Domare la pigrizia italiana si può, ma con scelte radicali su lavoro e Pa
A settembre il presidente del Consiglio, Enrico Letta, si troverà di fronte a un bivio che riguarda le riforme strutturali per rilanciare la crescita ed essere credibili a livello internazionale, pur avendo l’Italia un rapporto debito pubblico/pil del 130 per cento. Lo scoglio dell’Imu sull’abitazione principale è politicamente insidioso solo perché lo si è personalizzato, dicendo di fatto: “Non si può darla vinta a Berlusconi”, ma riguarda 2 miliardi annui, lo 0,13 per cento del pil, e gli effetti immediati sul mercato edilizio, i mutui immobiliari e i loro crediti incagliati. La soluzione, dandola “vinta” a Berlusconi, rispetta i patti e serve a migliorare il mercato interno.
A settembre il presidente del Consiglio, Enrico Letta, si troverà di fronte a un bivio che riguarda le riforme strutturali per rilanciare la crescita ed essere credibili a livello internazionale, pur avendo l’Italia un rapporto debito pubblico/pil del 130 per cento. Lo scoglio dell’Imu sull’abitazione principale è politicamente insidioso solo perché lo si è personalizzato, dicendo di fatto: “Non si può darla vinta a Berlusconi”, ma riguarda 2 miliardi annui, lo 0,13 per cento del pil, e gli effetti immediati sul mercato edilizio, i mutui immobiliari e i loro crediti incagliati. La soluzione, dandola “vinta” a Berlusconi, rispetta i patti e serve a migliorare il mercato interno. Ma il bivio vero, riguardante la crescita, è nella deregolamentazione del mercato del lavoro, nella scelta obbligata fra il modello neocorporativo e quello del libero sindacato che si confronta con la libera azienda, che opera sul mercato mondiale. E poi c’è la riduzione della spesa pubblica, rendendola più efficiente, dunque in larga misura nei rapporti di lavoro nel settore statale, delle regioni, degli enti locali e delle loro aziende ed enti burocratici. Come ha dichiarato ieri all’Unità Carlo dell’Aringa, sottosegretario al ministero del Lavoro, sul tavolo del governo ci sono disegni di legge per affrontare la questione delle rappresentanze sindacali aziendali, onde risolvere le incertezze suscitate dalla sentenza della Corte costituzionale che ha abrogato l’articolo 19 dello statuto dei lavoratori, a suo tempo approvato a seguito di un referendum della Fiom-Cgil.
L’articolo abrogato stabiliva che le rappresentanze sindacali aziendali sono composte solo dai sindacati che hanno approvato il contratto vigente nell’azienda. E’ il modello che Sergio Marchionne ritiene indispensabile per l’applicazione dei contratti che Fiat ha firmato per gli stabilimenti del gruppo, senza cui essi non sono competitivi sul mercato internazionale. Il bivio di Letta è semplice concettualmente ma aspro politicamente: secondo il modello neocorporativo sostenuto da Maurizio Landini (Fiom), che ha una tradizione nel pensiero corporativo dell’Università Cattolica del tempo fascista e nelle teorie organiciste del bene comune di Dossetti e dei suoi seguaci, in fabbrica ci devono stare, con piena competenza sul contratto aziendale, i sindacati nazionali più rappresentativi, con una rappresentanza unitaria, cioè un monopolio. Secondo il modello del pensiero sociale liberale, quello sociale cattolico liberale e quello socialista riformista, invece, in fabbrica il sindacato che non ha firmato il contratto aziendale ci può stare solo per l’interpretazione di leggi o principi di contratti nazionali non derogati o qualificati da quello aziendale. Diversamente il contratto aziendale è ingestibile, e si crea la convenienza dei sindacati a non firmarlo per poi contestarlo da ambigue posizioni di forza e di concertazione parapolitica.
Anche nel pubblico impiego non esistono adeguate regole di efficienza e di promozione per merito. La riduzione degli addetti è avvenuta sin qui quasi esclusivamente con il blocco del turnover. Il settore pubblico e parapubblico va concepito con modelli alla Marchionne. Senza queste due riforme, l’Italia rimane scarsamente competitiva e non si possono ridurre le imposte, perché non si riesce a ridurre la spesa, accrescendone la produttività. La lettera di richieste all’Italia firmata nell’estate 2011 dalla Banca centrale europea non costituiva un diktat di austerità deflattiva; dava prescrizioni pro crescita di economia sociale di mercato. Per esprimere ciò, senza spiegazioni teoriche complicate, si può usare una frase dell’ad di Eni Paolo Scaroni, in un’intervista televisiva di Nicola Porro che gli chiedeva un parere sui contratti di Marchionne e sulla frase “è impossibile fare impresa in Italia”. La risposta è stata: abbiamo un sistema di pensioni e di sanità che pochi stati al mondo si possono permettere, possiamo mantenerli solo con il metodo Marchionne. Questa è l’economia sociale di mercato dinamica. Vale anche per la Pubblica amministrazione, magistrature incluse.
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