La sinistra masochista e tutti quei vacui discorsi intorno alla felicità

Stefano Di Michele

Giusto questo ci mancava – non si riesce neanche a trovare la data del congresso, che subito bisogna gettarsi su una faccenda molto più complicata (anche se a prima vista niente sembra complicato come il congresso del Pd): la felicità. Questione che, da Epicuro a Schopenhauer ad Albano & Romina, nel corso dei millenni le menti più eccelse ha coinvolto. Ora si chiede pure a Epifani di dire la sua. Sull’ultimo Venerdì di Repubblica, è stato Curzio Maltese a indicare la rotta: “La triste fine della sinistra che parla solo di pil e non cerca più la felicità” – concentrarsi e impegnarsi, compagni tutti, nella “ricerca della felicità”: alla ricerca e alla lotta.

    Giusto questo ci mancava – non si riesce neanche a trovare la data del congresso, che subito bisogna gettarsi su una faccenda molto più complicata (anche se a prima vista niente sembra complicato come il congresso del Pd): la felicità. Questione che, da Epicuro a Schopenhauer ad Albano & Romina, nel corso dei millenni le menti più eccelse ha coinvolto. Ora si chiede pure a Epifani di dire la sua. Sull’ultimo Venerdì di Repubblica, è stato Curzio Maltese a indicare la rotta: “La triste fine della sinistra che parla solo di pil e non cerca più la felicità” – concentrarsi e impegnarsi, compagni tutti, nella “ricerca della felicità”: alla ricerca e alla lotta. Roba persino più ardita delle larghe intese, tant’è che appena sette pagine dopo Michele Serra nota che persino sul tema della prostituzione la sinistra stessa ha un numero di posizioni, per restare in tema, capaci di aprire una sfida con il “Kamasutra”: “Ne avrà, immagino, almeno tre o quattro”. Neanche il sollievo di vedere imbarcato Matteo Renzi in vacanza verso gli States – così da concentrarsi per un po’, tra le gole del Gran Canyon, nella tenzone con Willy Coyote, dando respiro a Enrico Letta – che già nuove pretese si avanzano dalla Facoltà di Ortodossia di Largo Fochetti. La felicità, nientemeno – casomai appena impacchettato il Cav. tra ineleggibilità e incandidabilità, non facciamo scherzi. Ottimo, si capisce, tema congressuale. Che può ben figurare nella relazione dello stesso Epifani: “Felicità / è tenersi per mano andare lontano / la felicità…”, tra bella esortazione e chiara indicazione di linea politica. Del resto, il Curzio arriva pure secondo, dopo il Beppe, nel tentativo di mettere il carro delle umane gioie davanti ai buoi della brutale e lercia politica. Già durante l’ultima campagna elettorale, Grillo l’aveva detto sognante e vociante: “Il primo articolo della nostra Costituzione dovrebbe esprimere il diritto alla felicità” – che poi, essendo la stessa “la più bella del mondo” (così che sul Fatto i firmaioli più avvertiti in suo soccorso firmano e a suo sostegno meditano sotto l’ombrellone), felicità e soddisfazioni dovrebbe giù distribuire a piene mani, pur senza l’alloggiamento nella stessa, come previsto dalla Costituzione stellata & strisciata ora al severo vaglio renziano sottoposta.

    E però già Beppe, prima di Curzio, dietro lunga fila si disponeva. Perché della felicità, a sinistra, sempre hanno parlato, con grande e scontata (a sentir qualcuno sconsiderata) considerazione della stessa. Su Repubblica, e con ben maggiore autorevolezza, qualche anno fa Eugenio Scalfari produsse una significativa “Breve lezione sulla felicità” – ove l’ambita sensazione tanto veniva evocata per Montezemolo “quando la Ferrari vince una gara è felice e lo si vede”, quanto per il Cav. tra gli ammiratori suoi di scarso conio, “che sia felice ogni volta che si trova in un bagno di folla plaudente è un fatto evidente”. Volava alto e planava sui giorni mesti nostri, Scalfari: “I percorsi necessari per dare durata e stabilità alla felicità che abbia soggetti collettivi come destinatari sono notevolmente lunghi. Di solito operano di rimbalzo, come le biglie del biliardo…”. E prima di Curzio, e prima di Beppe, ma sempre dopo Eugenio – Fondatore e Precursore – ecco Roberto Saviano, che davanti ai ventimila convenuti di Libertà & Giustizia, meno di due anni fa, esortava: “Le persone devono rivendicare il diritto alla felicità, ma questo si può fare solo in una società di diritto”. A ridosso di Scalfari (siamo nel 2008), si esercitava su Europa, certo più temerariamente, Enzo Bianco: “Il Pd, i giovani e la felicità” – così da difendere il solco che l’aratro veltroniano allora aveva da poco tracciato: “Veltroni ha più volte evocato la centralità del diritto alla ricerca della felicità”. Ecco, appunto. Walter, in quei dì lontani segretario, con significativa rapidità si mosse a febbraio del 2008 davanti ai quasi tremila delegati dell’Assemblea nazionale del Pd: un intervento di un’ora e mezzo, 45 cartelle fitte fitte, in largo anticipo sull’invito maltesiano: “L’Italia deve lasciarsi alle spalle il passato e scegliere il nuovo, smettere di accontentarsi e volere di più, ricercare la felicità”. E ancor prima dei “segretari buoni”, pure i “cattivi maestri” per la faccenda ardevano e argomentavano. “Un lavoro scientifico politicamente motivato, immediatamente collegato alla produzione di felicità per tutti”, scriveva Toni Negri (“Il comunismo e la guerra”, Feltrinelli, 1980). “Legare insieme produzione, innovazione, amministrazione nella logica della liberazione dal lavoro. Nella speranza, nella felicità vicina”.

    Così che a sinistra, pur autoinfliggendosi innumerevoli infelicità, della felicità non hanno fatto altro che parlare, auspire, impegnarsi. Ovviamente, se Veltroni diceva una cosa, D’Alema esattamente l’opposta sosteneva. C’è un pregevole suo manufatto, che risale al 2000, di cui Repubblica dava conto sotto il titolo: “D’Alema sale in cattedra e parla di felicità”. Soprattutto, a leggere del suo resoconto di una lezione presso la fondazione di Italianieuropei. Il tema è sempre, esattamente quello che, da Veltroni a Maltese, da Negri a Saviano, da Scalfari a a Bianco (e infiniti altri) tanto appassionava: “Se la politica possa o no condurre alla felicità”. Nemmeno per idea – era l’idea del Max ancora in gloria. La libertà sì. Cambiare il corso delle cose sì. Ma la felicità la politica non può darla – non la riguarda, seppure “l’aveva promessa ai popoli, alle classe, alle razze”. Ed era meglio, sull’argomento, tacere. “Il campo è ancora ingombro delle macerie di quelle esperienze”. Bersani, quando a lui toccò, fu poetico: “Felicità / improvvisa vertigine / illusione ottica / occasione da prendere / parcheggiata / senza frecce e triangolo…”. Come il governo primaverile che pareva a portata di mano, occasione da prendere. Così Bersani. Ma così Samuele, il cantautore. Non così Pier Luigi il segretario – forse adesso con poca sua felicità.