Il calcio in bocca
La tv è la nostra tribuna d’onore. Comodi che comincia il campionato: pallone e voce. Questa è l’èra dello stadio che che viene da te: il telecronista è la guida che t’accompagna a spasso per la partita. Non esiste più il calcio senza una voce narrante. La serie A che comincia è l’inizio di un percorso che per sei mesi ti farà stare a contatto e in ascolto con giocatori, allenatori e con quegli intermediari dell’evento sportivo che sono i telecronisti. Personaggi per scelta o loro malgrado, per necessità o per capacità, sono i traghettatori dei nostri weekend e dei nostri martedì e mercoledì di Champions. Non li conosci, ma ne riconosci le inflessioni, gli accenti, i vizi, le caratteristiche.
La tv è la nostra tribuna d’onore. Comodi che comincia il campionato: pallone e voce. Questa è l’èra dello stadio che che viene da te: il telecronista è la guida che t’accompagna a spasso per la partita. Non esiste più il calcio senza una voce narrante. La serie A che comincia è l’inizio di un percorso che per sei mesi ti farà stare a contatto e in ascolto con giocatori, allenatori e con quegli intermediari dell’evento sportivo che sono i telecronisti. Personaggi per scelta o loro malgrado, per necessità o per capacità, sono i traghettatori dei nostri weekend e dei nostri martedì e mercoledì di Champions. Non li conosci, ma ne riconosci le inflessioni, gli accenti, i vizi, le caratteristiche. Sai che cosa fanno quando una squadra segna, sai che cosa dicono quando finisce il primo tempo o la partita. Ti trascinano a bordo campo più di quanto facciano a volte i protagonisti veri della partita.
Sono cambiati, i telecronisti. Diversi da chi li ha preceduti per spessore, studi, passioni, attitudini. Diversi per rapporto con il pubblico di riferimento. Hanno scalato posizioni e modificato il loro modo di lavorare. Non è più soltanto l’evoluzione della specie Carosio-Martellini-Pizzul-Piccinini-Caressa. C’è quello, ma ora si va oltre. Si parte da un punto fermo e cioè che il Fabio Caressa ha svoltato, ha evoluto la tecnica del racconto di una partita di calcio fino a un punto in cui è impossibile tornare indietro. In sostanza viviamo l’èra del caressismo con tutto quello che di buono si porta. Perché Fabio ha imposto all’Italia una qualità che prima non esisteva, ha trasformato quel ruolo di pura mediazione tra te e quello che vedi in qualcosa di molto più complesso, di più efficace, di più serio. Perché, semplicemente, trasmette emozioni. E’ la differenza sostanziale con tutto quello che l’ha preceduto, è la cesura storica con la sobrietà algida di Nando Martellini e Bruno Pizzul. Perché per arrivare all’emotività dello spettatore, per trasmettere attraverso lo schermo quello che si può vivere allo stadio serve molto di più di quanto si possa immaginare. Serve studiare più degli altri, sapere più degli altri, lavorare più degli altri. E’ una miscela invisibile tra professionalità televisiva, capacità narrative, linguaggio appropriato e non banale, conoscenza della tecnica, della tattica, della vita e della carriera dei giocatori. Il caressismo ambisce al perfezionismo. Per qualcuno è ostentazione e protagonismo, ma in realtà è mettere al servizio del pubblico ciò che il pubblico ancora non sa. E’ la difficoltà maggiore, perché oggi lo spettatore del calcio televisivo è infinitamente più preparato di quello di venti o trenta anni fa. Oggi si conoscono i giocatori dell’Hertha Berlino, si ha a disposizione una quantità di informazioni che permettono al telespettatore-tifoso di sapere già molte cose che un telecronista di qualche èra fa era solito usare durante le telecronache. C’è di più, poi. La conoscenza del regolamento. Pare facile, è il contrario. Se lo chiedete a Caressa vi dirà che è la più importante delle caratteristiche di un telecronista contemporaneo: “La sostanza della telecronaca è azzeccare i nomi dei giocatori e seguire il ritmo della partita. Perché io in telecronaca devo darti