Massacro al Cairo, il jihad si frega le mani
Nella storia del Fratelli musulmani ci sarà un “prima di Rabaa” e un “dopo Rabaa”. I generali egiziani hanno scelto l’opzione Tiananmen, la più temuta: muovere con le forze di sicurezza contro i sit-in del partito islamista nella capitale (a Rabaa el Adawiya e a Nahda) e disperdere i manifestanti con una brutale operazione di repressione. Qualche manifestante era armato, è vero, ma si trattava di una minoranza infinitesima rispetto alla massa dei seguaci della Fratellanza – attivisti del Cairo e da fuori, a volte famiglie intere – che per più di un mese ha sopportato il caldo e il digiuno del Ramadan in attesa del presidente Mohamed Morsi, arrestato e mai più mostrato al pubblico dal giorno del golpe, il 3 luglio.
Nella storia del Fratelli musulmani ci sarà un “prima di Rabaa” e un “dopo Rabaa”. I generali egiziani hanno scelto l’opzione Tiananmen, la più temuta: muovere con le forze di sicurezza contro i sit-in del partito islamista nella capitale (a Rabaa el Adawiya e a Nahda) e disperdere i manifestanti con una brutale operazione di repressione. Qualche manifestante era armato, è vero, ma si trattava di una minoranza infinitesima rispetto alla massa dei seguaci della Fratellanza – attivisti del Cairo e da fuori, a volte famiglie intere – che per più di un mese ha sopportato il caldo e il digiuno del Ramadan in attesa del presidente Mohamed Morsi, arrestato e mai più mostrato al pubblico dal giorno del golpe, il 3 luglio. Eppure i militari hanno agito con violenza estrema, uccidendo chi si opponeva alla rimozione, sparando ad altezza uomo, sfondando le barricate con i bulldozer, appiccando il fuoco alle tende con dentro persone, picchiando senza pietà anche i giornalisti stranieri presenti – un cameraman inglese di Sky news è stato colpito al petto da un cecchino ed è morto, come pure due giornalisti arabi e un altro, l’americano Mike Giglio del Daily Beast, racconta di essere stato malmenato e portato in uno stadio assieme ad altri reporter e a un gruppo di arrestati egiziani. Computer, foto e video sono stati sequestrati.
Oppositori chiusi dai militari in uno stadio: si può ancora sostenere che quello del ministro della Difesa al Sisi, ancorché appoggiato da milioni di sostenitori in piazza e da parte dell’opinione pubblica anche ieri, non è un colpo di stato?
Le cifre della violenza oscillano: secondo il ministero della Salute gli uccisi sono 149, secondo fonti dei Fratelli musulmani citate da al Jazeera sono 2.200. Un’esagerazione, ma fonti del Foglio al Cairo aggiungono al conteggio delle vittime dei militari anche un numero spesso ignorato, non specificato ancora ma nell’ordine delle centinaia, quello dei desaparecidos egiziani, arrestati e spariti nel nulla. I testimoni negli obitori raccontano di colpi d’arma da fuoco alla testa e al torace come prima causa di morte. Il governo ha imposto un coprifuoco dalle nove di sera alle sei del mattino in 12 province, Cairo compresa. Il vicepresidente, Mohamed ElBaradei, si è dimesso dicendo che non accetta la responsabilità “nemmeno per una goccia di sangue”.
Il prima e il dopo Rabaa. Il putsch, appoggiato dai sauditi e tetragono alle blande critiche degli Stati Uniti, disintegra con questa fiammata di violenza l’esperimento di governo dei Fratelli musulmani e li spinge di nuovo verso la clandestinità. Se la democrazia non funziona, torneranno all’eversione islamista? La caduta di Mubarak fu un colpo profondo per al Qaida, si disse, perché dimostrò che la piazza araba e non le autobomba guida il cambiamento e ottiene risultati. Il generale al Sisi finisce per dare argomenti perversi agli estremisti – e già ieri i pro Morsi si sono abbandonati a ritorsioni violente e insensate contro i copti e le chiese. Sono i bersagli iniziali.
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