Il buttafori
Grandeur scaccia grandeur, ad avercela, e in questa storia dei Fori romani pedonalizzati le grandeur in conflitto sono addirittura tre: quella fantasma degli antichi imperatori, quella della Roma fascista ormai architettonicamente inglobata nella Roma moderna e quella del neo sindaco democratico Ignazio Marino alla vigilia della notte d’inaugurazione (stanotte) del parziale stop al traffico sotto al Colosseo (bus, taxi e affini sono ammessi). “Qui hanno camminato Cesare, Cicerone e Catilina”, dice il sindaco in conferenza stampa; “l’operazione è parte del sogno di ridare indietro al mondo questo posto incredibile dove la storia dell’occidente si è sviluppata”, spiega il sindaco mentre un guardingo Herald Tribune parla della “strada dello scontento” e dà spazio, tra le altre cose, al parere contrario degli abitanti dell’Esquilino.
Grandeur scaccia grandeur, ad avercela, e in questa storia dei Fori romani pedonalizzati le grandeur in conflitto sono addirittura tre: quella fantasma degli antichi imperatori, quella della Roma fascista ormai architettonicamente inglobata nella Roma moderna e quella del neo sindaco democratico Ignazio Marino alla vigilia della notte d’inaugurazione (stanotte) del parziale stop al traffico sotto al Colosseo (bus, taxi e affini sono ammessi). “Qui hanno camminato Cesare, Cicerone e Catilina”, dice il sindaco in conferenza stampa; “l’operazione è parte del sogno di ridare indietro al mondo questo posto incredibile dove la storia dell’occidente si è sviluppata”, spiega il sindaco mentre un guardingo Herald Tribune (due giorni fa, nell’articolo di Elisabetta Povoledo) parla della “strada dello scontento” e dà spazio, tra le altre cose, al parere contrario degli abitanti dell’Esquilino (“quando diventano sindaco pensano tutti di essere Giulio Cesare”, dice la signora Luciana Gasparini, animatrice dei ribelli di quartiere). Ma chissà se la minima comune grandeur della romanità moderna si salverà, alla fine del sogno e del pasticciaccio di via Merulana, quando in mezzo scorrerà il tram (il numero 8 prolungato fino al Colosseo, se non la metro C sull’orlo del baratro) e non sarà più possibile fare come Audrey Hepburn, che con gli occhioni sgranati, nelle sue “Vacanze romane” con Gregory Peck, andava a spasso notte e giorno in Vespa, e ai Fori vedeva parate di bersaglieri e archi immersi nel buio, ma senza troppa traccia di porchetta (dei camion bar che nessuna “operazione-Fori” riesce per ora a debellare). Si andrà a piedi, chissà, alla fine – ma non ora, per la gioia degli insolitamente serafici tassisti – e si andrà a zonzo tra pannelli illustrativi e ponti firmati Fuksas, tra statuine, magliette e forse pure “schizzi di putride gelatine” vendute in ogni dove, come paventava un mese fa Barbara Palombelli su questo giornale, da elettrice del sindaco ma anche da cittadina preoccupata per le sorti di una città ostaggio di isole pedonali malamente intese (che qui non funzionano “come a Zurigo o in certi piccoli comuni”, scriveva, ma diventano “luoghi orrendi, abitati da ogni genere di bancarella puzzolente”, con “tavolini, tende, stufe e ombrelloni che si allargano fino a impedire la reale pedonalizzazione”). E insomma, scriveva Palombelli proponendo la chiusura dei Fori solo nel weekend e l’apertura senza limiti del traffico nelle ore di punta, c’è da ricordare “che Piazza Navona, quando c’erano le auto – pochissime e discrete – era un paradiso… ci si dava appuntamento, il piazzale grande davanti consentiva perfino i giochi dei bambini – i miei figli hanno imparato lì a pedalare, quando un delizioso ciclista ci affittava a mezzore le bici – finché non è arrivata la fintamente democratica occupazione totale”.
