Bufale criminali
L’idea che povertà e ingiustizia sociale vadano a braccetto con un aumento della violenza e della criminalità dovrà essere dimenticata, e sepolta. Le prove empiriche e quelle statistiche hanno finora dimostrato che il mito sociologico “più crisi, più crimini” rappresenta un trabocchetto mentale che è stato più volte smentito dai fatti nel corso dei decenni; per quanto segua un ragionamento apparentemente logico. La realtà è però controintuitiva e più complessa di una semplice deduzione lineare di causa-effetto. Molti praticanti quotidiani del pensiero unico sono comunque tuttora restii ad ammettere questa verità, nonostante i numeri li smentiscano puntualmente.
L’idea che povertà e ingiustizia sociale vadano a braccetto con un aumento della violenza e della criminalità dovrà essere dimenticata, e sepolta. Le prove empiriche e quelle statistiche hanno finora dimostrato che il mito sociologico “più crisi, più crimini” rappresenta un trabocchetto mentale che è stato più volte smentito dai fatti nel corso dei decenni; per quanto segua un ragionamento apparentemente logico. La realtà è però controintuitiva e più complessa di una semplice deduzione lineare di causa-effetto. Molti praticanti quotidiani del pensiero unico sono comunque tuttora restii ad ammettere questa verità, nonostante i numeri li smentiscano puntualmente. A cinque anni dall’inizio della crisi economica internazionale, si possono però ripercorrere le analisi del contropensiero, si possono analizzare le tendenze passate e paragonarle a quelle odierne, per scoprire infine che nulla è cambiato: i crimini diminuiscono nonostante la crisi. Punto.
Fu il Wall Street Journal a ribellarsi tra i primi alla bufala globale con un editoriale pubblicato nel 2010. All’epoca circa 7 milioni di disoccupati si aggiravano per le strade d’America, le file fuori dai discount erano all’ordine del giorno, e un numero più alto del solito di persone senza dimora si accampava nei parcheggi o investiva i propri (pochi) risparmi rimasti in una roulotte di ferro (e non in una casa di legno come quelle che erano garantite dalla bolla dei mutui subprime) per ridurre spese e consumi. Una situazione talmente deprimente, per com’era stata dipinta dai media, da apparire quasi postbellica. Eppure – notava il Wall Street Journal – la gente non si aggrediva, non si accoltellava a vicenda e non rubava nulla al prossimo in misura maggiore di prima. Non si è per niente avverata la profezia che scienziati sociali, criminologi vari e politici gridavano a squarciagola all’indomani del fallimento di Lehman Brothers, allarmati per l’imminente ondata di crimini in arrivo. I crimini non stavano affatto crescendo, il tasso di criminalità continuava invece a scendere fino ad attestarsi ai livelli più bassi dai primi anni Sessanta, gli anni in cui il mondo occidentale ha sperimentato il “boom” economico della modernità.
E’ successo anche durante la Grande depressione del 1929. E lo stesso è accaduto nel 2009. Qualche esempio? Negli Stati Uniti, durante i primi sei mesi di quell’anno, gli omicidi sono scesi del 10 per cento, i crimini violenti del 4,4 e del 6,1 le aggressioni alla proprietà. E dove la disoccupazione era molto alta? Uguale. Contea di Los Angeles, anno 2009, disoccupazione al 12,3 per cento, omicidi in calo del 25. La statistica continua a dare sostegno a questa tesi “contrarian”. Anche nel resto del mondo occidentale.
E’ l’Economist ad avere messo in fila qualche altro numero più fresco cercando di dare una spiegazione al complesso fenomeno. I giornalisti del settimanale inglese hanno fatto come i detective sulle tracce di un delitto misterioso (“The curious case of the fall in crime”, era il titolo di copertina del numero uscito il 20 luglio), seguendo il flusso dei dati e cercando le più varie (e solide) motivazioni possibili. Prima i numeri.
Nei paesi del G7, il gruppo dei paesi considerati più ricchi del pianeta, dal 1995 al 2010 le rapine sono calate del 20 per cento, gli omicidi del 30, i furti d’auto del 60. Per di più il crollo si fa evidente a partire dal 2007, data d’inizio della recessione in diversi paesi d’Europa (come anche l’Italia). E’ utile guardare ancora alle statistiche fornite dall’Economist: “In America la caduta [dei reati] è cominciata nel 1991; in Gran Bretagna nel 1995, il tasso di omicidi ha seguito la stessa china dalla metà degli anni Duemila. In Francia i crimini contro la proprietà sono aumentati fino al 2001, ma da allora sono scesi di un terzo. Altri crimini stanno invece scomparendo. Nel 1997 in Inghilterra e Galles sono state rubate qualcosa come 400.000 automobili: nel 2012 sono state 86.000”, scrive l’Economist. C’è poi l’esempio paradigmatico dell’Estonia, dove – è una forzatura – più aumentano i disoccupati più sembrano diminuire i crimini. Il paese baltico è entrato in recessione nel 2009, una recessione che ha lasciato senza impiego il 19 per cento dei cittadini. I crimini nel paese dal passato sovietico sono però crollati “precipitosamente”, dice l’Economist, da ormai dieci anni.