il tuo livello emozionale. E per far funzionare al massimo il tuo emisfero destro del cervello (quello delle emozioni) devo nutrire quello sinistro con delle informazioni che lo facciano lavorare al minimo. In questo momento la telecronaca vive un momento di cambiamento. Il passo in avanti è dare lo sviluppo possibile del gioco e dell’azione. Se ha la palla Pirlo devi dire che a destra si muove Lichtsteiner. Perché sulla destra vuol dire sullo sfondo del teleschermo. E’ come vedere un film senza guardare il protagonista ma chi sta in secondo piano. E per il calcio in tv è il futuro perché è ciò che vedi allo stadio e che fai più fatica a vedere in tv. Allora io ti devo accompagnare”. Provate a vedere una telecronaca da oggi in poi. E confrontatela con quelle degli anni Settanta-Ottanta. E’ un altro mondo. E’ un’altra storia. E’ un altro lavoro. Oggi il telecronista è anche un vero giornalista. Deve esserlo, per forza. Caressa lo è. Oggi fa le telecronache delle più importanti partite di campionato, conduce la trasmissione sulla Champions League su SkySport e dirige SkySport24, il canale di all-news sportive della piattaforma satellitare di Murdoch. Ora pensate a Carosio, Martellini e Pizzul e tutti quelli delle loro epoche e delle loro televisioni: loro erano solo quelli che si presentavano allo stadio e raccontavano con la loro voce quello che accadeva. Al netto della nostalgia, non c’è paragone. La modernità ha portato più qualità.
Viviamo nel caressismo, dunque. E qui dentro ci sono altre facce e altre voci. Caratteristiche, competenze, specificità diverse, ma tutte unite da quella linea che tiene insieme il modo di raccontare il pallone in diretta televisiva oggi: conoscenza del calcio (tecnica e tattica), conoscenza del regolamento, capacità di trasmettere emozioni, stile riconoscibile, bilanciamento tra aneddoto e racconto dell’azione. Sky comanda, ovviamente. Perché con Caressa c’è una squadra di voci che s’allunga ogni anno. E’ una scuola che ha prodotto forse la principale caratteristica del telecronista moderno fuori dalla telecronaca: se non racconta una partita in diretta è un analista, un commentatore, un esperto. Anche qui: qualcuno ricorda un vecchio telecronista ospite di qualche trasmissione? Oggi i volti e le voci di Sky sono presenze fisse negli studi televisivi dei loro canali: commentano, spiegano, discutono. Ospiti come l’editorialista della Gazzetta dello Sport. Cioè: perdono il loro ruolo di mediatore superpartes e dicono la loro. Succede spesso, per esempio, che a “Speciale Calciomercato” condotto da Alessandro Bonan e Gianluca Di Marzio tra gli ospiti ci siano Riccardo Trevisani, Riccardo Gentile, Massimo Marianella. Tre che come principale attività fanno i telecronisti. Succede anche il contrario: Di Marzio, che è il miglior esperto di calciomercato attualmente in circolazione, la domenica viene mandato in qualche stadio a fare la telecronaca. E’ la crossmedialità del racconto calcistico in tv. E’ la fine di quella barriera che per anni ha diviso gli inviati dai telecronisti, gli inviati dai commentatori e i commentatori dai telecronisti. Oggi sulla scrivania di una tribuna stampa dalla quale viene trasmessa una telecronaca c’è un dialogo vero e alla pari tra il narratore e la spalla tecnica, cioè l’ex calciatore o l’ex allenatore che supporta la telecronaca. Il giornalista è alla stessa altezza del talent: conosce tecnica e tattica come lui perché anche se non ha giocato, le ha studiate fino all’ultimo minuto. E’ per questo che oggi se una trasmissione di approfondimento o un semplice tg sportivo ha bisogno di avere un’opinione su come gioca il Real Madrid o il Barcellona non si rivolge più al giornalista spagnolo firma di Marca o del Mundo Deportivo: chiama Riccardo Trevisani che di calcio spagnolo sa tutto e gli fa spiegare. Idem se vuoi approfondire chi è Gareth Bale e perché al Tottenham lo valutano 100 milioni di euro: prego Massimo Marianella spiegacelo tu.