Alleanze variabili si formano e si disfano sul selciato pedonalizzato per ora soltanto nelle intenzioni e, come dice un osservatore esperto di affari capitolini, “soprattutto per preesistenti esigenze legate alla metro C” (della serie: il traffico bisognava ridurlo comunque, tanto valeva ammantare il tutto di cultura, specie in presenza di un pasticciaccio aggiuntivo, con la società incaricata dei lavori che reclama debiti arretrati). Alleanze variabili si intrecciano sotto gli occhi di tutti, unendo, per ragioni diverse, alemanniani e professori della sinistra. “Marino ha fatto un cinema, come si dice a Roma, di una corsia preferenziale”, dice al Foglio Sveva Belviso, capogruppo del Pdl in comune, ex vicesindaco nella precedente amministrazione e animatrice della pagina facebook “Liberi di scegliere” nonché di un referendum consultivo “non partitico e trasversale” sui Fori prossimi venturi, con raccolta firme (già stamattina) in nome del “no” a una “finta pedonalizzazione” inficiata “dallo sfrecciare di bus e taxi” e realizzata “nel disprezzo per le esigenze di commercianti e residenti oltreché deviando fondi per la metro C, con artifici burocratici di cui si dovrà rispondere davanti alla Corte dei Conti”. Ma ecco che, insospettabile, giunge l’altra voce: “Marino si occupi di periferie invece di andare a cavallo lungo i Fori come il Duce – e almeno il Duce aveva la cosiddetta bella presenza”, dice al Foglio Luciano Canfora, professore di Filologia classica a Bari ed esponente della gauche non sedotta dalla parola “pedonalizzazione”, invincibile nell’immaginario politicamente corretto quasi quanto le parole “diritti”, “cooperazione” e “biologico”. “Che cosa vogliamo fare, dimenticare lo sviluppo urbanistico della città?”, dice Canfora, convinto che la “pazza idea” di Marino rasenti a tratti l’assurdo: “E’ come se un parigino si mettesse in testa di cancellare i boulevard di Napoleone III, pensati anche come argine agli accentramenti e alle insurrezioni, per tornare alle vie percorse dalle Cosette dei ‘Miserabili’”. “Non siamo più negli anni Settanta e Ottanta”, dice Canfora, “quando poteva ancora avere un senso interrogarsi sugli sventramenti urbanistici mussoliniani. E’ passato un altro mezzo secolo, via dei Fori imperiali fa parte della storia della città, e questa operazione, con l’occhio del buonsenso e lo sguardo ai futuri tempi di percorrenza, sembra dettata dalla fretta di chi non sa bene da dove cominciare”.
Per un Canfora che critica, ci sono però dieci Ascanio Celestini – e Franca Valeri e Dacia Maraini e Alessandro Gassman e Vittorio Emiliani, passando per il rabbino capo Riccardo Di Segni e per l’ex ministro Edo Ronchi – che firmano appelli pro sindaco e pro Fori pedonalizzati (“priorità alla cultura, rilancio dell’immagine internazionale di Roma”, è l’unanime motto). Si richiamano in vita col pensiero i sindaci Giulio Carlo Argan e Luigi Petroselli, antesignani, in altri tempi, dei vari “progetti-Fori”, e si corre giù giù fino agli esperimenti di traffico limitato di Francesco Rutelli e Walter Veltroni, per arrivare alla lotta di fioretto tra ex sovrintendenti statali e comunali l’uno contro l’altro armati: per un Adriano La Regina che via dei Fori imperiali vorrebbe vederla scomparire dalla faccia della terra (demolirla? Perché no, cominciamo a cacciare le macchine, ha detto a Repubblica), c’è un Umberto Broccoli che manda l’“in bocca al lupo” (tradotto: vediamo un po’ che fate) ai successori: “Se per trent’anni non si è riusciti a venire a capo della questione Fori”, dice al Foglio, “un motivo ci sarà. Scavare, sì, ma dove?, ci si chiedeva già negli anni Ottanta. Privilegiare quale strato? L’esperienza consiglierebbe cautela: non ci si ricorda più di che cosa è successo appena pochi mesi fa, bloccando un budello di appena trenta metri per realizzare l’ultima fermata del tram numero 8? Chi stasera passeggerà con Marino ai Fori, poi, sbucherà fatalmente in piazza Venezia, angolo piazza della Madonna di Loreto, davanti a un buco mai chiuso cui i romani assuefatti neanche fanno più caso. Come la mettiamo con quello? Durante il mio mandato chiesi notizie sulla tempistica di chiusura, ricevendone in cambio risposte dilatorie, della serie ‘se dovemo riunì pe’ stabilì quando se dovemo riunì’”.
