L'allerta di Israele
Le chiamate al 171, centralino del servizio postale israeliano che distribuisce alla popolazione le maschere anti-gas, sono triplicate nelle scorse ore, assieme al numero di cittadini che si è presentato ai centri di distribuzione in tutto il paese. Si intensificano infatti in questi giorni gli indizi di una possibile operazione militare americana contro la Siria, dopo i presunti attacchi chimici che mercoledì avrebbero ucciso nei sobborghi di Damasco centinaia di persone. Per molti israeliani, il timore è quello che un attacco militare degli Stati Uniti e dei loro alleati possa rendere Israele, vicino della Siria e del Libano con i quali è formalmente in guerra, il più ovvio obiettivo di una rappresaglia armata.
Tel Aviv. Le chiamate al 171, centralino del servizio postale israeliano che distribuisce alla popolazione le maschere anti-gas, sono triplicate nelle scorse ore, assieme al numero di cittadini che si è presentato ai centri di distribuzione in tutto il paese. Si intensificano infatti in questi giorni gli indizi di una possibile operazione militare americana contro la Siria, dopo i presunti attacchi chimici che mercoledì avrebbero ucciso nei sobborghi di Damasco centinaia di persone. Per molti israeliani, il timore è quello che un attacco militare degli Stati Uniti e dei loro alleati possa rendere Israele, vicino della Siria e del Libano con i quali è formalmente in guerra, il più ovvio obiettivo di una rappresaglia armata. Le parole di alcuni funzionari siriani sarebbero una non troppo velata minaccia alla sicurezza nazionale, scrive il quotidiano israeliano Yedioth Ahronoth, riportando una frase del ministro dell’Informazione di Damasco: “Un attacco americano infiammerebbe tutto il medio oriente”. Minacce esplicite sono venute da Khalaf Muftah, ex aiutante del ministro, oggi funzionario del partito Baath. In caso di attacco “Israele finirà nel mirino”, ha detto ieri in un’intervista radio. “Abbiamo armi strategiche e siamo capaci di rispondere”.
I vertici dell’esercito israeliano, attraverso rivelazioni anonime alla stampa locale, cercano invece di tranquillizzare la popolazione. Secondo fonti militari, riprese dall’emittente nazionale Channel 2, il regime di Bashar el Assad non risponderà a un’azione internazionale colpendo Israele. Se osservatori e analisti militari pensano che un’operazione americana avrà contorni limitati – un attacco con missili cruise a obiettivi specifici – un’eventuale reazione israeliana a un contrattacco siriano potrebbe essere invece molto più robusta e rischiosa per un esercito siriano impegnato in un conflitto logorante contro le forze ribelli da oltre due anni. Israele conta dunque sulla sua “deterrenza”, scrive il Jerusalem Post, secondo il quale il governo non ripeterà quanto accaduto nel 1991, ai tempi della guerra del Golfo, quando l’esercito non rispose al lancio di missili Scud iracheni. La reazione israeliana al lancio, avvenuto giovedì, di alcuni razzi katyusha dal Libano su Israele è sembrata essere un messaggio di determinazione. L’aviazione ha infatti bombardato in territorio libanese, pochi chilometri a sud di Beirut, presunte postazioni di lancio di missili usati da gruppi armati estremisti vicini alla Siria. Israele non portava a termine un raid aereo in Libano dalla guerra contro le milizie sciite di Hezbollah del 2006 e in passato, in risposta a simili attacchi, ha sempre reagito soltanto con l’artiglieria.
Un’operazione militare contro la Siria coinvolgerebbe gli alleati del regime degli Assad, Iran e Hezbollah, la cui roccaforte è il Libano meridionale, così vicino a Israele. E proprio per evitare il rischio di attacchi da oltre il confine, secondo i mass media israeliani, nelle scorse settimane sarebbe stata rafforzata la presenza di truppe lungo le due frontiere settentrionali, siriana e libanese, e da mesi l’intelligence lavorerebbe senza sosta nell’area.
Finora, i vertici militari e politici israeliani sono stati molto chiari sull’entità di possibili reazioni: “Sapremo sempre difendere i nostri cittadini”, ha detto domenica il premier Benjamin Netanyahu. Se fino a oggi Israele ha evitato di prendere una posizione sugli eventi della guerra civile siriana, le recenti notizie su presunti attacchi chimici così vicini alla porta di casa hanno fatto cambiare i toni alle autorità: “I più pericolosi regimi del mondo non possono avere le armi più pericolose del mondo”, ha detto Netanyahu, che non ha né approvato né criticato una possibile operazione militare internazionale. Per la prima volta durante il weekend, accanto al francese Laurent Fabius, in visita nella regione, il ministro della Difesa israeliano Moshe Yaalon ha confermato l’utilizzo di armi chimiche in Siria: “Non è la prima volta che il regime, sostenuto da Iran e Hezbollah, usa armi non convenzionali”, ha detto. “E’ chiaro che la Siria abbia usato armi chimiche”, ha ribadito ieri il responsabile per gli Affari strategici Yuval Steinitz.
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