L’evoluzione del ruolo del telecronista è una vittoria del giornalismo televisivo sportivo. E’ un upgrade portato dallo sviluppo della pay tv. Perché è da lì che parte tutto: dalla popolarità di Telepiù poi diventata Sky. Negli anni Novanta Mediaset aveva superato tutti, come linguaggio e come popolarità dei telecronisti: la sciabolata di Sandro Piccinini ha fatto epoca ed epica. Ma è stato il calcio criptato che ha cambiato davvero il ruolo della telecronaca.
Il posticipo ha sdoganato la domenica sera, ha trasformato quello che per molti italiani era uno dei momenti peggiori della settimana in una appendice di divertimento, ha riempito quel vuoto insopportabile che andava una volta da “Domenica Sprint” fino alla “Domenica Sportiva”. Che senso avevano quelle due ore senza calcio? La domenica deve avere il pallone e il posticipo è diventato il culmine della giornata. Il meglio che viene alla fine. Che poi adesso c’è anche l’anticipo. Il sabato sera, altro punto fermo. Puoi programmare il tuo weekend che comincia alle 18 del sabato e finisce praticamente a mezzanotte del giorno dopo. Trenta ore per la vita. Dicono che il calcio si sia venduto alla tv. E’ una cosa brutta? Perché? In fondo ce lo godiamo noi, no? La televisione esiste perché c’è qualcuno che la guarda. Quattro milioni di persone hanno l’abbonamento al satellite, adesso è arrivato anche il digitale terrestre: sono loro che si sono comprati il calcio, di fatto. I network comprano perché queste persone pagano per vedere il pallone. Chi non paga ha quello che aveva prima, può vivere esattamente nelle stesse condizioni: accende la radio, ascolta, poi aspetta le sei e dieci del pomeriggio e si guarda il suo “Novantesimo” o qualunque cosa sia. Il calcio criptato non ha tolto, ha aggiunto. Non è che oggi si veda meno di prima, è il contrario. La tv contemporanea fatta dai contemporanei ha ridato emozione, gioia, felicità. La telecamera che t’accompagna dove non arriveresti mai. Non è lo stadio, ma se uno deve guardare il calcio in televisione oggi ha tutto quello che vuole. Quella voce e quelle voci che ti accompagnano per novanta minuti sono diventate riconoscibili una per una.
C’è Maurizio Compagnoni. E’ l’uomo del posticipo, a meno che il posticipo sia commentato da Caressa. E’ quella voce che a ogni gol dice: “Rete, rete, rete”, arrotando la r il più possibile. E’ la voce che chiude ogni partita con “game over”. Su YouTube esiste un video in cui qualcuno ha montato il meglio delle sue frasi. Perché è questo ciò che accade adesso: piaccia o no, i telecronisti sono protagonisti e il giudizio sulla bellezza di una partita dipende anche da chi è il narratore. Prova ne è che un match in tv senza commento è ormai inguardabile. La voce conta, il ritmo pure, il giudizio anche. Compagnoni è una certezza. Ha molti amanti e qualche detrattore per via del fatto che la sua telecronaca è abbastanza urlata. E’ lo stesso problema che tira fuori chi non ama Riccardo Trevisani: è stato per tanto tempo specializzato di calcio spagnolo, oggi è uno degli uomini di punta di Sky sia per il campionato sia per la Champions. E’ quello che tra i corridoi di Santa Giulia a Milano e ormai anche in trasmissioni tipo “Mondo Gol” (che conduce con Marco Cattaneo) viene chiamato “Saccentino”: sa tutto, dice tutto, spiega tutto. Parla veloce come pochi. Indiscutibilmente bravo e per questo amato e un po’ deriso. Andrea Scanzi, per esempio, qualche tempo fa gli dedicò un corsivetto al veleno: “L’Homo Trevisans è monotematico: non avrà altro Dio se non la pelota. Se si trovasse nel bel mezzo di un’orgia, chiederebbe alle presenti se prediligono la marcatura a uomo o a zona”. Cattiverie e livori