Nel piano-Saccomanni c'è un quid non ideologico da valorizzare

Francesco Forte

Nel ginepraio delle possibili modalità di tassazione degli immobili in Italia presentate dal ministro dell’Economia, Fabrizio Saccomanni, in un rapporto di cento pagine prodotto dai suoi uffici, una sorta di tesi di laurea sul tema raffazzonata da funzionari zoppicanti – chi nel diritto finanziario e chi nella scienza delle finanze o in entrambi – c’è peraltro una proposta sensata che, nonostante il modo nebuloso con cui è descritta, costituisce la via giusta per risolvere il problema, tanto dal punto di vista economico che dal punto di vista politico, attualmente il più insidioso.

    Nel ginepraio delle possibili modalità di tassazione degli immobili in Italia presentate dal ministro dell’Economia, Fabrizio Saccomanni, in un rapporto di cento pagine prodotto dai suoi uffici, una sorta di tesi di laurea sul tema raffazzonata da funzionari zoppicanti – chi nel diritto finanziario e chi nella scienza delle finanze o in entrambi – c’è peraltro una proposta sensata che, nonostante il modo nebuloso con cui è descritta, costituisce la via giusta per risolvere il problema, tanto dal punto di vista economico che dal punto di vista politico, attualmente il più insidioso. Si tratta del passaggio dall’attuale sistema di tassazione degli immobili, basato su una miriade di tributi diretti e indiretti fondati su criteri diversi, a un tributo diretto comunale basato sul principio del beneficio, denominato “Service tax” o meglio “Isci”, Imposta sui servizi comunali immobiliari, più un tributo sulle compravendite di immobili e due tasse, sulle affissioni sugli immobili e per l’occupazione di spazi pubblici. Il ministro Saccomanni, tempo fa, ha dichiarato che ciò che conta è mantenere il gettito totale sugli immobili che egli, dopo la legge Salva Italia del governo Monti, calcola in 40 miliardi, il 2,6 per cento del pil, una delle percentuali più elevate dell’area Ocse. Attualmente, al lordo dell’Imu sull’abitazione principale, la pressione fiscale sugli immobili consiste nell’Imu, che vale 24 miliardi, cioè l’1,5 per cento del pil (1.600 miliardi), nella tassazione indiretta con imposta di registro, ipotecaria, catastale, che vale 8 miliardi (0,5 per cento del pil), nella tassa di bollo, in quella sulla pubblicità sui muri e in quella per la occupazione di spazi pubblici che vale 1,6 miliardi, in totale 33,6 miliardi, ossia il 2,1 per cento del pil più la Tares di nuova istituzione che, ove applicata con i criteri della legge vigente, vale 10 miliardi di euro (0,63 per cento del pil), portando il totale a 43,6 miliardi. Ne desumo che, togliendo l’Imu sull’abitazione principale che vale 4 miliardi, occorre solo un modesto ritocco della Service tax ovvero Isci, pari a 0,6 miliardi per raggiungere il livello di entrate fissato dal ministro Saccomanni.

    Questa imposta sui servizi comunali agli immobili è un costrutto fiscale liberale che dovrebbe piacere al Pdl, a quelli di Scelta civica versione Montezemolo-Monti, ai liberaleggianti del Pd e a quelli che fanno finta di esserlo. Infatti il nuovo tributo composto di Imu, di tributo per i rifiuti solidi urbani e di tributo per altri servizi comunali particolari collega il prelievo al costo dei servizi pubblici comunali, dando luogo a un circolo virtuoso fra contenimento dei costi e loro prezzo fiscale. Infatti la Service tax, per la parte relativa all’attuale Imu, dovrebbe essere basata sul sistema di tassazione catastale per gli immobili usati dal proprietario, sia per autoconsumo sia per la produzione di reddito di impresa e sugli affitti per gli altri immobili, diversi dalle abitazioni e loro pertinenze per cui il proprietario persona fisica scelga la cosidetta cedolare secca (tassazione proporzionale alla fonte a titolo di imposta). La seconda parte dell’Isci invece sarebbe pagata da chi usa l’immobile e sarebbe calcolata in rapporto ai rifiuti (attualmente si usano i metri quadri o i vani, il che è assurdo) e, per gli altri servizi, in base al valore dell’immobile o del reddito che se ne trae, che essi contribuiscono a incrementare. C’è molto da fare in questo campo per lo stato, come guida, e per i comuni come enti autonomi al servizio della comunità. Smettendo di dedicarsi a questioni ideologiche, come quella per cui tassare la prima casa dei ricchi è questione d’equità. Chi sono i ricchi, come si valutano le loro prime case, quid est aequum?