Un vero pagliaccio in politica
“O que é que faz um deputado federal? Na realidade, eu não sei. Mas vote em mim que eu te conto”: “Cosa fa un deputato federale? Veramente non lo so, ma votami e te lo spiego”. “Pior que está não fica, vote no Tiririca”: “Peggio di così non è possibile, vota Tiririca”. “Se eleito prometo ajudar todas as famílias brasileiras… especialmente a minha”: “Se eletto prometto di aiutare tutte le famiglie brasiliane… specialmente la mia”. E’ stato facendo questo tipo di discorsi e prendendo questo tipo di impegni che Francisco Everardo Oliveira Silva, in arte Tiririca, nel 2010 fu eletto deputato federale per lo stato di San Paolo con un milione e 348.295 voti: il candidato più votato di tutto il Congresso brasiliano oggi in carica, il secondo più votato di tutti i tempi.
Leggi anche L’estate urlante dei grillini, da grande onda a innocuo ingombro
“Votate il deputato vestito da pagliaccio, molto meglio di questi pagliacci vestiti da deputati”. (Tiririca, clown e deputato)
“O que é que faz um deputado federal? Na realidade, eu não sei. Mas vote em mim que eu te conto”: “Cosa fa un deputato federale? Veramente non lo so, ma votami e te lo spiego”. “Pior que está não fica, vote no Tiririca”: “Peggio di così non è possibile, vota Tiririca”. “Se eleito prometo ajudar todas as famílias brasileiras… especialmente a minha”: “Se eletto prometto di aiutare tutte le famiglie brasiliane… specialmente la mia”. E’ stato facendo questo tipo di discorsi e prendendo questo tipo di impegni che Francisco Everardo Oliveira Silva, in arte Tiririca, nel 2010 fu eletto deputato federale per lo stato di San Paolo con un milione e 348.295 voti: il candidato più votato di tutto il Congresso brasiliano oggi in carica, il secondo più votato di tutti i tempi. “Votate il deputato vestito da pagliaccio, molto meglio di questi pagliacci vestiti da deputati”, è stato un altro suo slogan. Perché Tiririca è, appunto, un pagliaccio. Non nel senso in cui il Monde, l’Economist, o il Financial Times hanno definito “clown” e “buffone” Silvio Berlusconi: personaggio per le loro supponenti signorie poco maneggevole, troppo mondano, e cui piace troppo raccontare barzellette e fare scherzi anche nei momenti in cui altri non lo ritengono opportuno. Molto di più, a partire dal profilo professionale, nel senso in cui il Monde e l’Economist hanno definito “clown” e “buffone” Beppe Grillo: un comico professionale, un professionista dello sberleffo e della tirata acchiappa-popolo, che passato alla politica professionale continua ancora, nei suoi comizi, a usare massicciamente le risorse dell’arte comica.
Tiririca infatti di mestiere faceva proprio il clown in un circo, andava in giro dormendo in un carrozzone e si esibiva sotto un tendone, col volto truccato e il vestito multicolore. E anche la campagna elettorale – con una invidiabile coerenza che ad esempio a Grillo è mancata – l’ha fatta sfoggiando un cappellino rosso, parrucca bionda e abito arlecchino, e con sottofondo di musiche circensi. “Un fenomeno politico”, lo definì dopo il suo successo il noto politologo Moisés Naím, già ministro venezuelano e direttore di Foreign Policy, definendolo “l’espressione locale di una tendenza ormai globale: il rifiuto dei politici di professione e di tutti coloro che sono stati vicini al potere”: Tiririca, dunque, un po’ come Kristin Davis: la candidata a governatrice dello stato di New York, già reclutatrice delle prostitute per l’ex governatore Elliot Spitzer. O il primo cittadino di Toronto Rob Ford, eletto malgrado l’opposizione lo avesse definito “un sindaco che picchia la moglie, è razzista e alcolizzato”. O la spagnola Belén Esteban, “principessa del popolo” famosa per raccontare in tv “i suoi affari più intimi con una disinvoltura fuori dal normale”. E, soprattutto, Beppe Grillo, cui pure l’ha paragonato lo scorso marzo il Financial Times, sotto l’impressione del risultato elettorale italiano. In entrambi i casi, ha spiegato, due showman hanno catalizzato il voto di protesta contro i sistemi politici dei rispettivi paesi. “Una versione brasiliana di Beppe Grillo” lo ha pure definito, pochi giorni fa, la Süddeutsche Zeitung, analizzandone il profilo.
