Il giorno dei colloqui

Scarcerazioni e nuove case, è la pre-tattica di Israele per i negoziati

Rolla Scolari

Le fotografie del prigioniero sono appese alle porte delle botteghe del villaggio di Deir Jreer, in Cisgiordania, a venti minuti d’automobile da Ramallah. Il viso sbiadito di un giovane è sull’enorme cartellone che ricopre la facciata della casa bianca e bassa che l’uomo ha lasciato nel 1993, a 16 anni, quando è stato incarcerato per complicità nel sequestro e omicidio di un cittadino israeliano, un abitante del vicino insediamento di Beit El. Le bandiere rosse del Fronte democratico per la Liberazione della Palestina, movimento marxista-leninista, sventolano sulla via principale e raccontano come la liberazione dei detenuti palestinesi avvenuta la notte scorsa vada indietro nel passato.

    Deir Jreer, Cisgiordania. Le fotografie del prigioniero sono appese alle porte delle botteghe del villaggio di Deir Jreer, in Cisgiordania, a venti minuti d’automobile da Ramallah. Il viso sbiadito di un giovane è sull’enorme cartellone che ricopre la facciata della casa bianca e bassa che l’uomo ha lasciato nel 1993, a 16 anni, quando è stato incarcerato per complicità nel sequestro e omicidio di un cittadino israeliano, un abitante del vicino insediamento di Beit El. Le bandiere rosse del Fronte democratico per la Liberazione della Palestina, movimento marxista-leninista, sventolano sulla via principale e raccontano come la liberazione dei detenuti palestinesi avvenuta la notte scorsa vada indietro nel passato, fino agli anni Novanta, quando il gruppo era ancora una componente attiva della vita politica e militare palestinese.
    Al momento in cui questo giornale è andato in stampa, Israele aveva annunciato il rilascio, dopo la mezzanotte, di 26 prigionieri palestinesi incarcerati prima degli accordi di Oslo del 1993. E’ un gesto d’apertura, quello del governo di Benjamin Netanyahu, che arriva alla ripresa dei colloqui diretti tra israeliani e palestinesi oggi a Gerusalemme. Nella società palestinese la questione delle migliaia di detenuti nelle carceri israeliane è molto sentita. Le liberazioni puntellano la leadership debole del rais Abu Mazen. Tra i 26, ci sono uomini che hanno ucciso civili e militari israeliani e palestinesi ritenuti collaboratori d’Israele. Se Israele li considera terroristi, nei Territori i prigionieri riceveranno un’accoglienza da patrioti.

    Nel cortile della casa di Deir Jreer, la famiglia di Osmat Mansour ha allestito un tendone come quelli usati qui per i matrimoni, con file di sedie in plastica e tessuti colorati alle pareti. “Congratulazioni per la liberazione di Osmat dalle carceri dell’occupazione”, è scritto sui cartelloni appesi in cortile. La madre Ni’mih indossa il vestito e i gioielli della festa: una lunga tunica nera con i tradizionali ricami rossi. Domenica notte, quando è stata pubblicata da Israele la lista dei prigionieri da scarcerare “abbiamo cantato e ballato fino all’alba”, racconta. E canta ancora: “Grazie Dio per aver liberato Osmat per me. Possa Dio liberare ora tutti gli altri prigionieri”. Il rilascio, spiega Takieddine Mansour, zio dell’ormai ex detenuto, cambia la percezione della popolazione, “ci segnala che qualcosa sta accadendo”. “Tutti realizzano che è ora necessario sedersi e negoziare, abbiamo tutti sofferto e perso troppo, da una parte e dall’altra”, dice.

    “Per salvare Shalit avrei accettato. Così no”
    Nei villaggi della Cisgiordania e di Gaza si festeggia. A pochi chilometri di distanza, però, la rabbia delle famiglie degli israeliani uccisi dagli uomini liberati è cresciuta ieri al rifiuto della Corte suprema d’accettare una petizione per bloccare le scarcerazioni. “Sono giorni difficili”, dice singhiozzando Gila Molcho, sorella dell’avvocato israeliano Ian Feinberg, ucciso nel 1993 a 30 anni mentre lavorava per un ufficio dell’Unione europea a Gaza. I parenti delle vittime hanno manifestato lunedì davanti al quartier generale dell’esercito a Tel Aviv, le mani sporche di vernice rossa, mostrando i ritratti dei familiari uccisi. Nell’ottobre 2011, Israele ha rilasciato oltre mille prigionieri in cambio della liberazione del soldato Gilad Shalit, rapito da Hamas. “In quel caso, per salvare una vita, avrei accettato il gesto. Ora – dice Molcho – rendono famosi degli assassini. Prego per la pace, ma questo non può essere il primo passo”.
    Se i colloqui dovessero andare avanti, altri prigionieri saranno liberati, per un totale di 104. Le trattative che iniziano oggi, però, sono fragili. L’Autorità nazionale palestinese ha avvertito: “Rischiano il collasso” dopo che tra domenica e ieri Israele ha annunciato la costruzione di oltre duemila unità abitative a Gerusalemme est e in Cisgiordania. Nel 2010, colloqui diretti sono falliti anche a causa delle costruzioni nei Territori. “Non reagite in maniera avversa”, ha chiesto ai palestinesi ieri il segretario di stato americano John Kerry, artefice dell’attuale riavvicinamento.

    Per il governo israeliano, spiega al Foglio Meir Javedanfar, analista specializzato in questioni di sicurezza nazionale, è più semplice fare concessioni su prigionieri ferendo le emozioni più profonde della società israeliana, piuttosto che congelare gli insediamenti: “Annunciare il blocco delle costruzioni metterebbe a rischio la tenuta della coalizione del premier”, le cui frange più a destra si oppongono a qualsiasi tipo di concessione territoriale.

    * Nell'immagine il padre (a destra) e il fratello del prigioniero palestinese Ateya Abu Moussa, detenuto in Israele per 20 anni, si abbracciano dopo aver appreso la notizia dell'imminente rilascio del loro caro, a Khan Younis, lunedì scorso.