Jihad internazionale
Cautele e retropensieri sul “più grande allarme” dopo l'11 settembre
Ieri cinque ambasciate americane hanno riaperto dopo la chiusura di ventiquattr’ore per l’allerta terrorismo: Baghdad, Kabul, Algeri, Nouakchott (in Mauritania) e Dacca (in Bangladesh). Le prime due in particolare erano state costruite in tempo di guerra e sono fortezze progettate per resistere a un assalto militare, e forse per questo sono state escluse in anticipo dall’allarme lanciato giovedì scorso. Il dipartimento di stato ha aggiunto però le sedi diplomatiche di altri quattro paesi alla lista di quelle che resteranno chiuse per precauzione fino a domenica prossima: Madagascar, Burundi, Ruanda e isole Mauritius. In tutto sono diciannove, nel medio oriente e in Africa.
Ieri cinque ambasciate americane hanno riaperto dopo la chiusura di ventiquattr’ore per l’allerta terrorismo: Baghdad, Kabul, Algeri, Nouakchott (in Mauritania) e Dacca (in Bangladesh). Le prime due in particolare erano state costruite in tempo di guerra e sono fortezze progettate per resistere a un assalto militare, e forse per questo sono state escluse in anticipo dall’allarme lanciato giovedì scorso. Il dipartimento di stato ha aggiunto però le sedi diplomatiche di altri quattro paesi alla lista di quelle che resteranno chiuse per precauzione fino a domenica prossima: Madagascar, Burundi, Ruanda e isole Mauritius. In tutto sono diciannove, nel medio oriente e in Africa. Le ambasciate americane in Kenya e Tanzania, già colpite da al Qaida nel 1998, questa volta non sono più considerate tra i bersagli possibili.
Con i dati a disposizione fare l’identikit del tipo di attacco temuto dall’Amministrazione americana in questi giorni di fine Ramadan – il mese sacro dell’islam – è difficile, se non impossibile: si capisce soltanto che è abbastanza pericoloso da minacciare la sede di Sana’a, in Yemen, tra le più protette al mondo, ma non quella di Baghdad e nemmeno i due consolati americani in Iraq a Bassora e Irbil; e che i terroristi potrebbero materializzarsi in zone geografiche molto lontane tra loro come il Madagascar e l’Oman, ma è considerato certo che non lo faranno in Algeria, dove pure la presenza di al Qaida è forte. La rete Cnn dice di avere altre informazioni, ma di non poterle dare. Chiudere le ambasciate consente di guadagnare tempo, se davvero gli attentatori sono già nel paese scelto per l’azione come sostengono alcune fonti. C’è anche la possibilità che la data presunta dell’attacco, il 4 agosto, fosse un ballon d’essai, e sia stata fatta trapelare deliberatamente per mettere alla prova la reazione americana. Secondo la rete Abc, al Qaida ha violato le stesse procedure che aveva adottato per comunicare in sicurezza, come se avesse voluto farsi intercettare.
Domenica a Washington si è riunito il Principal Committee – la commissione con i capi delle agenzie governative e dei ministeri più importanti – del Consiglio di sicurezza nazionale (è un fatto raro che sia successo di domenica, sottolinea il messaggio dell’Amministrazione: siamo in stato di allarme). Oltre al capo di stato maggiore, Martin Dempsey, e al direttore della Cia, John Brennan, c’era anche il direttore della National security agency (Nsa), il generale Keith Alexander, che ormai partecipa sempre – a differenza di quanto succedeva in passato, quando a questi meeting antiterrorismo la sola agenzia presente era la Cia. E’ un segno di quanto l’intercettazione delle comunicazioni (Sigint) di cui si occupa la Nsa sia diventata importante per l’Amministrazione Obama, alle prese con il caso Snowden, l’ex agente Nsa ora fuggito in Russia. Questa settimana di chiusura delle ambasciate americane nella lista dei paesi a rischio nasce proprio dalle comunicazioni che gli americani hanno ascoltato tra uomini di al Qaida nella penisola arabica (Aqap). Dice il senatore Dutch Ruppersberger, che ha partecipato a un briefing di aggiornamento: “Abbiamo ricevuto informazioni che membri di alto livello di Aqap stanno parlando di un grande attacco”. Per il senatore Saxby Chambliss “il livello degli scambi è simile a quello che precedette l’11 settembre”.
Il Washington Post nota che questa allerta terrorismo “arriva al momento opportuno per la National security agency”, che è al centro di critiche durissime per i programmi di sorveglianza che minacciano la privacy di milioni di americani. Come se la chiusura delle ambasciate suggerisse: vedete che le intrusioni del governo sono giustificate dal rischio terrorismo e sono a fin di bene? Ma c’è un accordo bipartisan per cacciare questo retropensiero: dice il senatore repubblicano Peter King, un critico accanito dell’Amministrazione democratica, che in questo caso non c’è esagerazione, la minaccia non è stata amplificata per far fare bella figura all’Nsa. “E’ da pazzi sostenere che c’è una cospirazione. Il governo sarebbe stato totalmente negligente se non avesse fatto quello che ha fatto”.
La carriera di Abu Basir
Seth Jones, analista della Rand corporation, fa notare sul sito della Cnn che l’allarme per le ambasciate americane coincide con la nomina recente di Nasir al Wuhayshi, conosciuto anche come “Abu Basir”, capo yemenita di al Qaida nella penisola arabica, all’incarico di numero due dell’intera organizzazione, quindi appena sotto all’egiziano Ayman al Zawahiri, che si ritiene sia nascosto in Pakistan. Il settore yemenita di al Qaida ha preso il posto della vecchia leadership per efficienza e pericolosità.
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