In realtà i due personaggi sono molto diversi, al di là del fatto che entrambi hanno fatto ridere la gente per sbarcare il lunario, e che a un certo punto hanno iniziato e mobilitare elettori scontenti. Partiamo innanzitutto dalle origini. Grillo, lo racconta in continuazione mentre chiede di salvare le piccole e medie imprese, era figlio di un piccolo imprenditore “che lavorava al tornio con i suoi operai”.
In più è genovese: una città famosa per una fama di parsimonia industriosa su cui lui pure è il primo a scherzare, e che nel suo passato forse per reazione alla fine traumatica dell’antica Repubblica di San Giorgio ha prodotto quella vocazione radicale che all’Italia del Risorgimento diede Mazzini e Garibaldi, e nel 1960 produsse la rivolta in cui era stata parte trainante quella singolare corporazione proprietaria-proletaria dei camalli. Insomma, quel tipo di humus che in Brasile si può trovare ad esempio nel Rio Grande do Sul: dove appunto combatté Garibaldi, e che al mito ribellista dei no global ha dato Porto Alegre. Tiririca, invece, viene dal Sertão: l’arida steppa del nord-est, nei secoli oppressa dal latifondo, dalla sete e da un sole che picchia implacabile. Anch’essa produttrice di ribelli irriducibili, ma del tipo mistico e reazionario: non insomma zona garibaldina, più stile briganti lucani o di Vandea. Nel Sertão vagò per anni dopo essere impazzito per l’abbandono della moglie Antônio Conselheiro: ex scrivano di tribunale, che andava in giro vestito solo di sandali e una tunica azzurra, i lunghi capelli svolazzanti sul corpo scavato dai digiuni, una bisaccia a tracolla e in mano un bastone e una croce. Man mano che si avvicinava il 1900, iniziò a predire l’Apocalisse a una folla di disperati che si barricarono in una “città santa” da loro costruita e chiamata Canudos, sterminando a colpi di bastone e zappa una spedizione dopo l’altra mandata per rimettere ordine, finché non furono a loro volta sterminati dall’intero esercito mobilitato. Una epopea allucinata che Mario Vargas Llosa ha magistralmente raccontato nel romanzo “La guerra della fine del mondo”. Il Sertão è famoso poi per le sue piante infestanti. Una è la favela: i soldati smobilitati dalla guerra di Canudos diedero il suo nome a un accampamento, e da allora “favelas” sono state chiamate le bidonvilles brasiliane. Un’altra è appunto la “tiririca”: nome scientifico Cyperus rotundus, in italiano erba pepa o quadrella o zigolo infestante. Una papiracea che quando spunta non te la togli più di torno, e in onore della quale la mamma ribattezzò il piccolo, vivacissimo Francisco.
Nato il primo maggio del 1965 a Itapipoca, stato del Ceará, già a sei anni lavorava, per quanto la sua famiglia era povera. E a otto anni dopo aver visto un circo riuscì a farcisi ammettere appunto come clown, iniziando a girare la regione. “Não Percam o Homem Que Vira Peixe”. Era la presentazione della gag che gli diede il primo successo. Doppio senso: “Non perdetevi l’uomo che si trasforma in pesce!”, ma anche “che gira il pesce!”. Prendeva infatti un pesce morto, gli infilava uno spiedo e iniziava a girarlo, tra le risate del pubblico. Dai giochi di parole passò presto alle canzoni, e visto il loro successo in scena il padrone del circo in cui lavorava gli finanziò la produzione di un disco che iniziò a essere stampato in mille copie, e dopo essere arrivato nel nord-est a un milione e mezzo attrasse l’attenzione della Sony, che nel 1997 lo lanciò a livello nazionale. “Florentina” si intitolava il pezzo tormentone che dava il titolo all’album: da una donna che era stata innamorata del clown a 18 anni, e che avrebbe poi dato anche il nome a una sua figlia. “Florentina, Florentina, Florentina de Jesus / Não sei se tu me amas / Pra que tu me seduz?”, ripeteva per nove volte il ritornello, intervallato da un recitativo che effettivamente evoca fortemente lo stile Beppe Grillo. Se non altro, per quella assonanza tra accento genovese e accento brasiliano su cui pure Bruno Lauzi aveva costruito il suo famoso “Frigideiro”.
