Dopo la strage a Damasco

L'intelligence americana ha visto movimento negli arsenali chimici di Assad

Daniele Raineri

Il giornalista David Martin della rete americana Cbs ha detto ieri che l’intelligence americana ha osservato “movimento nei siti delle armi chimiche dell’esercito siriano” prima del presunto attacco con il gas che mercoledì ha ucciso centinaia di civili nella periferia controllata dai ribelli della capitale Damasco (per essere più precisi: le morti sono avvenute in otto quartieri diversi). L’informazione è importante perché secondo gli esperti molti tipi di gas – incluso il gas nervino sarin – sono prodotti instabili nella loro forma finale e per questo gli ingredienti devono essere mescolati e spostati poco prima dell’utilizzo. E’ questo il movimento osservato dall’intelligence americana?

    Il giornalista David Martin della rete americana Cbs ha detto ieri che l’intelligence americana ha osservato “movimento nei siti delle armi chimiche dell’esercito siriano” prima del presunto attacco con il gas che mercoledì ha ucciso centinaia di civili nella periferia controllata dai ribelli della capitale Damasco (per essere più precisi: le morti sono avvenute in otto quartieri diversi). L’informazione è importante perché secondo gli esperti molti tipi di gas – incluso il gas nervino sarin – sono prodotti instabili nella loro forma finale e per questo gli ingredienti devono essere mescolati e spostati poco prima dell’utilizzo. E’ questo il movimento osservato dall’intelligence americana? Per i servizi “l’attacco ha probabilmente avuto l’approvazione di alto livello del governo siriano”.

    Il ministero degli Esteri russo è incappato in una figura orrenda, sostenendo che i video della strage sono una gigantesca messinscena perché sono stati caricati sul sito YouTube in anticipo di qualche ora, ma è soltanto un brutto errore causato dal fuso orario (quando si carica un video su YouTube dalla Siria l’orario segnato è quello della costa occidentale degli Stati Uniti). Non soddisfatta del tentativo di screditare l’opposizione siriana, Mosca le ha chiesto di garantire l’accesso e la sicurezza degli ispettori delle Nazioni Unite sulla scena della strage. L’opposizione ha risposto dicendo che garantisce. Il governo siriano nega invece alla squadra dell’Onu il permesso di recarsi sul posto.

    La Casa Bianca si muove, ma all’apparenza senza una direzione precisa. I titoli dei giornali americani tentano di dare conto di questa estrema titubanza, parlando di un’Amministrazione “spaccata” che “soppesa le possibili risposte militari” ma che è uscita da un meeting di tre ore e mezza senza risposte (New York Times) e che “ha cominciato a rifinire i piani in vista di possibili bombardamenti sulla Siria” (Wall Street Journal). La strage di mercoledì è trattata come un capitolo in sospeso, su cui si attendono conferme. Il presidente Barack Obama in un’intervista alla Cnn è stato cautissimo, ma una cosa l’ha detta: quest’ultimo è differente dagli attacchi chimici minori dei mesi scorsi, che hanno ancora contorni troppo confusi e non hanno provocato alcuna reazione internazionale importante.

    Un dialogo fatto di bombe
    In Libano due bombe sono esplose contro due moschee nella città di Tripoli durante la preghiera del venerdì e le vittime sono almeno 42. La città, i luoghi della strage, i frequentatori e i predicatori delle due moschee (uno è il carismatico Sheikh Salem al Rafei): tutto indica che si tratta di un attacco punitivo contro i sunniti salafiti libanesi che appoggiano e offrono aiuto ai ribelli siriani in guerra contro il governo di Damasco, oltre il confine che è poco lontano. Le bombe ai due luoghi di culto dei libanesi nemici di Assad segnalano un salto di qualità e arrivano soltanto otto giorni dopo un’altro attentato che fino a poco tempo fa sarebbe stato impensabile: quello contro il quartier generale di Hezbollah, il gruppo  libanese alleato di Assad, nella zona sud di Beirut. In Libano gli ultimi attentati e controattentati possono essere letti come le battute di un dialogo tra gli amici e i nemici locali del presidente siriano Assad.

    Nella notte tra giovedì e venerdì l’aviazione israeliana ha bombardato in Libano un sito del Fronte popolare – un gruppo palestinese che ha legami stretti con l’intelligence siriana. Le bombe sono la rappresaglia per quattro razzi sparati il giorno prima, però da un altro gruppo, e possono essere interpretate come un ammonimento indiretto di Israele ai servizi di Assad a evitare azioni provocatorie nel paese vicino.

    • Daniele Raineri
    • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)