a parte, Sky è una miniera. Perché oltre a Trevisani c’è Riccardo Gentile, Daniele Barone, Andrea Marinozzi, Antonio Nucera. Tutti più bravi della media del passato. Perché una cosa dobbiamo dircela: abbiamo i telecronisti più bravi del mondo. Per un motivo: abbiamo un pubblico più attento, più pignolo e questo ha obbligato i professionisti a migliorarsi sempre di più. Sul calcio italiano e non solo. Perché ci sono gli esterofili. Perché ognuno ha il suo mondo. L’evoluzione della telecronaca televisiva è direttamente proporzionale allo sviluppo del calcio internazionale sulle nostre reti televisive. Nell’era del caressismo, i campionati esteri sono fondamentali, perché hanno mostrato e mostrano quanto un telecronista moderno debba essere preparato. Non sbaglia un calciatore, non può. Conosce tutti. Massimo Marianella è il nome, ovvio. E’ stato il primo. E’ la voce del calcio inglese (e della finale di Champions League) e ti porta a casa la Premier League. E’ uno stile che non c’entra con gli altri: si dilunga più di tutti in aneddoti e curiosità finendo per rischiare di perdersi anche un’azione emozionante per raccontarti chi è il cugino di terzo grado di Steven Gerrard. Però è un monumento. E’ la bibbia del football britannico in Italia. E’ il capo di una banda di voci che quest’anno, con l’arrivo di FoxSports Italia, porteranno ogni singola partita di Premier, Ligue 1, Liga da noi. Perché non c’è mai stata una stagione di calcio così piena di tutto. Con lui c’è Nicola Roggero, uno che senza essere Saccentino sa tutto e ti racconta tutto. E’ più scrittore degli altri, più malinconico, più nostalgico. Funziona perché sa come pochi e lo dice a tutti. Sul fronte internazionale il futuro è di Federico Zancan e Paolo Ciarravano. Il primo più avanti del secondo: amano il calcio internazionale più di quello italiano. Fanno bene, forse. Fanno il nostro bene, di sicuro. Assicurano un domani alla dinastia del racconto calcistico straniero che a volte è il miglior antidoto contro l’apatia di certi nostri weekend pallonari. Tra Marianella e loro c’erano Marco Foroni e Pierluigi Pardo. C’erano nel senso che sono anche loro della scuola Sky e con Trevisani e Gentile erano i trenta-quarantenni che si sarebbero presi il calcio in tv dopo Caressa. Foroni e Pardo ci sono ancora. Hanno solo cambiato posto: hanno lasciato Sky per Mediaset. Sono oggi i due uomini di punta del digitale terrestre pallonaro. Bravissimi entrambi. Popolari entrambi. Preparati entrambi. Italiofili ed esterofili entrambi. Multitasking entrambi. Il primo è conduttore e telecronista e inviato. Una competenza fuori dal commune, una agenda fuori dall’ordinario. Il secondo oggi è la prima voce non satellitare. E’ un altro esempio, di telecronista del futuro. Uno che è pure conduttore, inviato e bordocampista all’occorrenza. Crossmedialità, di nuovo. Qui forse di più: stare in cabina di commento o in tribuna stampa e saper stare anche accanto alle panchine è un dono. Perché il bordocampista è fondamentale. Sia benedetto per sempre: è colui che ti fa sapere che cosa dice l’allenatore, chi si sta riscaldando, chi entrerà, quello che succede in panchina. E’, in fondo, il sogno di ogni telespettatore del calcio in tv: poter sapere in anteprima che cosa farà un allenatore. Perché ciò che fa un calciatore lo vedi, che cosa pensa un tecnico no. Saperlo soddisfa la curiosità e la presunzione di essere in grado di saper gestire una squadra. Chi sta lì e te lo racconta è il tuo orecchio e il tuo occhio oltre il televisore, oltre l’alta definizione, oltre il 3D. Anche oltre il campo. Ed è l’unica cosa che non potrai mai avere allo stadio.
Il Foglio sportivo - in corpore sano