Voglia di riforme saltami addosso
Il 5 agosto 2011 il governo italiano riceveva una lettera dalla Bce, nella quale venivano indicate le riforme necessarie a ristabilire la fiducia nel nostro paese e le condizioni per tornare a crescere. Qui si valuta lo stato di attuazione della lettera. Purtroppo il bilancio è deludente. Abbiamo perso due anni preziosi. Due anni fa, il presidente del Consiglio italiano – allora Silvio Berlusconi – riceveva una lettera firmata da Jean-Claude Trichet (presidente uscente della Banca centrale europea) e Mario Draghi (a fine mandato come governatore di Bankitalia, numero 1 in pectore dell’Eurotower).
Questo intervento è stato pubblicato sul LeoniBlog, il blog dell’Istituto Bruno Leoni diretto da Alberto Mingardi, lo scorso 5 agosto, con il titolo “5 agosto 2011 – 5 agosto 2013. Due anni persi”.
Il 5 agosto 2011 il governo italiano riceveva una lettera dalla Bce, nella quale venivano indicate le riforme necessarie a ristabilire la fiducia nel nostro paese e le condizioni per tornare a crescere. Qui si valuta lo stato di attuazione della lettera. Purtroppo il bilancio è deludente. Abbiamo perso due anni preziosi.
Due anni fa, il presidente del Consiglio italiano – allora Silvio Berlusconi – riceveva una lettera firmata da Jean-Claude Trichet (presidente uscente della Banca centrale europea) e Mario Draghi (a fine mandato come governatore di Bankitalia, numero 1 in pectore dell’Eurotower). Quella lettera – simbolicamente – mise fine alla maggioranza di centrodestra e aprì le porte al governo tecnico di Mario Monti e a quello semi-politico di Enrico Letta. Da alcune settimane i mercati finanziari avevano lanciato l’allarme sull’Italia (…). La lettera della Bce conteneva una serie di utili indicazioni sulle riforme che avrebbero potuto rimettere in sesto il paese.
La lettera identificava in modo netto i tre pilastri della malattia italiana: l’assenza di crescita economica, l’elevata tassazione (e la conseguente instabilità dei conti), e l’inefficienza della Pubblica amministrazione. Chiedeva quindi al governo l’impegno a procedere su questi fronti, lasciando intendere che solo a questa condizione Francoforte avrebbe potuto continuare a sostenere il nostro paese. La diagnosi era molto esplicita: “L’Italia de[ve] con urgenza rafforzare la reputazione della sua firma sovrana e il suo impegno alla sostenibilità di bilancio e alle riforme strutturali”.
In questo articolo cercherò di valutare lo stato di attuazione di quella che all’epoca era nota come “agenda Draghi” e che noi dell’Istituto Bruno Leoni abbiamo utilizzato come “filo rosso” per il nostro Manuale delle riforme per la XVII legislatura. Di seguito verranno riprodotti tutti i punti sollevati da Draghi e Trichet, ai quali – dopo una breve discussione – attribuirò uno “stato avanzamento lavori”. La valutazione è arbitraria ma, spero, ragionevole. Darò a tutti gli interventi lo stesso peso.
1. Tornare a crescere
a) E’ necessaria una complessiva, radicale e credibile strategia di riforme, inclusa la piena liberalizzazione dei servizi pubblici locali e dei servizi professionali. Questo dovrebbe applicarsi in particolare alla fornitura di servizi locali attraverso privatizzazioni su larga scala.
Credo di non dover argomentare sull’assenza di una “complessiva, radicale e credibile strategia di riforma”. Nel merito, la riforma dei servizi pubblici locali non c’è stata: è poco rilevante se la colpa sia di governo e Parlamento (che hanno prodotto una normativa magari condivisibile nei principi generali, ma redatta in modo maldestro), della Corte costituzionale (che l’ha ritenuta incompatibile con la Carta) o della Costituzione stessa. Il punto è che siamo esattamente dove eravamo il 5 agosto 2011: privi di una disciplina di riferimento.
