Cassare la Cassazione

Due antagonisti-solidali. Così il Cav. e Napolitano lavorano per la stabilità

Salvatore Merlo

I contatti sono quotidiani e infatti ieri pomeriggio una telefonata del Quirinale ha raggiunto la diplomazia berlusconiana. Alla fine, dunque, sono soltanto loro due gli attori che contano, il Cavaliere e il presidente, contrafforti d’uno strano equilibrio. Si sono ridati appuntamento per l’autunno, in mezzo resta una calda estate politica tutta da raffreddare. Il presidente tesse e ritesse, fa esercizio di cautela, ascolta e consiglia, ammonisce il partito crisaiolo delle manette, “vanno evitate le intrusioni indebite”, dice rivolto agli speculatori politici di disgrazie giudiziarie, lui che adesso fa intendere di non essere comunque contrario a una soluzione politica del caso Berlusconi.

    I contatti sono quotidiani e infatti ieri pomeriggio una telefonata del Quirinale ha raggiunto la diplomazia berlusconiana. Alla fine, dunque, sono soltanto loro due gli attori che contano, il Cavaliere e il presidente, contrafforti d’uno strano equilibrio. Si sono ridati appuntamento per l’autunno, in mezzo resta una calda estate politica tutta da raffreddare. Il presidente tesse e ritesse, fa esercizio di cautela, ascolta e consiglia, ammonisce il partito crisaiolo delle manette, “vanno evitate le intrusioni indebite”, dice rivolto agli speculatori politici di disgrazie giudiziarie, lui che adesso fa intendere di non essere comunque contrario a una soluzione politica del caso Berlusconi, “una fase di esame e riflessione che richiede il massimo di ponderazione e serenità”. E il Cavaliere di conseguenza fa lo statista. Certo si lamenta, si agita, soffre la prospettiva di diventare un prigioniero libero, e dunque autorizza e anima gli eccessi passionali di Daniela Santanchè, “con le promesse non si campa”, dice al Foglio la Pitonessa che trasforma in una danza il tormento di Palazzo Grazioli, come recita il salmo. Eppure il Cavaliere, come il presidente, è anche lui alla ricerca di stabilità, e, se possibile, non di guerra. “Con Napolitano non è andata affatto male”, gli ha spiegato Renato Brunetta lunedì sera dopo aver lasciato i saloni del Quirinale assieme a Renato Schifani. Certo non sempre s’intendono Giorgio Napolitano e Silvio Berlusconi, le loro vite così incrociate sono un groviglio di malintesi e di abbracci tentati, ma tra questi due uomini così lontani s’agita pure un mondo intermedio, di diplomatici e traduttori che si chiamano Gianni ed Enrico Letta, d’interessi strategici che alla fine, bon gré mal gré, li portano a sedere l’uno accanto all’altro sulla stessa sponda del fiume. “La crisi si sta attenuando e ce la possiamo fare. Gli italiani sanno che a questo governo non c’è alternativa”, dice Enrico Letta, il premier che forse ha il dovere della speranza. E il Quirinale non chiude, ma al contrario smentisce i giornali che si esercitano nell’interpretarne il cipiglio, e si rivolge pure ai suoi interlocutori dentro il Castello di Arcore: è il momento del silenzio, lasciate respirare il governo.

    Quel poco che Napolitano, lunedì, ha potuto dire a Schifani e Brunetta non deve trapelare, e soprattutto non deve, pensano al Quirinale, alimentare una pazza girandola di speculazioni. Il presidente ha la testa sul dossier, ed è questo quello che conta. Lavora per limitare al grado zero gli effetti politici d’una sentenza, quella della Cassazione, che di sicuro il presidente non può smentire. Nel frattempo, pensano al Quirinale, sarebbe bene che il Pdl lasciasse un po’ respirare Letta e il suo governo. “Fate la legge elettorale”, è il suggerimento, il clima del Palazzo deve rasserenarsi e il governo farsi più saldo affinché ci siano le condizioni per affrontare in qualche modo, con i guanti della politica, la grana giudiziaria del Cavaliere, il problema della sua inagibilità. E questo, per il momento, è quanto, in un contesto complicatissimo, sul quale ieri è precipitata anche l’intervista al Mattino di Antonio Esposito, il presidente della sezione feriale di Cassazione che ha condannato Berlusconi. Intervista, quella del giudice, definita “inopportuna” anche da Giorgio Santacroce, il primo presidente della Corte. “Berlusconi non è stato condannato perché non poteva non sapere, ma perché sapeva del reato”, ha detto Esposito, prima di smentire, infiammando così il Pdl e l’ala dei rinfocolatori. Ma, come suggerisce al Foglio un ministro del governo Letta, “alla fine questo autogol della Cassazione potrebbe anche aiutare chi tenta di salvare la baracca”, insomma per una carambola del destino l’incidente potrebbe favorire il lavoro di Napolitano, il presidente che già aveva manifestato un po’ di sorpresa per i termini con i quali la Corte suprema ha confermato la condanna d’Appello a Berlusconi nel processo Mediaset. Il ministro della Giustizia, Annamaria Cancellieri, titolare dell’iniziativa disciplinare, ieri ha chiesto chiarimenti, ha voluto dal primo presidente della Cassazione Santacroce informazioni precise sul presidente Esposito e sulle parole che il magistrato ieri ha consegnato al Mattino. Si vedrà. Napolitano tesse, riflette, consiglia, mentre il Cavaliere si trattiene, attende e indossa i panni dello statista, circondato da una corte divisa. “Fino a quando si può aspettare?”, si chiede la pasionaria Santanchè.

    • Salvatore Merlo
    • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.