Orange is the New Black. Se non lo sapevate ora lo sapete
Parlare del carcere è un esercizio molto complicato. Spazio per buonismi sul genere “ma anche” non ce ne sono quando gli argomenti in questione sono i penitenziari e i detenuti. Per questi e per altri motivi il carcere è un argomento scarsamente trattato dalle cronache correnti. Una vera zona d’ombra della società occidentale, forse il luogo in cui con maggior forza si esprimono le contraddizioni del nostro sistema di vita. Il tema centrale di Orange is the New Black è appunto il carcere. Questa serie, lo diciamo subito, non è una di quelle che ti tolgono il fiato.
Parlare del carcere è un esercizio molto complicato. Spazio per buonismi sul genere “ma anche” non ce ne sono quando gli argomenti in questione sono i penitenziari e i detenuti. Per questi e per altri motivi il carcere è un argomento scarsamente trattato dalle cronache correnti. Una vera zona d’ombra della società occidentale, forse il luogo in cui con maggior forza si esprimono le contraddizioni del nostro sistema di vita.
Il tema centrale di Orange is the New Black è appunto il carcere. Questa serie, lo diciamo subito, non è una di quelle che ti tolgono il fiato. Non ha la raffinatezza di Mad Men, non è cool come House of Cards, non ci sono né le atmosfere apocalittiche delle zombie-series, né quelle epiche di Game of Thrones. Orange is the New Black, pur non facendo parte del pantheon della serialità televisiva, ha però un merito prezioso: parla dell’esperienza del carcere in maniera sottile e intelligente, non cedendo mai a facili retoriche. Credeteci tutto ciò non è cosa da poco.
Piper Chapman è una trentenne con la faccia simpatica, fidanzata con Larry, interpretato da Jason Biggs, lo storico e bravo protagonista della saga di American Pie. Piper è una ragazza nella media, di quelle che al primo sguardo definiremmo normali. La sua vita è stata cadenzata dalle tipiche esperienze dell’America benestante: famiglia, college, fidanzato, dieta vegetariana, qualche buona lettura e una madre rompiscatole. A questo trantran si è concessa solo una piccola divagazione, di quelle che le persone saggie perdonano al motto “sono ragazzi”. In questa sua parentesi Piper è stata lesbica e ha fatto da corriere per un trasporto di denaro proveniente dal traffico interazionale di droga…. That’s America, land that we love. Niente retroterra di disagio e sofferenza, niente storie di povertà, solo una pura e semplice sbandata, un’avventura, una curiosità. E chi non se l’è concessa nella vita.
Ed è così che dopo dieci anni, dopo essersi costruita una nuova vita, aver cambiato orientamento sessuale (no Povia non c’entra niente, tranquilli), lavoro e frequentazioni, per Piper si aprono le porte del carcere. La simpatica biondina del Connecticut si trova così catapultata nell’altra dimensione del nostro mondo libero, nel suo luogo speculare e antitetico. Orange is the New Black c’introduce pertanto nella vita di un carcere femminile, terreno ben poco esplorato nella storia dell’audiovisivo, mostrandoci il particolarissimo scenario di relazioni, spesso conflittuali, che in esso si articolano. Bianche con le bianche, nere con le nere, lesbiche con le lesbiche, detenute giovani contro quelle anziane e tutte contro il personale maschile del penitenziario. Relazioni non dissimili da quelle della società “normale”, ma che fatalmente assumono una forma e uno stile del tutto dipendenti dalle condizioni di vita uniche che cadenzano le giornate di un carcere.
Al di là della trama in sé, la mossa vincente di Orange is the New Black è la sapiente adattazione di un argomento tragico sul registro comico. A dire il vero questa serie più che ridere fa sorridere, spesso anche amaramente. Lo stato umorale che caratterizza la visione di Orange is the New Black è quello di chi sorride di sé stesso, delle proprie disgrazie e dei propri difetti. Di chi, insomma, sa riconoscere la sottile ma fondamentale differenza tra il dovere essere e l’essere, tra il senso della legge scritta nei codici e quello della vita quotidiana, tra il concetto astratto di normalità e le proprie caratteristiche specifiche. Quanto sarebbe bello alzare il telefono e chiamare quel grande filosofo francese di Foucault, l’autore del celebre “Sorvegliare e punire”, e dirgli: “ehi Michel l’hai vista l’ultima puntata di Orange is the New Black?” Chi sa che reazione avrebbe difronte a questa serie, ma purtroppo è morto nel 1984.
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