Comunanze e discordanze volatili d’intenti si creano a margine del sampietrino variamente colonizzato da venditori di chincaglierie (previsti in aumento nella zona bonificata dalle auto) e ambizioni grandiose dell’amministrazione (il sindaco dice però ai suoi critici che “nessuno, fra trent’anni, si ricorderà chi era al Campidoglio nel 2013, ma tutti godranno dei Fori pedonalizzati”). E se sulla possibile estensione a tappeto della “casbah” di bancarelle Barbara Palombelli può, in prospettiva, scontrarsi con Francesco De Gregori – autore, il mese scorso, di una lettera al Corriere contro gli annunciati “maxiblitz” di Marino (“suk, parola sbrigativa”, gli ambulanti “fanno parte del tessuto sociale della città”, scriveva il cantautore) – è lo stesso De Gregori a picchiare duro sulla “idolatria delle piste ciclabili”, arma brandita ogni giorno dal sindaco a due ruote (con capitombolo iniziale, vabbè). Parla proprio alla vigilia del Fori-day, De Gregori, nell’intervista ad Aldo Cazzullo sul Corriere della Sera di mercoledì scorso, quella sulla sinistra momentaneamente irreperibile e persa tra “slow food e No Tav”. Ma già un mese prima, stessa testata, Giorgio Montefoschi bastonava la baldanzosa vis ciclistica della nuova amministrazione: “Se uno ha voglia, si nutre nel modo giusto con yogurt e frutta, pure a ottant’anni può imboccare i viali di Monteverde vecchio per andare a trovare i nipotini che giocano a Villa Pamphilj o salire in Campidoglio a partecipare al matrimonio di un coetaneo vedovo, convolato in seconde nozze con una bella ragazza bulgara di trent’anni… Sì, speriamo proprio che questo sogno si realizzi, su per i colli e per le periferie di Roma. Non li vedremo più quegli sfigati che si incaponiscono a raggiungere il posto di lavoro con l’utilitaria o stipano i vagoni della metropolitana, rischiando – nei giorni di pioggia – l’affogamento”.