Le spiegazioni sono diverse. Nessuna da trascurare. Bisogna partire dal periodo più critico per capire come e perché il fenomeno si è sgonfiato. Dal 1950 al 1980 si è registrato un aumento generalizzato della criminalità, il che va però considerato un’anomalia statistica e in quanto tale l’Economist la liquida di getto. In quei trent’anni si è registrata al contempo una diffusione capillare delle droghe e delle malattie mentali e fisiche ad esse connesse. Si parla in particolare di droghe ad altissima assuefazione e dipendenza: eroina e cocaina. Sebbene il consumo sia ancora un problema attuale, non si può parlare di una diffusione “epidemica” come accadeva tra gli anni Ottanta e i Novanta. La ricerca delle sostanze stupefacenti da parte di coloro che ne erano dipendenti portava una spirale di violenza. I “tossici” senza impiego assumevano cioè atteggiamenti predatori nei confronti del prossimo pur di procurarsi una dose quotidiana. Quell’esplosione vista negli anni Ottanta è stata in larga parte riassorbita. Ci sono paesi come l’Olanda, dove gli ex eroinomani vengono assistiti in centri specializzati con la somministrazione controllata di surrogati degli oppiacei quali il metadone. C’è chi tuttora fa uso di droghe ma finché se lo può permettere, usando il proprio guadagno personale senza ricorrere alle ruberie.
C’è poi la spiegazione demografica e riguarda in particolare l’urbanizzazione e la “civilizzazione” delle periferie. E’ la tesi sostenuta da George Kelling, un criminologo americano, secondo il quale perfino l’arredo urbano contribuisce ad allontanare o ad attirare il degrado civile. “Piccoli segni di scempio, come una finestra rotta, possono incoraggiare la criminalità, come accaduto ad esempio nel quartiere newyorchese di Harlem o nel quartiere “rosso” di Amsterdam”.
Fra le tante motivazioni utili a spiegare il curioso caso della caduta dei crimini, c’è poi quella del criminologo Jan van Dijk, docente della Tilburg University in Olanda. Secondo Van Dijk, i crimini calano perché esistono sempre più antifurti sofisticati e perché poi, a conti fatti, a fare i topi d’appartamento si corre un rischio troppo alto rispetto alla ricompensa. Dagli anni Cinquanta in poi, i cittadini benestanti dei paesi più ricchi hanno accumulato oggetti (televisioni, videoregistratori, auto, gioielli eccetera) ma in quegli anni ancora non c’erano sistemi di protezione efficaci. Con l’avanzare del tempo e i progressi della tecnologia, rubare è diventato un “mestiere” sempre più difficile. Chi aveva accumulato ricchezze, a partire dalla metà degli anni Novanta si è potuto difendere a dovere. E così, ad esempio, negli ultimi vent’anni sono raddoppiate le case dotate di sistemi antifurto in Inghilterra. Peraltro le cose che si possono trovare da rubare in una casa stanno perdendo costantemente valore: un lettore Dvd è arrivato a costare circa 30 euro (vale la pena farsi beccare con un piede di porco tra gli infissi di una finestra per pochi spiccioli?). Ovviamente non si possono dimenticare il controllo di polizia sul territorio e l’effetto deterrenza dovuto alle pene comminate dalla giustizia.
