Da Pannella al Fatto, l'arte eroica di raccattare firme sotto l'ombrellone
O c’è il Cav. o c’è la Costituzione, non si scappa – una firma per daje sotto al primo, una firma per daje ’na mano alla seconda. Alternativamente. La ressa democratica cresce, la penna corre veloce come lepre sul modulo che si empie, e moduli in quantità industriale si ammassano: a grazia ricevuta o a grazia invocata, scenograficamente come ex voto pendono nel Tempio della Buona Causa. Ché una buona causa, non meno di una buona indignazione, si trova sempre. L’appello, le primarie qualificate adesioni, poi il fluire di massa. E all’ignominia si fa argine e alla democrazia si offre barriera.
Rizzini Aspettando il B-day nel Pd, con baruffe in casa e Cinque stelle all’uscio
O c’è il Cav. o c’è la Costituzione, non si scappa – una firma per daje sotto al primo, una firma per daje ’na mano alla seconda. Alternativamente. La ressa democratica cresce, la penna corre veloce come lepre sul modulo che si empie, e moduli in quantità industriale si ammassano: a grazia ricevuta o a grazia invocata, scenograficamente come ex voto pendono nel Tempio della Buona Causa. Ché una buona causa, non meno di una buona indignazione, si trova sempre. L’appello, le primarie qualificate adesioni, poi il fluire di massa. E all’ignominia si fa argine e alla democrazia si offre barriera. Al Fatto, hanno la firma come una volta era il rancio militare: ottima e abbondante. Inarrestabile, addirittura. E’ tutto un accorrere, che né Caronte frena l’assieparsi né la necessità di magnesio rallenta l’accalcarsi. Ieri, nel tardo pomeriggio, il sito padellariano annuncia: “Costituzione stracciata, già 120 mila firme”, e il direttore in persona incoraggiava: “Obiettivo 500 mila, si può fare”. Un po’ di soliti noti, da Ingroia a don Ciotti, da Giulietti a Ferrero, da La Valle a Di Pietro, più altri illustri costituzionalisti, a mostrar sdegno e petto per “il disegno di legge governativo, già approvato dal Senato, di revisione dall’articolo 138 che fa saltare la ‘valvola di sicurezza’ pensata dal nostri Padri costituenti, ecc. ecc.”. Va da sé, che ogni generosa sottoscrizione (codesta va sotto l’appellativo “Firmare per la Costituzione”, e gagliardamente mira a togliere la stessa, “nata dalla Resistenza dalle grinfie delle larghe intese”) è epica morale, momento centrale, battaglia finale – e Padellaro a mettere di mezzo Quirinale e Palazzo Chigi, Ue e Bce e Fondo monetario. Un allarme cosmico che persino non prevede – e mica pare buon segnale per lui – nemmeno la citazione del Cav., uno che fino a pochi mesi fa, con rispetto parlando, era la vera Spectre di ogni firmarolo di vaglia.
Il raccattar firme è sempre stata attività contigua alla politica – vuoi per rimettere insieme le due Coree, sempre contro una riforma della pubblica istruzione, per sciogliere il Msi, per la pena di morte, pure “una firma contro la droga” – e che significa? Ma la firma sempre fa accorrere, Internet amplifica, i social network attruppano. E il volenteroso presentarsi all’appello dei soliti noti cantanti-scrittori-attori-intellettuali-comici è costante e fecondo. Tutti hanno una firma da chiedere e ognuno, volendo, ha una firma da apporre. Giusto Padellaro rammentava la gloriosa spedizione firmarola, “un’enormità” – centocinquantamila: le stesse consegnate ai pm in una chiavetta usb – dell’estate passata a sostegno della procura di Palermo per l’inchiesta sulla trattativa stato-mafia (per inciso, assicurava nel fervore del momento il dott. Ingroia: “Ringrazio di cuore Andrea Camilleri per le parole affettuose e di riconoscimento per il mio lavoro, ma non ci sarà alcun ripensamento sulla mia missione in Guatemala”; ecco Fatto, appunto). E appena a primavera proclamava Paolo Flores d’Arcais che, allo scoccare della “mezzanotte di giovedì 14 marzo”, le firme per l’ineleggibilità del Cav. avevano varcato il Rubicone delle 200 mila. “Alla firma! Alla firma!”, la cechoviana esortazione che infiamma stagionalmente il mondo mejo democratico – or marciante su Colle e su Letta, anziché sull’antico sperimentato nemico di Arcore. La firma d’estate è un classico delle cronache politiche. Anche firme più “operative”, diciamo così, rispetto a quelle esortative a stringersi a coorte in difesa di Costituzione e costituenti. Per dire, riecco i radicali impegnati nella loro mietitura per dodici referendum dodici, tavolinetti dispiegati e pannelliani quotidiani furenti interventi radiofonici a porre firma e a dar sostegno. E fu così nell’agosto di due anni fa che Di Pietro si pose alla testa della raccolta per una proposta di legge d’iniziativa popolare per abrogare il porcellum. La firma e la faccia, invocava l’ex pm, vispo e vegeto il porcellum sta. Ma la più singolare raccolta (a parte lo sproposito di dieci milioni dieci di Bersani per le dimissioni del Cav., ma fu in periodo invernale, le forze reggono meglio) fu quella di Fini che nel ’99 spedì i suoi, per castigo politico dopo disastro elettorale, a raccogliere firme sul bagnasciuga di Rimini e Ostia. In seguito, però, molta acqua si imbarcò.
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