Il successo musicale portò Tiririca in tv, ma anche in tribunale, per un’altra canzone dell’albo che si intitolava “Veja os cabelos dela”. Un “guardi i capelli suoi” ritenuta razzista per i riferimenti a una ragazza puzzolente e con la chioma evocante la catinga, appunto i cespugli del Sertão. Avendo sangue africano pure lui la scampò, ma al patto di fare una nuova copia dell’album senza quel brano, e comunque i due dischi successivi andarono male. Dal 1999 abbandonò dunque la musica per i varietà del piccolo schermo, consacrandosi nel decennio successivo come uno dei comici più popolari. Massimo successo, “Bofe de Elite”: irresistibile parodia del famoso film di José Padilha “Tropa de Elite”, in cui gli squadroni della morte sono trasformati in una bislacca Armata Brancaleone.
Nel frattempo, in Brasile ci sono stati gli otto anni della presidenza Lula. Anni di crescita economica, di redistribuzione di risorse, di entusiasmo, di affermazione del paese sulla scena internazionale, ma anche di scandali a catena. Micidiale in particolare è il “mensalão”, lo scandalo “della mensilità”: uno schema in cui il Partito dei lavoratori (Pt) usava fondi pubblici per comprare i deputati e senatori che mancavano a ottenere la maggioranza, e che ne ha travolto dirigenti tra i più autorevoli. Dieci anni e dieci mesi all’ex ministro della Casa civile, numero due del governo, José Dirceu; 6 anni e 11 mesi all’ex presidente José Genoino; 8 anni e 11 mesi all’ex tesoriere Delúbio Soares… Dilma Rousseff emerge proprio prendendo il posto di Dirceu, ma a sua volta da presidentessa dovrà destituire ministri in gran numero, per la nuova serie di scandali collegati alle commesse per Mondiali e Olimpiadi. Ancora non avvertita nella sua pienezza, l’irritazione “antipolitica” e manipulitista dell’emergente ceto medio brasiliano porterà alle grandi proteste in occasione della recente Confederations Cup. Ma già il modo in cui, tre anni prima, gli elettori avevano risposto all’improvvisa scelta di Tiririca di candidarsi al Parlamento, nel segno dello sberleffo programmatico contro i politici di professione, era stato un segnale significativo, per chi avesse saputo intenderlo.
Attenzione, però. Se gli slogan e le motivazioni degli elettori sembrano molto simili, proprio qui si vedono le differenze principali tra il comico Grillo e il clown Tiririca. Grillo, infatti, sceglie di non candidarsi, ostentando di voler essere il primo ad attenersi allo slogan della non eleggibilità dei condannati, per via dei quattordici mesi ricevuti per un antico omicidio colposo. In compenso fonda un partito, anche se lui lo chiama non partito, che alle ultime elezioni diventa il primo d’Italia, e che cova ambiziosissimi programmi di palingenesi addirittura planetaria. Tiririca, saggio come i veri pagliacci, non è così ambizioso e pretenzioso, non diventa un leader, ma si candida in prima persona e non con un partito nuovo, ma con una forza politica relativamente tradizionale: il Partito della Repubblica (Pr), l’ex Partito liberale. Una forza politica di centrodestra, ma alleata del Pt, cui apparteneva anche il primo vicepresidente di Lula, José Alencar, che ha come inno il “Va Pensiero” di Verdi e che ha forti legami con il mondo protestante.
Un noto protestante è anche l’attuale uomo più rappresentativo del partito, Anthony Garotinho: un ex governatore di Rio de Janeiro arrivato terzo alle presidenziali del 2002, e che peraltro in precedenza era passato per altri quattro partiti differenti. Peraltro anche lui ha avuto meno voti di Tiririca. Insomma, non solo dunque il Pr è una forza attualmente collegata alla coalizione al potere, ma è stata anch’essa coinvolta in una quantità di scandali che i buffoni di casa nostra chiamerebbero “casta” e quant’altro, come quelli sugli appalti di Mondiali e Olimpiadi. Insomma, il pagliaccio Tiririca, al di là delle apparenze, non è che poi sia così alieno al mondo del potere.
