Da Abramovich al ritorno di Mou, ecco com'è cambiato il calcio inglese
Il ritorno di José Mourinho, è questo il regalo che si è fatto Roman Abramovich per i dieci anni di Chelsea nei quali ha speso 1,02 miliardi di euro in giocatori, 1,76 in stipendi e registrato perdite per 800 milioni (fonte France Football). Bandito, folle, sognatore fate voi, lo hanno definito in tanti modi senza mai scalfire quel mezzo sorriso, un ghigno, che taglia in due la faccia dell’ex ragazzo di Saratov, il quale a quattro anni aveva già perso entrambi i genitori. Secondo la rivista Forbes la sua ricchezza ammonta a 11 miliardi di euro. Al calcio ci è arrivato per caso ma con uno spirito che fa riflettere.
Il ritorno di José Mourinho, è questo il regalo che si è fatto Roman Abramovich per i dieci anni di Chelsea nei quali ha speso 1,02 miliardi di euro in giocatori, 1,76 in stipendi e registrato perdite per 800 milioni (fonte France Football). Bandito, folle, sognatore fate voi, lo hanno definito in tanti modi senza mai scalfire quel mezzo sorriso, un ghigno, che taglia in due la faccia dell’ex ragazzo di Saratov, il quale a quattro anni aveva già perso entrambi i genitori.
Secondo la rivista Forbes la sua ricchezza ammonta a 11 miliardi di euro. Al calcio ci è arrivato per caso ma con uno spirito che fa riflettere: “Vivo l’eccitazione di ogni partita, il trofeo, alla fine, è meno importante del processo che lo precede”, parole che spiegano molto della sua filosofia di uomo e d’imprenditore.
“Ha avuto il gran merito d’interrompere la diarchia Manchester United-Arsenal, portando nell’élite del football inglese ed europeo un club con una grande storia”, sottolinea Roberto Gotta, uno dei primi giornalisti italiani a seguire (soprattutto sul campo) il calcio britannico, ideatore dell’inserto del Guerin Sportivo Mister Football (oggi sul web) e autore del libro cult Le reti di Wembley.
“Troppo frettoloso con gli allenatori, ma senza interferenze dirette sul loro lavoro. Una storia personale controversa e la voglia di diversificare i propri investimenti; rispetto agli arabi non ha un Paese o un’immagine da promuovere” dice Gotta.
Pochi, infatti, ricordano i 20 milioni di sterline spesi per costruire il centro di allenamento e formazione di Cobham e come scrive Simon Austin su bbc.co.uk: “I risultati sono stati impressionanti, con il Chelsea che ha raggiunto quattro delle ultime sei finali di FA Youth Cup e la produzione di una serie di ottimi giovani calciatori”.
“L’impatto di Abramovich sulla Premier League non può che essere considerato positivo”, ribadisce Max Troiani, cofondatore della prima fanzine italiana sul calcio inglese diventata poi un blog.
“Ha portato tantissimi soldi, facendo diventare il Chelsea una delle squadre più importanti d’Europa e nello stesso tempo ha imparato a rispettare la tradizione del club, nel quale ha investito molto scegliendo dirigenti di grande spessore. Il ritorno di Mourinho potrebbe significare che sta imparando anche un nuovo rapporto con gli allenatori (9 in 11 stagioni, ndr)”, aggiunge Luca Manes autore di Made in England, nel quale analizza luci e ombre del football dei maestri.
La ventiduesima edizione della Premier League ha già messo in soffitta la prima giornata con un Ferguson in meno e un Pellegrini in più, ma è facile presumere che sarà comunque una corsa a tre fra i due Manchester e il Chelsea. Un campionato che alla sua nascita (1992) raccoglieva 44 milioni di euro in diritti televisivi e oggi ne distribuisce oltre un miliardo, 800 milioni per quelli venduti all’estero contro i 160 della Liga, i 90 della serie A, i 72 della Bundesliga e i 30 della Ligue 1.
“Il calcio inglese è cambiato radicalmente rispetto agli anni ’70 e ’80, rimanendo se stesso nell’atmosfera che lo circonda, la stessa di allora senza gli hooligans: sugli spalti c’è lo stesso spirito, lo stesso umorismo e la stessa mancanza di tensione, senza dimenticare che spendere 900 sterline per vedere il Sunderland sapendo che non vincerà mai il titolo è un puro atto di fede” ricorda Gotta. Con un contorno di regole sportive, finanziarie e civili che attraggono investimenti.
“Gli stadi e la diversa programmazione televisiva fanno tutta la differenza”, afferma Troiani. “Impianti molto belli, tifosi appassionati, corretti e sportivi, una tradizione enorme, ecco questo è un prodotto che si vende benissimo”, chiosa Manes.
Che poi abbia più stranieri che calciatori autoctoni, che con i tecnici d’Oltremanica molte squadre abbiano acquisito un gioco e una mentalità latina, che la Nazionale sia poco competitiva (vittoria contro la Scozia in amichevole a parte), che sia difficile parlare di un modello inglese, sbandierato spesso a vanvera dai media italiani, poco importa: God (or money) save the Premier League.
Il Foglio sportivo - in corpore sano