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Daniele Raineri

Amazon è differente da come siamo convinti che sia fatta: non è un business ad alto rendimento, non è un miracolo finanziario da Silicon Valley, non sta restituendo indietro un guadagno favoloso a fronte di un investimento iniziale modesto, non è una favola per geek (anche se l’idea è partita da un garage di Seattle) E’ più vero il contrario: è un commercio duro, organizzato con una logistica di ferro (i famosi centri di smistamento con gli addetti che corrono tra i banconi con le scarpe da ginnastica) e con margini di guadagno risicati, che sono tenuti scientificamente sotto il due per cento perché il fondatore e padrone Jeff Bezos vuole che sia così e se ne infischia dei rapporti quadrimestrali sui profitti – che invece sono tenuti d’occhio dagli investitori speranzosi di Wall Street.

    Amazon è differente da come siamo convinti che sia fatta: non è un business ad alto rendimento, non è un miracolo finanziario da Silicon Valley, non sta restituendo indietro un guadagno favoloso a fronte di un investimento iniziale modesto, non è una favola per geek (anche se l’idea è partita da un garage di Seattle) E’ più vero il contrario: è un commercio duro, organizzato con una logistica di ferro (i famosi centri di smistamento con gli addetti che corrono tra i banconi con le scarpe da ginnastica) e con margini di guadagno risicati, che sono tenuti scientificamente sotto il due per cento perché il fondatore e padrone Jeff Bezos vuole che sia così e se ne infischia dei rapporti quadrimestrali sui profitti – che invece sono tenuti d’occhio dagli investitori speranzosi di Wall Street.
    Bezos sostiene che ci sono due ragioni per procedere secondo questa strategia sopravvivi-ed-espandi. La prima è che non considera importante fare ricavi marginali alti – ovvero quello che resta in tasca dopo le spese di gestione e gli investimenti – ma è concentrato piuttosto sul flusso di denaro fresco in entrata. Non si deve fermare mai. Amazon va avanti così, galleggiando appena sopra la linea del pareggio e gettando la maggior parte dei guadagni indietro, di nuovo dentro il macchinario che li ha prodotti. Se non c’è un nuovo investimento costoso da intraprendere, e c’è sempre, allora piuttosto si ritoccano al ribasso i prezzi di vendita per essere più attraenti davanti ai clienti e più competitivi sul mercato contro i rivali. “Ci sono due tipi di aziende – dice Bezos – quelle che tentano di farsi pagare di più e quelle che lavorano per farsi pagare meno. Noi apparteniamo al secondo tipo”.

    Gestione controintuitiva – di solito i business sono congegnati per guadagnare il più possibile, ma senza piangere troppo: negli anni questo modello  si è tradotto per Bezos in una fortuna da 25 miliardi di dollari – comprare il Washington Post gli è costato l’un per cento di questa cifra, duecentocinquanta milioni di dollari.
    La seconda ragione è che in questo modello di business si gioca sul lungo termine. Non conta l’andamento quadrimestrale dei ricavi, Amazon si sente all’inizio del gioco, ancora in piena fase creativa. “We are willing to be misunderstood for long periods of time”, dice il fondatore. Vogliamo non essere capiti per lunghi periodi di tempo. “This is Day 1 for Internet. We still have so much to learn”. E’ come fosse il primo giorno di Internet, abbiamo ancora così tanto da imparare”. Questo in realtà lo diceva già nel 1997, in una lettera agli azionisti, ma vale ancora oggi e nelle interviste parla del Web come di un territorio vergine, non ancora compreso a pieno e che ha ancora sorprese in serbo.
    La continua esplorazione di strade nuove spiega perché Amazon è un’azienda che cambia più rapidamente dei suoi clienti. Per quelli sopra una certa età è ancora “quella dei libri che si comprano su Internet”. Per chi è più giovane è semplicemente un immenso centro commerciale online che vende ogni genere di oggetto spedibile: dalla scarpe da corsa alle chitarre elettriche. Avanzano settori meno noti. Magazzini refrigerati per vendere via Internet anche prodotti freschi (AmazonFresh). Una libreria di contenuti video, alcuni saranno prodotti originali, in competizione con Netflix (che offre un servizio di noleggio di film e videogiochi via Internet e, accessibile con un abbonamento). Una televisione per vederli. Uno smartphone. Nel 2006 fu lanciata una delle evoluzioni più interessanti, Amazon web services, grazie alla quale Bezos fornisce ai clienti servizi informatici a basso costo sfruttando la potenza della sua rete. Quando la Nasa ha dovuto processare 180 mila foto di Saturno scattate della sonda spaziale Cassini lo ha fatto affittando il network di computer di Amazon – il lavoro fu fatto in cinque ore per 200 dollari. Se avesse provato a farlo nei propri laboratori ci avrebbe impiegato 15 giorni. Il sistema è così interessante che la Cia ha da poco firmato un contratto di 600 milioni di dollari con Amazon per replicarlo – il che, nota il sito di gossip Gawker, rende simultaneamente Bezos un contractor della Cia e anche il nuovo capo dei giornalisti investigativi del Washington Post (che non sono mai stati teneri con i servizi segreti americani).

