Serie A, il buono e il cattivo
L'inizio perfetto di Benitez e i primi guai di Allegri
Non è facile collezionare trofei in giro per il mondo, lui li ha tutti: manca la Coppa delle Coppe soltanto perché l'hanno abolita. Per questo Aurelio De Laurentiis l'ha scelto. Perché Benitez è uno che sa vincere, anche se indossa calzini imbarazzanti. Ha già profuso l'abituale bravura nel gestire la squadra, quella che Moratti non ha voluto concedergli e che invece De Laurentiis gli ha garantito. Una gestione del gruppo che, invece, è improvvisamente diventato il cruccio di Max Allegri. Sopravvissuto alle voglie di cambiamento berlusconiane, il tecnico si è messo al lavoro da ottimo artigiano qual è.
L'ultima volta avevamo avuto sue notizie il 23 dicembre di tre anni fa, congedato dall'Inter con un freddo comunicato. Un regalo di Natale, comunque, per Rafael Benitez, visto che mai era sbocciato l'amore con Massimo Moratti. E come sarebbe stato possibile, visto che il tecnico spagnolo veniva subito dopo l'epopea di José Mourinho appena culminata nel Triplete di una notte Champions a Madrid? Proibitivo anche solo avvicinare quanto aveva raccolto il predecessore, da cui tutto lo allontanava. E lo allontana. Professorale e incolore Benitez, istrionico e pirotecnico Mourinho. Con quel sovrappiù di personalità capace di dominare i dubbi presidenziali, gli stessi che avevano disseminato di ostacoli la strada di Don Rafael, fino alla cacciata finale. Un licenziamento determinato più dal delitto di leso mourinismo (ricordate le foto rimosse ad Appiano Gentile?), e sostenuto dalla vecchia guardia nerazzurra, che da incapacità proprie. Non a caso, Benitez aveva fatto in tempo ad arricchire la bacheca dell'Inter con la Supercoppa italiana e il Mondiale per club prima di essere allontanato senza rimpianti.
E la controprova dell'errore sarebbe arrivata nelle successive stagioni morattiane, fatte di rovesci imbarazzanti fino alla suggestione Stramaccioni, seppellita da 16 sconfitte in campionato. Questo mentre Benitez proseguiva a fare da altre parti ciò che gli era sempre venuto bene: vincere o, perlomeno, ottenere risultati. Non è facile mettere in dubbio lo strapotere Real-Barca in Spagna, lui c'è riuscito per ultimo con il Valencia. Non è facile collezionare trofei in giro per il mondo, lui li ha tutti: manca la Coppa delle Coppe soltanto perché l'hanno abolita. Per questo Aurelio De Laurentiis l'ha scelto. Perché Benitez è uno che sa vincere, anche se indossa calzini imbarazzanti: l'ultima coppa l'ha sollevata con il Chelsea in Europa League il 15 maggio. Il tecnico è consapevole che Napoli lo hanno voluto per scrivere pagine importanti in un ambiente tanto facile all'esaltazione come alla critica. Un compito impegnativo, nel primo anno del dopo-Cavani. Lui l'ha avviato chiedendo uomini fedeli (Reina), abituati a vincere (Callejon e Albiol), in grado di non far rimpiangere chi è partito (Higuain). Ha poi profuso l'abituale bravura nel gestire la squadra, quella che Moratti non ha voluto concedergli e che invece De Laurentiis gli ha garantito, sapendo che sarebbe stato possibile ripartire solo così per metabolizzare un altro "dopo", quello di Walter Mazzarri.
Una gestione del gruppo che, invece, è improvvisamente diventato il cruccio di Max Allegri. Sopravvissuto alle voglie di cambiamento berlusconiane, andate a infrangersi contro il curriculum acerbo di Pippo Inzaghi e contro le spese faraoniche (e solo per lo staff...) prospettate da Clarence Seedorf, il tecnico si è messo al lavoro da ottimo artigiano qual è. Pochi innesti, secondo direttive recenti, ma – almeno – senza vedere l'ormai abituale migrazione di campioni verso altre destinazioni, situazione mai vissuta in casa Milan. Il problema è che la partenza è stata ansimante, esattamente come un anno fa, e contro avversarie tutt'altro che irresistibili: dal tonfo interno contro la Sampdoria alla prestazione di pura sofferenza a Verona, dove Luca Toni si è preso gioco – a 36 anni – dei presunti difensori rossoneri. E il nuovo corso milanista? El Shaarawy più moscio della sua cresta, Balotelli attento all'arbitro e non agli avversari, Niang oggetto assolutamente estraneo al contesto. Proprio quelli cui il tecnico si è rivolto, puntando il dito accusatore: "Toni è stato un esempio da osservare bene e da capire per i ragazzotti che abbiamo in squadra". Il problema è che tocca all'allenatore far metabolizzare certi atteggiamenti, evidentemente non è capitato. Una situazione cui Allegri deve ovviare in fretta, almeno fin quando il suo presidente sarà distratto da vertici affollati di falchi e colombe, senza aver opportunità di dedicarsi a tempo pieno al calcio. Uno volta definito il proprio destino, Berlusconi potrebbe definire quello del tecnico. E se c'è un terreno su cui non vuole assolutamente perdere, questo è il calcio.
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