011 rimase famosa la carezza che l’allora capo delle Forze armate diede a un manifestante anti regime – fanno pensare che tutti vogliano archiviare la stagione dei Fratelli musulmani al potere, costi quel che costi. Secondo il professor Kamel, non ci sarà una repressione vecchio stile, come ai tempi di Mubarak, ma “pressioni giudiziarie e legali che spingeranno il movimento ad accettare condizioni”. Per molti, è una visione ottimistica.
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