Per quel che riguarda i servizi professionali, sono stati assunti nell’arco dell’anno alcuni provvedimenti ambigui, che hanno fatto fare piccoli passi avanti in cambio di sostanziali passi indietro (si pensi alle limitazioni all’esercizio delle professioni in forma societaria o alla re-introduzione del divieto di patto di quota lite). Quanto alle privatizzazioni, non se ne sono viste né su larga scala, né su piccola scala.
Stato di attuazione: 0 per cento
b) C’è anche l’esigenza di riformare ulteriormente il sistema di contrattazione salariale collettiva, permettendo accordi al livello d’impresa in modo da ritagliare i salari e le condizioni di lavoro alle esigenze specifiche delle aziende e rendendo questi accordi più rilevanti rispetto ad altri livelli di negoziazione. L’accordo del 28 giugno tra le principali sigle sindacali e le associazioni industriali si muove in questa direzione.
c) Dovrebbe essere adottata una accurata revisione delle norme che regolano l’assunzione e il licenziamento dei dipendenti, stabilendo un sistema di assicurazione dalla disoccupazione e un insieme di politiche attive per il mercato del lavoro che siano in grado di facilitare la riallocazione delle risorse verso le aziende e verso i settori più competitivi.
Commento i punti b) e c) assieme perché ricadono entro lo stesso ambito d’intervento. La riforma del lavoro c’è effettivamente stata, ma anche in questo caso non ha prodotto i miglioramenti attesi, anzi. Ha introdotto piccoli miglioramenti qui, per allargare le faglie là. Nel complesso, sebbene fare un saldo sia complesso, credo sia equo descrivere la situazione come non dissimile (nel senso di: ugualmente critica) da quella in cui ci trovavamo due anni fa.
Stato di attuazione: 0 per cento
Stato di attuazione complessivo sulla crescita: 0 per cento
2. Risanare le finanze pubbliche
a) Ulteriori misure di correzione del bilancio sono necessarie. Riteniamo essenziale per le autorità italiane di anticipare di almeno un anno il calendario di entrata in vigore delle misure adottate nel pacchetto del luglio 2011. L’obiettivo dovrebbe essere un deficit migliore di quanto previsto fin qui nel 2011, un fabbisogno netto dell’1 per cento nel 2012 e un bilancio in pareggio nel 2013, principalmente attraverso tagli di spesa. E’ possibile intervenire ulteriormente nel sistema pensionistico, rendendo più rigorosi i criteri di idoneità per le pensioni di anzianità e riportando l’età del ritiro delle donne nel settore privato rapidamente in linea con quella stabilita per il settore pubblico, così ottenendo dei risparmi già nel 2012. Inoltre, il governo dovrebbe valutare una riduzione significativa dei costi del pubblico impiego, rafforzando le regole per il turnover (il ricambio, ndr) e, se necessario, riducendo gli stipendi.
Questa è l’unica parte della lettera che ha trovato parziale accoglimento. Secondo le previsioni contenute nel Def 2013, per quanto il pareggio non sia stato raggiunto in termini formali il deficit atteso per l’anno in corso e i prossimi è contenuto, inferiore al 2 per cento e – teoricamente – in calo verso l’1 per cento. Questa richiesta può dunque considerarsi grosso modo esaudita.
Tuttavia, tale risultato è stato ottenuto principalmente attraverso maggiori tasse, e solo in piccola misura per mezzo di riduzioni di spesa, in ragione di circa 2:1.
La riforma delle pensioni è stata fatta ed è un indubbio successo del governo Monti; forse il solo vero successo e il solo obiettivo che può ritenersi raggiunto, anche se molto resta da fare. Infine, la spesa per il pubblico impiego è stata effettivamente ridotta, in conseguenza soprattutto del blocco del turnover, mentre i tentativi di limare i salari dei dipendenti pubblici sono stati fallimentari. Il blocco del turnover, in particolare, è una misura discutibile nel lungo termine, perché se da un lato aiuta a contenere i costi, dall’altro produce una Pa mediamente più vecchia e meno efficiente.
Nel complesso, quindi, si può dire che il rigore nei conti pubblici è stato largamente ottenuto (80 per cento), ma sostanzialmente attraverso maggiori tasse (33 per cento); la riforma delle pensioni è andata a buon fine (100 per cento) mentre il pubblico impiego è stato interessato da provvedimenti di dubbia efficacia e sostenibilità nel lungo termine (50 per cento).
