La corsa di Mediaset in Borsa, tra strategie e stabilità politica
Per la famiglia del Cav. c’è una conseguenza economica da valutare in caso di crisi istituzionale prodotta (anche) dal Cav. Crisi politica che, non solo nel Pdl, qualcuno vorrebbe aprire come immediata possibile conseguenza di un (possibile) voto sfavorevole a Silvio Berlusconi nella giunta per le Elezioni del Senato che il 9 settembre dovrà decidere sulla decadenza dell’ex premier dalla carica di senatore. La conseguenza riguarda il colosso televisivo di famiglia, Mediaset, la performance finanziaria del titolo in Borsa e l’andamento della società, un big di Piazza Affari.
Per la famiglia del Cav. c’è una conseguenza economica da valutare in caso di crisi istituzionale prodotta (anche) dal Cav. Crisi politica che, non solo nel Pdl, qualcuno vorrebbe aprire come immediata possibile conseguenza di un (possibile) voto sfavorevole a Silvio Berlusconi nella giunta per le Elezioni del Senato che il 9 settembre dovrà decidere sulla decadenza dell’ex premier dalla carica di senatore. La conseguenza riguarda il colosso televisivo di famiglia, Mediaset, la performance finanziaria del titolo in Borsa e l’andamento della società, un big di Piazza Affari. Il titolo della società di Cologno Monzese, una multinazionale con appendici in Spagna (con Mediaset España), da tempo non andava così bene come negli ultimi 365 giorni. E una crisi di governo in grado di fare cadere l’esecutivo in carica, guidato da Enrico Letta e sostenuto dal Pdl, potrebbe frenare quest’ascesa: una conseguenza che vale sia per il titolo Mediaset sia, ovviamente per l’intero listino borsistico italiano, le cui fluttuazioni sono in parte legate alla stabilità del paese e alla conseguente capacità dell’esecutivo di larghe intese di attuare quelle riforme strutturali richieste dagli organismi internazionali (ma non ancora attuate) utili a portare ufficialmente il paese fuori dalla recessione.
Nei mesi che hanno preceduto la condanna definitiva di Silvio Berlusconi per evasione fiscale nell’ambito dell’inchiesta Mediaset, il titolo della compagnia, guidata dal manager Fedele Confalonieri e dal figlio Pier Silvio, di proprietà della casa madre Fininvest, presieduta dalla figlia Marina, ha guadagnato in Borsa il 120 per cento (da gennaio a oggi), arrivando a una capitalizzazione di 4 miliardi di euro. Il quotidiano MF/Milano Finanza, la settimana scorsa, scriveva che grazie a questo rialzo è stato possibile recuperare i “tonfi borsistici” degli ultimi tre anni (2010, meno 21 per cento; 2011, meno 53 per cento; 2012, meno 27 per cento). “In termini assoluti – scriveva Mf – la performance di quest’anno, un recupero di 2,2 miliardi di capitalizzazione, ha consentito al Biscione di coprire meno della metà della maxi perdita, 4,9 miliardi, di valore del titolo nell’ultimo triennio”. Nel complesso, il miglioramento borsistico della Mediolanum, bancassurance affidata da Berlusconi al banchiere Ennio Doris, salita in Borsa del 50 per cento nei primi otto mesi di quest’anno, ha consentito a Berlusconi di salire dall’undicesimo al sesto posto in classifica tra i più ricchi proprietari d’azienda di Piazza Affari con un patrimonio di 3,4 miliardi di euro. Si tratta di un ritorno nella “top ten”, diceva Mf, in forza di una crescita patrimoniale annua del 113 per cento. La terza società di famiglia, Mondadori, invece, soffre: in tre anni e mezzo il titolo ha perso il 96 per cento, complici gli strascichi del processo sul Lodo Mondadori che a settembre potrebbe arrivare a sentenza in Cassazione.
La spiegazione della performance straordinaria di Mediaset è per gli analisti materia abbastanza complessa perché non si spiega del tutto con la strategia aziendale (quella di puntare sui “paesi dove c’è crescita” con l’intenzione di espandersi) e la gestione corrente (il fatturato è calato del 13 per cento nel primo semestre 2013). Un report della banca d’affari Bank of America, ad esempio, a maggio trovava “difficile da giustificare” lo scarto positivo di Mediaset rispetto ai concorrenti dato che “le stime per il 2014 includono una (incerta) ripresa”. Tant’è che BofA confermava che il titolo andava “sottovalutato”. Altre analisi sono più precise, come quella di Kepler Research: “Ci sono segni di miglioramento nella raccolta pubblicitaria e nella generazione di liquidità (cash flow) (…) ma crediamo sia presto per essere positivi sul titolo per via del debole clima economico in Italia, il declino strutturale delle televisioni gratuite e la frammentazione dell’audience, e l’alta incertezza politica”. Il report risale a marzo (quindi a un mese dopo la chiusura delle urne, mentre il segretario del Pd, Pierluigi Bersani, tentennava su un’alleanza con gli avversari storici del Pdl e sondava, in diretta streaming, il Movimento 5 stelle di Beppe Grillo) ma, secondo diversi analisti, il legame con la tenuta istituzionale rimane. A giustificare il rialzo del Ftse Mib visto in agosto (più 13,2 per cento in un mese) ci sono le aspettative di ripresa dell’economia per la fine dell’anno – e quindi ci si attende che i gestori comincino a puntare sui settori che meglio anticipano il ciclo economico (televisioni, cementieri) – oltre alla politica monetaria espansiva da parte della Banca centrale europea e all’abbassamento ai minimi biennali degli spread dei paesi periferici, Italia e Spagna in primis.
Capire se il boom di Mediaset durerà dal punto di vista puramente finanziario, dipende dal consolidamento della ripresa del mercato pubblicitario (in crescita del 4-5 per cento in luglio-agosto). Più in generale, invece, le sorti del titolo sono legate al sistema paese: “La politica gioca un ruolo importante e positivo per Mediaset nella misura in cui garantisce un governo stabile, politiche fiscali non troppo restrittive (su questo il governo Letta rispetto a Monti è meno restrittivo) e uno scenario normativo non sfavorevole”, dice al Foglio un analista che chiede di rimanere anonimo. Va poi precisato che non è il colore del governo in carica a determinare le sorti delle aziende della famiglia Berlusconi – il Gruppo Mediaset ha raggiunto il picco di utili nel biennio 2006-2007 sotto il governo di centrosinistra di Romano Prodi – quanto piuttosto la tenuta istituzionale complessiva, come già detto. Secondo gli analisti, l’attuale assetto delle larghe intese, nell’ambito di una convivenza di Pd e Pdl, per di più puntellato dal capo dello stato Giorgio Napolitano, è in grado di garantire quella stabilità che, nel lungo termine, può confermare il trend positivo di Piazza Affari. Elezioni anticipate, per converso, rischiano di portare all’effetto opposto. Un elemento di complessità ulteriore in una crisi di per sé sistemica del nostro paese.
Il Foglio sportivo - in corpore sano