Il peggio deve ancora venire

“Perché in Egitto stiamo dalla parte dei militari contro la Fratellanza”

Daniele Raineri

Parliamo con un lavoratore egiziano di medio-alto livello, settore finanza, al Cairo, per capire perché la repressione militare contro i Fratelli musulmani raccoglie un consenso così largo in Egitto. Questo favore popolare è così forte che il governo due giorni fa è stato costretto a dichiarare fuorilegge le milizie scese in strada ad aiutare le forze di sicurezza, con bastoni e machete, contro gli islamisti. “La maschera dei Fratelli musulmani è venuta giù. Dopo il 3 luglio, dopo l’arresto del presidente Morsi, l’ambiguità politica della Fratellanza è finalmente finita e bastava ascoltare i loro proclami di violenza dai palchi dei sit-in.

    Parliamo con un lavoratore egiziano di medio-alto livello, settore finanza, al Cairo, per capire perché la repressione militare contro i Fratelli musulmani raccoglie un consenso così largo in Egitto. Questo favore popolare è così forte che il governo due giorni fa è stato costretto a dichiarare fuorilegge le milizie scese in strada ad aiutare le forze di sicurezza, con bastoni e machete, contro gli islamisti. “La maschera dei Fratelli musulmani è venuta giù. Dopo il 3 luglio, dopo l’arresto del presidente Morsi, l’ambiguità politica della Fratellanza è finalmente finita e bastava ascoltare i loro proclami di violenza dai palchi dei sit-in. Erano stati abilissimi a imbastire un discorso per l’uditorio internazionale fatto di legittimità e vittoria elettorale da rispettare, ma qui dicevano che se il paese non gli fosse stato restituito allora sarebbe scoppiata la violenza. Minacciavano. Come se in questa situazione avessimo bisogno di altra brutalità. Per questo la gente ha accolto con sollievo l’intervento della polizia ai sit-in”. Gli egiziani respingono i Fratelli musulmani come si accorgessero all’improvviso di avere a che fare con un corpo estraneo? “E’ anche una questione di sentimento religioso offeso. Questa definizione che loro appioppavano a chiunque non fosse dalla loro parte: ‘infedele’. Come si fa? In Egitto la stragrande maggioranza della gente è profondamente religiosa, non esistono laici, il meno credente da voi in Italia sarebbe un estremista cattolico. Si è sentita scomunicata in casa propria. Come si può accettare in pace di essere trasformati in ‘infedeli’ negli slogan e nelle marce e nei discorsi dai sit-in? Con che diritto? Alla protesta contro Morsi del 30 giugno, quella che poi ha fatto scattare l’intervento dell’esercito, c’erano manifestanti religiosissimi. La Fratellanza si è arrogata un diritto di monopolio sulla fede che nessuno aveva concesso loro”. I Fratelli si saranno pure rivelati un gruppo violento e avranno offeso il sentimento religioso nazionale, ma le forze di sicurezza hanno fatto irruzione con i blindati nei sit-in, hanno sparato, hanno usato i bulldozer, ci sono stati 600 morti nel primo giorno. “Le nostre forze di sicurezza non sono addestrate per questo tipo di operazioni e possono averle compiute malissimo, i blindati sono stati usati soltanto per abbattere le recinzioni costruite dai Fratelli musulmani. Si erano presi un pezzo di città con un’occupazione artificiosa, perché molti là erano figuranti poveri che stavano nelle tende per i pasti gratis ogni giorno e perché erano stati assoldati con 1.000 sterline egiziane (un po’ più di cento euro). Chi può veramente mollare il lavoro e passare 45 giorni fermo in un sit-in? Invadevano le case vicine per usare i bagni, sfondavano le porte”. Per sei settimane – Ramadan incluso – il campo principale di Rabaa el Adawiya ha espanso i propri confini chilometro dopo chilometro, fino a inglobare la grande strada che connette Nasr City e tutto il resto del Cairo all’aeroporto internazionale. Poi l’intervento militare e il massacro. “Ma sparavano ai soldati. I Fratelli musulmani sono violenti, attaccano le chiese, hanno attaccato la sede di un governatorato, una stazione di polizia. Cosa fareste da voi se in città girasse un corteo di gente con le armi?”.

    Se arriva anche la parola “insurgency”
    Ieri mattina l’avvocato di Hosni Mubarak ha detto a Reuters che l’ex presidente potrebbe essere rilasciato entro pochi giorni. In realtà la decisione potrebbe dover aspettare altre due settimane e non è certa, perché anche se cadono le accuse di corruzione resta in piedi il processo più grave per le morti dei manifestanti durante la rivoluzione del 2011. Le Monde diplomatique scrive che i sauditi hanno chiesto la rimozione di Morsi e un migliore trattamento per Mubarak in cambio dei 5 miliardi di dollari di aiuti elargiti per l’economia egiziana – il sovrano saudita ha molto a cuore Mubarak, quando nel 2011 seppe che Washington l’aveva abbandonato al suo destino si dice abbia avuto un malore dalla rabbia mentre era al telefono con Obama.
    Se l’ex rais fosse rilasciato, il simbolismo sull’aria di restaurazione che tira al Cairo sarebbe evidente. Il leader dei Fratelli musulmani, Mohamed Morsi, agli arresti e Mubarak libero. L’Egitto tornerà come prima? Ieri è circolata la foto di una strage di 25 reclute della polizia egiziana nel Sinai, fatte scendere dai mezzi e uccise con un colpo alle spalle. Per la prima volta Reuters ha usato il termine “insurgency” in un titolo sull’Egitto, per un pezzo che parlava di un’altra regione, Minya, a sud del Cairo, dove uomini armati attaccano stazioni di polizia e chiese.  “Insurgency”: insurrezione armata  islamista come in Iraq, Siria, Pakistan o Afghanistan.

    • Daniele Raineri
    • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)