Stato di attuazione: 66 per cento
b) Andrebbe introdotta una clausola di riduzione automatica del deficit che specifichi che qualunque scostamento dagli obiettivi di deficit sarà compensato automaticamente con tagli orizzontali sulle spese discrezionali.
Di fatto, questo tipo di obbligo fa parte del Fiscal compact: come tale è un impegno vincolante di natura comunitaria, e trovo difficile considerarlo come elemento qualificante per giudicare l’operato della classe politica italiana. Semplicemente, non avevamo scelta (salvo abbandonare l’Unione europea).
c) Andrebbero messi sotto stretto controllo l’assunzione di indebitamento, anche commerciale, e le spese delle autorità regionali e locali, in linea con i principi della riforma in corso delle relazioni fiscali fra i vari livelli di governo.
Sull’indebitamento locale sono stati fatti passi avanti attraverso il patto di stabilità interno, e lo sforzo di pagare gli arretrati fa onore ai governi Monti e Letta. Tuttavia, il problema è ben lungi dall’essere risolto e soprattutto non sono cambiate le regole contabili che consentono l’adozione di un criterio misto per cassa e competenza. Per queste ragioni, considero l’invito accolto a metà (con un dichiarato eccesso di fiducia nel futuro…).
Stato di attuazione: 50 per cento
Stato di attuazione complessivo sulla finanza pubblica: 58 per cento
3. Riformare lo stato
Incoraggiamo inoltre il governo a prendere immediatamente misure per garantire una revisione dell’amministrazione pubblica allo scopo di migliorare l’efficienza amministrativa e la capacità di assecondare le esigenze delle imprese. Negli organismi pubblici dovrebbe diventare sistematico l’uso di indicatori di performance (soprattutto nei sistemi sanitario, giudiziario e dell’istruzione). C’è l’esigenza di un forte impegno ad abolire o a fondere alcuni strati amministrativi intermedi (come le province). Andrebbero rafforzate le azioni mirate a sfruttare le economie di scala nei servizi pubblici locali. Su sanità e giustizia, non si è mossa foglia (se non le manovre di Roberto Maroni in Lombardia per smontare un sistema che funziona, ma questo non è imputabile al governo nazionale ovviamente). Su scuola e università, invece, qualcosa si sta muovendo – e la pubblicazione del rapporto Anvur è una positiva indicazione in tal senso – anche se è presto per dire come andrà a finire. L’abolizione delle province è una storia infinita nella quale una sola cosa appare certa: nulla cambia. Sui servizi pubblici locali si è già detto. Dei cinque obiettivi indicati ne è stato raggiunto solo uno e solo parzialmente (la valutazione della performance nel sistema educativo).
Stato di attuazione complessivo sulla Pubblica amministrazione: 15 per cento
Conclusione
Facendo la media tra queste valutazioni, si arriva a stimare uno “stato di attuazione” della lettera Bce pari al 24 per cento. Tale giudizio va letto alla luce della richiesta di Draghi e Trichet di intervenire il prima possibile per decreto legge, seguito da ratifica parlamentare entro la fine di settembre 2011. A due anni di distanza è stato fatto troppo poco e troppo tardi. Bisogna enfatizzare che quelle contenute nella lettera non sono le indicazioni di estremisti liberisti, né i suggerimenti di una qualche frangia di tecnocrati isolati. Sono manovre di puro buonsenso, che rispecchiano un consenso di fatto privo di etichette, che va dalla Commissione europea a tutte le principali organizzazioni internazionali, e che riflette l’opinione della larghissima maggioranza degli esperti.
Quanto tutto il mondo dice una cosa e pochi individui il contrario, è sicuramente possibile che questi pochi individui siano i più saggi di tutti e gli altri pazzi, ciechi o venduti. Ma, conoscendo i “pochi”, tendo a pensare che sia improbabile. Sapere che sono sovrarappresentati a tutti i livelli di governo e Parlamento, non è un pensiero affatto incoraggiante.
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