“Notte dei Fori”, dice intanto il sindaco Marino, spalleggiato dall’assessore alla Cultura Flavia Barca, sorella dell’ex ministro Fabrizio anche nell’eloquio pericolosamente simile, per cripticità, a quello del “Mister Wolf-risolvo problemi” del Pd, il Barca della “mobilitazione cognitiva” (“abbiamo bisogno che il patrimonio artistico dialoghi con noi”, dice Flavia auspicando l’avvento di un manager per i Fori). Soddisfatti, i nuovi arrivati in Campidoglio presentano con molto “orgoglio per Roma” la serata inaugurale, sotto le stelle ma accanto alle lamiere del cantiere sonnacchioso (per il solito futuribile metrò), e magnificano preventivamente lo spettacolo della notte di mezza estate, assaggio del Foro a piedi che verrà (forse, nel 2014). C’è il funambolo (“ponte metaforico” in attesa del ponte di Fuksas), il concerto e la banda dei vigili – e ci mancherebbe, ché, come ha detto un non entusiasta Piero Angela al Messaggero, “da vigili” per ora sembra, più che da grande intervento culturale, l’intera operazione. Dall’altro lato, tra i promotori dell’idea di “parco archeologico”, si diffonde la contentezza, con l’avvertenza che “questo sogno antico” venga nutrito da “un livello altissimo di discussione”, come dice l’ex candidato alle primarie pd per il sindaco di Roma Paolo Gentiloni, convinto che l’operazione pedonalizzante vada presentata al mondo come “grande progetto culturale per i prossimi vent’anni, con i Fori e lo stradone-passerella, certo, ma in un’ottica da rovine di Petra, dove passare non una mezz’ora di corsa come fanno i turisti delle crociere, ma un’intera giornata, aiutati da pannelli esplicativi. Serve un’azione congiunta comune-stato, bisogna partire dal traguardo, non ridurre tutto a un problema di traffico”.
Il fatto è che il traguardo si fa incerto. Una crudele eterogenesi dei fini, pensano i nostalgici preventivi della libera circolazione alla Hepburn-Peck, potrebbe pure produrre, invece della passeggiata a piedi e a braccetto con il fantasma di Cesare, una caduta libera verso l’anonimato da piazza turistica globale, con stand equi & solidali di borsette e volenterosa ma non sempre artistica esibizione di aspiranti musicisti-attori-pittori. Ma nulla scalfisce l’ottimismo (“narcisismo”, dicono i residenti dell’Esquilino) del sindaco Marino, che mette in conto “la crocifissione a breve termine” e si lancia in voli pindarici verso Barcellona (Fori come Ramblas) e addirittura verso Atene (c’è la crisi, ma pure il trenino elettrico per turisti).
“Notte dei fori”, ripete Marino, prefigurando il turbinio di acrobati sotto al Colosseo (“vaga reminiscenza del panem et circenses degli antichi romani”, nota l’Herald Tribune) tra sfere di cristallo, quadri coreani, violini, saltimbanchi, stornelli e sonetti di Shakesperare (che c’entrano?), tutti numeri previsti stasera tra l’intervento delle autorità e il dibattito commemorativo per Vincenzo Cerami, animato da Concita De Gregorio, penna di Repubblica. E a questo punto è ufficiale: il giornale di Largo Fochetti è favorevole al Foro di Marino almeno quanto il Messaggero è contrario, con tutte quelle voci avverse messe in fila giorno per giorno, fino al giorno in cui Francesco Filippi, direttore del Centro ricerca per il trasporto e la logistica della Sapienza, ha detto la parola definitiva su quelli che considera “errori madornali”: “Ci si è dimenticati dei pedoni”, è stata l’amara sentenza, seguita a ruota da quella dello storico Vittorio Vidotto, convinto che l’operazione-Fori sia “micropropaganda archeologica” che “non farà diminuire lo smog al Colosseo”. Ieri, comunque, proprio nell’imminenza dell’apertura dei Fori a traffico ridotto, è arrivato il colpo indigeribile per il super-io dell’integralismo vetero-archeologico, schifato dalla mano non invisibile del privato sul restauro dell’Anfiteatro Flavio: per il Consiglio di stato (chiamato a pronunciarsi su un ricorso del Codacons) la sponsorizzazione Tod’s s’ha da fare, nonostante il niet degli orripilati che tremano all’idea di vedere il monumento per antonomasia accostato al nome dello “scarparo” Della Valle, per usare la definizione dei detrattori.