Alcuni criminologi rifiutano però l’approccio marxista, in base al quale tutto ruota attorno alla condizione economica di una persona. Non avrebbe senso, dicono i più critici, accostare il denaro alla criminalità tout court perché allora dovremmo chiederci con esattezza quali aspetti della crisi agiscono su precisi aspetti della criminalità, tesi sostenuta dal criminologo italiano Francesco Bruno sul Riformista nel 2010. Altre sfaccettature riguardano invece la cultura e la psicologia.“Ormai gli scienziati sono concordi nel ritenere che stiamo vivendo in un mondo sempre più pacifico e progressivamente meno violento”, dice al Foglio Roberta Sacchi, psicologa e criminologa. Quindi indipendentemente dai periodi storici, più o meno lunghi di crisi. Questo andamento progressivamente decrescente del crimine e della violenza, in generale, è dovuto a due ordini di fattori. Il primo è di origine culturale: quanto più diffusa è la cultura nel mondo, tanto più la violenza diminuisce. Diminuiscono tutti i tipi di crimini: stupri, omicidi, violenza terroristica. Ma anche, per esempio, i genocidi. Il secondo fattore è più di natura geopolitica e attiene alla dottrina dell’Assured Mutual Destruction, secondo la quale a nessuno dei due contendenti conviene belligerare, perché in guerra non c’è nessuno che vince ma entrambi perdono”. Una strategia che prende le mosse dalla teoria degli equilibri di John Nash e che sembra applicabile anche agli individui. “Stimola quella che gli psicologi chiamano empatia: una violenza applicata sugli altri provocherebbe di rimbalzo una violenza su se stessi, sebbene non sia percepita in maniera razionale. E ciò agirebbe come deterrente”. Secondo l'ultimo rapporto Eures-Ansa, inoltre, l’Europa, che tra tutti i continenti è quello che sta vivendo il più forte periodo di crisi economica, è “un’isola felice”, dice Sacchi. “Quando valutiamo la forma di violenza più estrema, l’omicidio, paradossalmente sono i cosiddetti Paesi emergenti a registrare l’indice di rischio più forte”. Per tornare in Europa, l’Italia, nel 2012, non solo non vede aumentare il numero di omicidi ma anzi registra il numero più basso da oltre quarant’anni. “Curiosamente le ‘nazioni più violente’, sempre in termini di omicidi, sono l’Inghilterra e la Francia, due paesi che certamente non stanno soffrendo la crisi economica quanto noi”. “La diminuzione del numero di omicidi in Italia si riscontra nel centro e nel nord, le zone che sembrano soffrire maggiormente la crisi economica. Il sud fa eccezione, ma il dato rimane pressoché stabile dal momento che è legato alla criminalità organizzata”. “I dati del nord e del centro confermano non solo che non ci sarebbe nessuna correlazione tra crimini e crisi economica ma, se ci fermiamo solo agli omicidi, il dato viene addirittura sconfessato”, aggiunge la Sacchi. “L’unico elemento su cui vale la pena riflettere è l’accresciuta incidenza del numero di omicidi per furto e rapina, specialmente a carico di anziani e di persone che vivono da sole”.
Secondo un’indagine Istat, riassunta nel bollettino “Italia in cifre 2012”, gli omicidi sono calati da 627 nel 2007 a 526 nel 2010, con un trend simile per i tentati omicidi e gli omicidi colposi, rispettivamente in calo del 17 e del 13 per cento nell’arco dei tre anni. Le rapine agli sportelli bancari sono poi scese del 14 per cento nel 2012 rispetto al 2011 passando da 1.097 a 940, secondo il centro di ricerca dell’Associazione bancaria italiana (Abi). E’ diminuito anche il cosiddetto indice di rischio, e cioè i colpi realizzati ogni cento sportelli: l’indice è passato dal 3,3 a 2,8 per cento a fronte di un “bottino” nel complesso più magro, del 2,5 per cento (da 25 milioni di euro del 2011 a 24,5 milioni del 2012). E’ una tendenda che prosegue da almeno tre anni, anche in forza dei maggiori controlli di polizia e dei sistemi di vigilanza delle banche stesse (nel 2012, ad esempio, oltre il 40 per cento dei rapinatori sono stati individuati dalle telecamere di sorveglianza, dice sempre l’Abi). Solo di recente, almeno dalla fine del 2012, nella comunità scientifica italiana si discute sull’aumento recente dei crimini di strada e delle ruberie messo in luce anche dalla Banca d’Italia (secondo cui tra il 2008 e il 2009 la diminuzione del 10 per cento dell’attività economica ha prodotto – a livello locale – un incremento del 6 per cento dei furti, senza incidere però sulle rapine) e dal ministero dell’Interno con le parole dell’ex ministro Anna Maria Cancellieri (“Attraversiamo una fase molto complicata. Da un lato c’è un imbarbarimento dei costumi, un modo violento di agire, che porta poi a reazioni comportamentali conseguenti, c’è uno stato d’ansia diffuso anche tra le categorie più abbienti, c’è un’incertezza complessiva per il futuro. C’è inquietudine e smarrimento tra la gente”, disse Cancellieri già nel gennaio 2012 constatando un clima di pessimismo tra i cittadini). Qui, in Italia, le teorie accreditate a livello internazionale devono ancora confrontarsi in parte con la realtà, in attesa di una prova empirica che demolisca definitivamente il falso mito “più crisi, più crimini” o che lo rimetta in discussione. Il dibattito è aperto, ci sono resistenze nell’accettare una tesi non allarmistica. Non c’è concordia in particolare per via dell’allarme, più volte rilanciato dai media, in merito a un presunto aumento delle violenze domestiche, questione segnalata dalla criminologa Roberta Bruzzone sul Foglio del 3 novembre scorso. Alla prova dei fatti, però, anche questa convinzione vacilla: stando al rapporto Eures-Ansa, infatti, il tasso di omicidi in famiglia è diminuito (dal 35,4 per cento nel 2011 al 33,3 per cento nel 2012) con “un andamento complessivamente costante negli ultimi dieci anni”, dice il rapporto.
