Perché non legiferare sulle relazioni aziendali genera il caos

Francesco Forte

Mi rendo conto delle preoccupazioni di Michele Tiraboschi, ma la soluzione nichilista che lui suggerisce sul Foglio del 13 agosto “meglio nessuna legge, che una decisione del Parlamento sui sindacati in azienda” purtroppo comporta il perdurare dell’incertezza, in cui le varie magistrature creano il diritto, con interpretazioni capziose, come quella della Corte costituzionale che ha abrogato l’articolo 19 dello Statuto dei lavoratori. A mio parere era un articolo perfettamente logico. La Corte non aveva eccepito che il quesito referendario che vi diede luogo fosse incostituzionale.

    Mi rendo conto delle preoccupazioni di Michele Tiraboschi, ma la soluzione nichilista che lui suggerisce sul Foglio del 13 agosto “meglio nessuna legge, che una decisione del Parlamento sui sindacati in azienda” purtroppo comporta il perdurare dell’incertezza, in cui le varie magistrature creano il diritto, con interpretazioni capziose, come quella della Corte costituzionale che ha abrogato l’articolo 19 dello Statuto dei lavoratori. A mio parere era un articolo perfettamente logico. La Corte non aveva eccepito che il quesito referendario che vi diede luogo fosse incostituzionale. Ma la sua abrogazione, sulla base di una interpretazione della Costituzione che ha le sue radici nel pensiero corporativo dell’Università Cattolica di padre Gemelli e di Francesco Vito prima versione, ha ora aperto la strada alla soluzione aberrante per cui un sindacato che non ha approvato un contratto aziendale, avendo titolo alla rappresentanza sindacale aziendale, può arrogarsi quello di partecipare alla sua interpretazione, rendendolo di fatto inagibile, con contestazioni dall’interno dell’azienda. In sostanza, questa soluzione, apparentemente favorevole all’autonomia sindacale come principio di libertà, comporta un miscuglio fra sindacalismo e corporativismo, ciò che è nel Dna di molti del Pd, della Confindustria e della Cgil. Sindacato simultaneamente di lotta e di governo: tanto quanto basta per fare dire, con tutte le ragioni del mondo, a Sergio Marchionne che non si può fare impresa in Italia. Se non fosse stato abrogato l’articolo 19, sarebbe stato necessario stabilire per legge solo che la contrattazione aziendale è libera di derogare a quella nazionale e allo Statuto dei lavoratori, salvo per i diritti inalienabili della persona umana. Questa è la norma base per rendere agibili i contratti aziendali. Una legge che la disponga non è contro l’autonomia sindacale, ma contro il monopolio. Ora ciò non basta più. Occorre che la legge stabilisca che il monopolio del mercato del lavoro, a livello nazionale o locale o aziendale, non è consentito anche per i poteri delle rappresentanze sindacali. E una legge che stabilisce che i contratti aziendali sono interpretati solo dai sindacati che li firmano è una legge antimonopolio, non una legge che viola l’autonomia sindacale.

    Aggiungo che il referendum per l’approvazione di un contratto aziendale è fondamentale per evitare che i singoli sindacati monopolizzino il mercato del lavoro, conseguendo la maggioranza dei tesserati o costituendosi in cartello con gli altri che contano. Anche chi non ha tessera sindacale deve avere diritto ad esprimersi con voto segreto sul contratto che gli è proposto. Poiché in una azienda è difficile operare con una molteplicità di contratti di lavoro, ne occorre uno collettivo e chi non lo gradisce e rimane in minoranza ha due scelte: licenziarsi o accettare il voto della maggioranza. Il governo Letta ha una scadenza che riguarda le rappresentanze sindacali. Non può evitarla perché senza una legge si lascia il campo alla confusione delle sentenze che riempiono il vuoto dell’abrogazione dell’articolo 19 dello Statuto. Ma questo è solo un primo passo. Il contratto aziendale libero ha bisogno di una piena legittimazione, come in Germania. Con questa riforma fatta dalla grande coalizione Spd-Cdu ora Berlino ha la crescita grazie alla produttività, con pareggio del bilancio, mentre noi abbiamo la recessione o la semistagnazione e invochiamo rimedi para keynesiani. Il cambio dell’euro è determinato da chi ha adottato i contratti aziendali di produttività e il principio del merito nel settore privato e pubblico. Chi non fa queste scelte per poter crescere deve uscire dall’euro e inflazionare o accettare il declino. Il resto è secondario.