Carcere per Madonne

Camillo Langone

Non avrei mai pensato di poter elogiare il libro di un autore col secondo nome puntato, ma quel giorno eccolo. Perché Francesco M. Cataluccio con “La memoria degli Uffizi” (Sellerio) mi ha portato in un luogo dove non sono mai entrato e dove mai vorrei entrare: appunto la Galleria degli Uffizi, un avvilente carcere per Madonne. Le Madonne devono starsene nelle chiese per le quali sono state dipinte: esiste un Fronte di Liberazione dei Nani da Giardino, possibile che non esista un movimento che si proponga la liberazione della Madre di Dio dalla morsa turistico-museale?

    Non avrei mai pensato di poter elogiare il libro di un autore col secondo nome puntato, ma quel giorno eccolo. Perché Francesco M. Cataluccio con “La memoria degli Uffizi” (Sellerio) mi ha portato in un luogo dove non sono mai entrato e dove mai vorrei entrare: appunto la Galleria degli Uffizi, un avvilente carcere per Madonne. Le Madonne devono starsene nelle chiese per le quali sono state dipinte: esiste un Fronte di Liberazione dei Nani da Giardino, possibile che non esista un movimento che si proponga la liberazione della Madre di Dio dalla morsa turistico-museale? L’idea che un fondo oro sia vendibile e trasferibile, che un polittico sia smembrabile e smerciabile, che un’immagine fatta per gli oranti possa diventare sfondo per fotografanti, mi ha sempre messo una notevole tristezza. La grande apostasia non comincia con le nozze di Sodoma e i negozi aperti la domenica, comincia quando si accetta che le Madonne vengano strappate dagli altari per essere rinchiuse nei musei. Tarkovskij, il regista russo, la pensava quasi come me e dico quasi perché lui, accompagnato proprio da Cataluccio, agli Uffizi comunque ci entrava, però limitandosi alle prime sale per non contaminarsi con la pittura rinascimentale che percepiva irreligiosa. Amante delle icone a cui aveva dedicato un film monumentale, considerava un brutto segno l’assenza o l’attenuazione delle aureole nei quadri del Perugino e di Luca Signorelli: evidentemente già a fine Quattrocento artisti e committenti (sia laici che ecclesiastici) alla santità ci credevano poco. Forse, se vescovi e priori avessero continuato a esigere le aureole, e i pittori a dipingerle, non ci sarebbe stato lo scisma di Lutero… Al contrario di Tarkovskij, Cataluccio non appare uomo di grande fede cristiana (in un paio di passaggi sembra perfino credere nell’evoluzionismo) eppure la sua guida sentimentale al museo fiorentino, una guida letteraria e personale, anche nostalgica per il racconto delle prime visite in compagnia del padre, illumina altri dettagli marianamente significativi.

    Ad esempio il fatto che le Madonne abbiano portato il velo per secoli e secoli, più o meno fino a quando Domenico Veneziano si permise di svelarle. “Le Madonne ritratte da Parmigianino sembrano uscite appena dal parrucchiere”: è vero! Cataluccio ha ragione! Se il Rinascimento fu declino del sacro, il Rinascimento parmigiano del sacro fu sprofondamento, complice una città straordinariamente insensibile al divino… Io continuo a sognare l’età dell’oro su tavola, e delle Madonne vestite di lapislazzuli macinati, ma non credo che ritornerà, o almeno non nell’arco della mia vita. Mi risolvo pertanto ad ammirare la bellezza molto umana delle donne che prestarono il volto alle Madonne rinascimentali: la preferita di Cataluccio e anche mia si chiama Lucrezia Buti, è la monaca che fra Filippo Lippi smonacò e fece diventare madre di Filippino e modella per capolavori come la famosa “Lippina” ossia “Madonna col Bambino e angeli”. Parecchio attraente pure Chiara Fancelli, moglie-musa del Perugino. Forse non credevano molto in Dio, i pittori venuti dopo Masaccio, ma alla bellezza ci credevano eccome, e scatta il confronto con tanti artisti contemporanei che la bellezza sistematicamente offendono, come obbligati a farlo dallo spirito maligno del tempo.

    Quante altre cose mi ha fatto notare questo piccolo libro blu: il draghetto-diavoletto che spunta dal calice di un San Giovanni Evangelista firmato El Greco, il piccolo demonio nero che una monaca di Giovanni da Milano tiene al guinzaglio come fosse un cagnetto, il San Paolo che alzando lo spadone allontana un maomettano nella “Allegoria sacra” di Giovanni Bellini… Poi mi ha ricordato che gli umanisti guidavano i pennelli dei pittori: Poliziano prescriveva a Botticelli perfino la lunghezza dei capelli di Venere. I letterati non svolgevano un ruolo ancillare, non si limitavano a produrre testi di accompagnamento come oggi, ma entravano in gioco già in fase di ideazione. Un metodo che, visti i risultati, bisognerebbe riprovare: i pittori italiani viventi mi considerino a disposizione. Continuo invece a essere indisponibile per una visita agli Uffizi che non solo è un carcere per Madonne, è un posto volgare, sovraffollato e pericoloso. Leggo che “il pesticcìo dei gruppi turistici dai piedi stanchi fa ballare le elastiche travi del pavimento: sembra che tutto oscilli e stia lì lì per crollare”. Ogni anno la troppo celebre galleria viene presa d’assalto da 1.700.000 visitatori, ma sarebbe meglio chiamarli calpestatori. Io con costoro non mi mescolo, gusto “La memoria degli Uffizi” tenendo il computer acceso per cercare su Internet i quadri di cui si parla, e così dovrebbe fare ogni vero amante dell’arte.

    • Camillo Langone
    • Vive tra Parma e Trani. Scrive sui giornali e pubblica libri: l'ultimo è "La ragazza immortale" (La nave di Teseo).