    E dire che con Amazon il fondatore si contiene e non si azzarda a fare esperimenti come in altri campi. Secondo il Wall Street Journal, ha investito 42 milioni di dollari in un progetto di orologio meccanico che dovrebbe durare 10 mila anni e battere con precisione una volta ogni anno, ogni secolo e ogni millennio. Sta anche tentando di recuperare il motore del razzo Apollo11, finito sul fondo oceanico.
    Che cosa è allora il modello Amazon, oltre ai guadagni tenuti bassi? E’ la lotta ossessiva alla “muda” che è la parola giapponese che indica lo spreco – anche qui in controtendenza con le altre fiabe dell’imprenditoria tecnologica, come Google e i suoi uffici-parco giochi. Bezos non vuole stampanti a colori, soltanto in bianco e nero, e nemmeno voli di prima classe. Gli uffici hanno ancora le scrivanie in stile anni Novanta perché non le vuole cambiare. Dice: “Se un gruppo di lavoro ha bisogno di più di due pizze per mangiare allora vuol dire che è troppo numeroso”. Efficienza, frugalità, sostiene lui. I detrattori la pensano diversamente. Il Morning Call, giornale di Allentown, due anni fa scrisse che in un centro di smistamento Amazon invece che pagare per installare l’aria condizionata l’azienda aveva semplicemente piazzato alcuni paramedici per prendersi cura degli eventuali colpi di calore degli smistatori.

    Ricavi bassi, efficienza tendenza Scrooge, e anche attenzione ossessiva per le misure in numeri che indicano cosa funziona e cosa no nel rapporto con i clienti. Amazon registra ogni tipo di dato e lo usa per fare correlazioni, per capire cosa pensano i compratori, per diventare più efficiente. Se le pagine del sito ci impiegano un decimo di secondo in più, è stato calcolato, l’attività dei visitatori online cala dell’un per cento e quindi anche i profitti possono risentirne. La percentuale dei colli che deve essere consegnata in tempo per Natale ed effettivamente arriva in tempo (il 99,99 per cento). Il tempo di spedizione dei pacchi. Quello di arrivo. La classifica dei prodotti preferiti dai clienti da aggiornare in tempo reale. I prodotti che non sono al momento disponibili. Questo tipo di automonitoraggio via numeri è diventato il respiro dell’azienda, l’attività più importante, il pensiero compulsivo dei manager e del loro capo.
    Il modello commerciale creato da Bezos  sta divorando piano i suoi rivali. Se possa cambiare anche i giornali, che stanno morendo asfissiati nella propria vecchiaia tranne eccezioni coraggiose, è da vedere.

    • Daniele Raineri
    • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)