Felici saranno, con Marino e con i beautiful firmatari degli appelli, pure i finti centurioni (“voglio vedere ’ndo li mette, il sindaco”, dice un barista di via Cavour), allettati dal probabile afflusso di turisti giapponesi, attesi in massa, stasera, davanti alle suddette “sfere di cristallo” (non quelle delle fattucchiere, per ora ancora lontane dallo sbarco ai Mercati traianei: trattasi di scenografia per il balletto della compagnia Materiaviva). “Trappola per Fori”, dice invece il manifesto d’allarme delle associazioni di cittadini nei rioni limitrofi (con vignetta che mostra un topo intrappolato in macchina causa ingorgo), ma se il “no” di commercianti, residenti e centrodestra è assoluto come il sì dei radical mariniani, le gradazioni nella terra di mezzo sono infinite come le querelle tra editorialisti del Corriere della Sera, sempre molto attivi sul tema. Pierluigi Battista, da settimane, scandisce su Twitter il suo countdown: “Ancora due giorni e per chi vive, lavora o si reca a lavorare in un raggio di due km dai Fori imperiali sarà la fine”, scrive, tallonato dall’Espresso online (Alessandro Gilioli, dandogli di “califfo del rione Monti”, si augura che qualcuno prenda in parola l’hastag #unabiciperPigi). Antonio Polito, in compenso, da giorni si mostra più possibilista (“collaborazionista”, dice amichevolmente Battista) sull’“atto di civiltà dovuto a Roma”, sebbene nel quadro globale di una persistente angustia per il traffico. Interpellato sulla disfida di via Merulana, Battista si chiede “che cosa potrebbe mai dipingere oggi un redivivo Renato Guttuso, affacciandosi dalla sua finestra alla Salita del Grillo e vedendo un mare di lamiera”, e invoca “piuttosto tre nuove linee di autobus”, non concordando neppure con il più terzista Aldo Cazzullo, che trova i Fori pedonali “una suggestione magnifica” ma vorrebbe che tutto il processo fosse condotto “in modo razionale”.
Sempre nella terra di mezzo, tra i perplessi con riserva della grandeur mariniana, si colloca l’associazione Italia Nostra (salvaguardia del patrimonio artistico e ambientale) che, nella persona del vicepresidente Vanna Mannucci, è stufa di sentire “gente che mette in bocca” al compianto scrittore-giornalista-archeologo Antonio Cederna “il termine pedonalizzazione”: Cederna “non ha mai parlato di pedonalizzazione dei Fori”, dice Mannucci, ma di “strategia complessiva” di ricerca archeologica, “senza contare che l’allontanamento del traffico da via dei Fori imperiali non è stato chiesto da Legambiente, che ha cavalcato opportunamente la tigre, ma da Roberto Cecchi del Mibac, come atto dovuto per gli scavi della metro C”. Anche per Paolo Conti, editorialista e curatore della pagina delle lettere sul dorso romano del Corriere della Sera, urge una “visione strategica” per scongiurare l’intervento “propagandistico e meramente cosmetico” e lo smarrimento lungo il confine che corre tra “cultura dell’ordinaria amministrazione” e “politica dei grandi annunci” (“ben venga il Progetto Fori”, scrive, ma a patto che “non diventi l’ossessivo videoclip della comunicazione mariniana per far dimenticare, per esempio, che questa sarà la prima estate senza cantieri stradali aperti causa mancanza di fondi”).
Lui, il sindaco Marino, ha preso la patente nel lontano 1973 e ricorda con orrore piazza del Popolo (altra piazza, altra storia) ingombra di automobili. Ma loro, i romani nostalgici della grandeur privata con libertà di circolazione veloce sotto al Colosseo e rapida ammirazione consolatoria di bellezze antiche, rispolverano sconsolati la parodia internettiana dell’ex rivale di Marino, l’“Arfio” Marchini che “lascia la macchina a casa e piglia l’F-35”, e leggono sgomenti le poche parole sul cartellone di lancio dei nuovi Fori (“era una strada, sarà la passeggiata”), chiedendosi, sotto sotto, se sia slogan o minaccia.
Il Foglio sportivo - in corpore sano