Secondo i sociologi e gli psicologi sociali, resta improbabile che durante un periodo di crisi economica – di per sé limitato nel tempo – si verifichino simili tendenze criminali generalizzate. Molto però dipende da quanto la condizione negativa si protrae. Al contrario è dimostrato che in occasione di eventi “traumatici” e prolungati, come per esempio le migrazioni, si riscontri un aumento della violenza e degli atti predatori. Va però valutata la condizione psicologica: “Quando l’individuo si trova di fronte ad un evento critico reagisce con una sequenza chiamata ‘Modello a cinque fasi di Kübler-Ross’. Nella prima fase il soggetto nega o rifiuta l’evento. Probabilmente è un meccanismo di difesa attraverso il quale il soggetto ‘prende tempo’ per capire e riorganizzarsi. Segue una fase della rabbia e della paura, generalmente intensa ma di breve durata, che può sfociare in atti violenti. Ma tendenzialmente la rabbia e la paura sono emozioni ‘positive’, nel senso che ci consentono di liberare le risorse psicologiche per escogitare una soluzione. Se così è, come è nella maggior parte dei casi, si entra nella fase del patteggiamento, in cui il soggetto comincia a verificare cosa è in grado di fare per uscire dalla situazione di crisi. Solo nel caso in cui la situazione di crisi perdura il soggetto può entrare nella fase depressiva, dove il senso di sconfitta prende il sopravvento. L’ultima fase è detta dell’accettazione. In questa fase i momenti di relazione e comunicazione con i familiari e, in generale, con l’ambiente prossimo, diventano molto intensi. Sappiamo che in Italia la famiglia ha costituito un paracadute economico alla crisi, facendo da ammortizzatore sociale”, conclude Sacchi.
Infine, non c’è dubbio che l’allarmismo abbia prodotto effetti deleteri nello sviluppo dei modi più efficaci per prevenire i crimini e affrontarli. Spiega sempre l’Economist che un atteggiamento punitivo ed eccessivamente coercitivo nei confronti dei criminali, soprattutto se accusati di reati minori, costituisce un costo crescente per la collettività (vista la spesa dello stato per il sistema carcerario) e genera il fenomeno della recidiva, per cui l’ex galeotto tenderà a commettere altri reati una volta in libertà perché è stato punito, e non riabilitato. Così come l’approccio alla criminalità, anche “l’attività di polizia può essere modificata, e in un periodo di austerity dovrà esserlo”, aggiunge il settimanale inglese. “Ora che i poliziotti non sono più troppo occupati a contrastare i ladri di macchine o i topi d’appartamento, possono concentrarsi sulla prevenzione”. E poi “le misure tradizionali non tendono a includere i crimini finanziari, come ad esempio le frodi sulle carte di credito e l’evasione fiscale, che, al contrario di omicidi e stupri, non eccitano la pubblica paura. Ma mentre la polizia si adatta all’èra tecnologica, è bene ricordare che anche i criminali stanno facendo lo stesso”.
La tendenza moderna dovrebbe essere quindi quella di prevenire i crimini, anche nel senso di prevederli, facendo uso delle nuove tecnologie per anticipare le decisioni dei delinquenti e fermare le loro azioni prima che si compiano (un po’ come racconta il film “Minority Report”, tratto dall’omonimo racconto di fantascienza di Philip K. Dick, in cui gli agenti sono impegnati nel contrastare i “precrimini”). Uno sviluppo possibile questo, nella moderna lotta alla delinquenza, che potrebbe rivelarsi più efficace delle pratiche tradizionali ormai superate dai fatti e aggredite dalle statistiche controcorrente.
Il Foglio sportivo - in corpore sano