Workaholic

Annalena Benini

Un tempo si parlava di lavoro matto e disperatissimo, adesso ci sono i workaholic. Quelli per cui il lavoro sfrenato è una dipendenza, come il gioco d’azzardo, come la cocaina, quelli che il giorno di Ferragosto sono andati in crisi: cercando una connessione internet dalla cima di un ghiacciaio, grattandosi la faccia, implorando una mezza riunione, una diretta tivù, un’emergenza anche piccola, qualcosa che li strappasse al tempo vuoto e riposante delle vacanze o, in certi casi, al tempo pieno e faticoso della famiglia riunita. Perché non è facile distinguere il vero workaholic (depresso, ossessivo, infelice al lavoro e infelicissimo fuori dal lavoro, tossico di carriera e di doveri, pericoloso per la serenità dei figli) dal lavoratore mediamente nevrotizzato.

    Un tempo si parlava di lavoro matto e disperatissimo, adesso ci sono i workaholic. Quelli per cui il lavoro sfrenato è una dipendenza, come il gioco d’azzardo, come la cocaina, quelli che il giorno di Ferragosto sono andati in crisi: cercando una connessione internet dalla cima di un ghiacciaio, grattandosi la faccia, implorando una mezza riunione, una diretta tivù, un’emergenza anche piccola, qualcosa che li strappasse al tempo vuoto e riposante delle vacanze o, in certi casi, al tempo pieno e faticoso della famiglia riunita. Perché non è facile distinguere il vero workaholic (depresso, ossessivo, infelice al lavoro e infelicissimo fuori dal lavoro, tossico di carriera e di doveri, pericoloso per la serenità dei figli) dal lavoratore mediamente nevrotizzato e soddisfatto delle proprie prestazioni, che spesso va in giro autodefinendosi con fierezza, come scrive l’Atlantic, uno stacanovista e un workaholic: se proprio bisogna avere una malattia mentale, meglio attribuirsi la più presentabile di tutte, ovvero un esagerato senso del dovere, una dissennata propensione al martirio professionale (e anche alle soddisfazioni che il martirio comporta).

    Così succede che chiunque non si dia malato per non andare in ufficio, chiunque sia normalmente attento alle scadenze, normalmente disponibile a lavorare due ore in più (e a fuggire in anticipo, causa lavoro, dal weekend al mare in cui tutti stanno litigando con tutti), reclami per sé con una certa soddisfazione la diagnosi di workaholic. Una malattia che una moglie può perfino accettare e che, secondo le statistiche, diventa più frequente quando aumenta il reddito. Il ventitré per cento degli avvocati americani si definisce maniaco della professione, e il principe William, nella sua prima intervista da padre orgoglioso, ha appena detto che non vede l’ora di tornare al lavoro. Che spesso è meno complicato di un bebè, anche royal, che strilla la notte, o di due settimane in montagna con la suocera, o dei bambini che nella piscina dell’albergo si sono presi il solito virus estivo che distrugge le vacanze. Meno complicato dell’esplosione di tutti gli equilibri familiari, quando questi equilibri si reggono sulla garanzia che il fine settimana dura soltanto quarantotto ore. Soprattutto, essere workaholic permette di giustificare socialmente l’attesa spasmodica e furibonda di settembre, e offre la speranza di anticipare il rientro in città senza destare troppo scandalo. Nessun’altra debolezza verrebbe perdonata, nessun’altra ossessione giustificata, nel tempo sacro e pericoloso delle ferie d’agosto. L’unica possibilità è fingersi ancora Giacomo Leopardi, mostrare sofferenza, abnegazione, pallore, senso di indispensabilità. E’ un workaholic, poverino, scuoteranno la testa i vicini di ombrellone, e li si ringrazierà per la comprensione, salutandoli con la mano, in fuga verso la vacanza in città.

    • Annalena Benini
    • Annalena Benini, nata a Ferrara nel 1975, vive a Roma. Giornalista e scrittrice, è al Foglio dal 2001 e scrive di cultura, persone, storie. Dirige Review, la rivista mensile del Foglio. La rubrica di libri Lettere rubate esce ogni sabato, l’inserto Il Figlio esce ogni venerdì ed è anche un podcast. Ha scritto e condotto il programma tivù “Romanzo italiano” per Rai3. Il suo ultimo libro è “I racconti delle donne”. E’ sposata e ha due figli.