Anche lui, peraltro, ha rischiato di dover dare le dimissioni, sebbene non per questioni di disonestà. Il fatto invece è che la Costituzione impone che i membri del Congresso brasiliano devono per lo meno saper leggere e scrivere, e Tiririca, per aver dovuto lavorare fin da piccolo, non è in pratica mai potuto andare a scuola. Solo quando aveva dodici anni una funzionaria del circo pensò che bisognasse dargli qualche lezione, ma a un certo punto un giornale ostile ha insinuato addirittura un suo concreto analfabetismo. Lui l’ha poi sfangata, ma non in modo troppo convincente. Eletto quando il procedimento per l’invalidamento della candidatura era già partito, Tiririca ha infatti fatto spiegare ai suoi avvocati che soffre per una disgrafia che gli impedisce di tenere ben ferma la penna in mano, e che per questo si era fatto aiutare dalla moglie a firmare il modulo per presentarsi. Alla fine gli hanno fatto leggere in tribunale un testo e scrivere alcune righe, in base alle quali il giudice lo ha giudicato alfabeta e in grado dunque di fare il deputato. Respinto un ricorso del procuratore, secondo il quale il 30 per cento conseguito da Tiririca in quell’esame era troppo basso per essere promosso. Il 17 dicembre 2010, Tiririca ha dunque ricevuto il diploma da deputato, e nell’occasione ha esposto il suo programma vero: aiutare gli artisti circensi, finanziare attività culturali, far aumentare i fondi alla scuola dell’obbligo e combattere i pregiudizi contro i nordestini. Non si sa se con sottili intenti sfottitori, ma l’hanno messo proprio alla commissione Cultura ed educazione.
Ma con enorme sorpresa, il pagliaccio diventato deputato ha in effetti smesso di fare il pagliaccio, per diventare uno dei parlamentari più assidui in un’assise che in genere brilla soprattutto per assenteismo. Su 513 deputati, è stato uno dei nove presenti a tutte le 171 sessioni di voto. I cronisti parlamentari gli hanno conferito perfino la nomination per il “Prêmio Congresso em foco” che va all’eletto più efficace, anche se poi il riconoscimento è andato a un ex concorrente del “Grande Fratello” brasiliano. (Giusto per dire di quelli che criticano sempre il livello della nostra classe politica). Ha pure presentato sette progetti di legge, dei quali almeno uno dovrebbe essere approvato: quello per permettere a giostrai e lavoratori del circo senza fissa dimora di fruire del servizio sanitario pubblico e iscrivere i propri figli a scuola. Ha promesso che quando diventerà legge farà il suo primo discorso da deputato.
Certo: in almeno un’importante occasione ha sbagliato a dare un voto che il suo partito aveva disposto in favore del governo, guadagnandosi un ironico ringraziamento da parte dell’opposizione. Proprio per questo suo impegno ha dunque suscitato scalpore quando a marzo ha rilasciato al Financial Times un’intervista in cui preannunciava un suo addio alla politica al termine del mandato, nel febbraio del 2015. Motivazione: la voglia di tornare al circo e in televisione, oltre che di dedicarsi ai figli, dopo che gli è nato il sesto. “La gente si aspettava che io arrivassi qui, e mi mettessi a far pagliacciate, a scherzare, e così via. Non è stato così”, ha detto al Financial Times. Ha però aggiunto: “Vuoi sapere cosa fa un parlamentare? Lavora molto e produce poco”. Il nuovo cd “Tiririca direto de Brasília” è sembrato dunque anche un modo pr tornare sulla scena. “Non c’è niente da ridere”, ha titolato per lui la Süddeutsche Zeitung. Nel frattempo ha però di nuovo cambiato idea, e ha annunciato che invece nel 2015 proverà a ricandidarsi. Non nasconde che è semplicemente perché i sondaggi con le tv non sarebbero andati bene, e teme di rimanere disoccupato. “Se eleito prometo ajudar todas as famílias brasileiras… especialmente a minha”. Se non altro, è un politico che dice la verità.
Leggi anche L’estate urlante dei grillini, da grande onda a innocuo ingombro
Il Foglio sportivo - in corpore sano